di Enzo Carmine Delli Quadri
Presidente dell’ARAM
Autunno 1991

Il Problema economico, sociale e culturale dell’Alto Molise consiste, per lo più, in questo:
a) la sua situazione economica,seppure migliorata sensibilmente dal dopoguerra ad oggi, poggia su basi fragilissime e resta ben lontana sia dalla media nazionale, sia da quella abruzzese;
b) la sua economia dipende in gran parte da un finanziamento pubblico (pensioni,stipendi pubblici, commesse pubbliche) che nei prossimi anni sarà sempre più difficile ottenere;
c) in Italia e nel Mondo Occidentale va regredendo il concetto di solidarietà verso il prossimo;
d) le risorse finanziarie disponibili nel Mondo Occidentale devono aiutare le aree ex comuniste a ricreare un congruo equilibrio politico interno;
e) l’Alto Molise ha scelto di appartenere ad una dorsale geografica che non brilla, certo, per efficacia ed efficienza (è la dorsale tirrenica, la stessa cui appartengono la Campania, la Calabria e la Sicilia);
f) le sue ridotte dimensioni non consentono di sviluppare quelle capacità progettuali richieste dai problemi del mondo moderno;
g) la sua popolazione avverte i sintomi di un degrado sociale economico e culturale sempre più pesante: si profila, all’orizzonte, lo spopolamento del Molise Altissimo.
Ma è bene procedere per gradi e con riferimento a fatti precisi e concreti che, seppur troppo tecnici, sono gli unici a consentire commenti fondati e a prefigurare possibili soluzioni alternative.
Situazione economica:
Dalla lettura del diamante dell’economia, si evince che il prodotto interno lordo pro-capite del Molise è stato, nel 1989, pari a 13,7 milioni, esso è stato in linea con il valore del Mezzogiorno d’Italia, ma è stato di ben 3 milioni (13,7 contro 16,7) inferiore a quello della Regione Abruzzese e di quasi 5 inferiore a quello della Media Nazionale. Le buone prestazioni dell’Abruzzo sono state dovute alla forte presenza imprenditoriale (7,2 imprese ogni 100 abitanti, contro le 5,0 del Molise). Sono state dovute anche al buon livello di export, 5,10% del PIL, contro il 2,45% del Molise che si è caratterizzato,appunto, per un basso grado di apertura all’estero
Il tasso di crescita del Molise negli ultimi dieci anni, è stato senz’altro soddisfacente (185% contro il 204% dell’Abruzzo), ma esso, inferiore a quello nazionale (200%) è stato dovuto ad una politica di finanziamento pubblico che va sotto il nome di “assistenzialismo” (pensioni di invalidità, impiego pubblico, commesse pubbliche, …..). Su questo aspetto, fermo restando le differenze ben sostanziose tra Molise e Abruzzo, a favore di quest’ultimo, in una recente pubblicazione dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne (Centro Studi delle Camere di Commercio), si legge che: “C’è da chiedersi, quindi, fino a che punto una crescita che fa leva principalmente sul primario e i servizi pubblici sia in grado di assicurare le basi di uno sviluppo duraturo ed autosostenuto.”
Il quadro, purtroppo, peggiora, nettamente, se dal contesto della Regione Molise ci si sposta a quello dell’Alto Molise. Infatti, come già rilevato da altri analisti economici, l’Area dell’Alto Molise, comprendente, tutta la provincia di Isernia, appare divisa tra un modello di sviluppo economico proiettato sulla crescita industriale, il cui epicentro è nell’area che corrisponde con quella parte di territorio compresa tra il capoluogo e la cittadina di Venafro, e quello che coincide con le aree più povere, orientato verso il territorio tradizionale.
Nella prima area, quella a vocazione imprenditoriale, vive oggi più del 40% della popolazione e si produce la stragrande maggioranza del reddito. Netto, dunque, il contrasto tra la realtà di queste zone e quella delle aree interne, che vanno lentamente, ma inesorabilmente, spopolandosi.
Una buona metà dei 52 comuni dell’Isernino ha meno di 1000 abitanti. E la maggior parte di questi ha una età media che supera i cinquanta anni.
Se è vero, dunque, che il motore dell’Alto Molise è l’area tra Isernia e Venafro, si può avere una idea di quanto più basso del dato medio molisano sia il “diamante” dell’economia dell’Altissimo Molise. (Agnone e dintorni). Se si considera, poi, che in esso il sistema industriale è praticamente assente, si può facilmente rilevare come la maggior parte dell’economia della zona sia subordinata al finanziamento pubblico.
Finanza Pubblica.
Se quanto suddetto non bastasse, va rilevato come lo stesso “Assistenzialismo” è in forte pericolo. dati ufficiali forniti dalla Banca d’Italia dicono che:
1) il debito pubblico ha superato il 100% del PIL (Prodotto Interno Lordo), come dire che lo Stato Italiano é indebitato per un importo superiore a quello che i cittadini riescano a produrre in un anno intero.
2) il deficit annuo pubblico o disavanzo, vale a dire la differenza tra entrate e uscite dello Stato, nell’ultimo anno é pari al 10% del PIL
3) l’inflazione, intesa in senso lato come l’incremento dei prezzi dei beni e servizi nel tempo, al netto dei valori riconducibili ai processi di miglioramento qualitativo dei beni e servizi, viaggia ancora intorno al 7% circa.
In un contesto di mercato dei beni e servizi limitato alla sola Italia senza vincoli EUROPEI, vale a dire senza obblighi, per esempio, sul cambio della lira, il problema non sarebbe drammatico; infatti:
A) Se è vero che lo Stato è debitore di cifre pari a circa 27 milioni di lire per ogni cittadino italiano, per cui si usa dire che un bambino,nascendo, ha già un debito di 27 milioni, é altrettanto vero che lo Stato Italiano é debitore, quasi esclusivamente,nei confronti dei propri cittadini. Trattasi, quindi, di un fatto interno, tra italiani. Certo, ci sarebbe da lamentare il fatto gravissimo del cattivo uso di questo debito, degli sprechi e delle insufficienze relative, ad uso e consumo dei gestori del potere; ma questo é un altro discorso.
B) In presenza di una inflazione molto sostenuta e superiore a quella dei paesi produttori concorrenti, il Sistema Italia reagirebbe, come peraltro ha sempre fatto, con svalutazioni periodiche della lira. Uno dei momenti durante il quale il Sindacato ha cominciato a perdere colpi importanti é stato quando ha dovuto prendere atto che le sue rivendicazioni finivano nel nulla (o, peggio finivano con il danneggiare le parti sociali più deboli quali disoccupati e pensionati), dal momento che gli imprenditori, in un mercato libero, potevano rifarsi sui prezzi interni aumentandoli e sui prezzi esterni (all’estero) mantenendoli inalterati con la doppia operazione di aumento effettivo e diminuizione equivalente, ottenuta svalutando la lira.
Ma oggi, alle soglie del 2000, l’Italia si è assoggettata a vincoli e obblighi precisi vedasi il riquadro che fa riferimento alla nuova Unità Economica Monetaria: a Maastrich, in Olanda, sono state poste le basi per una EUROPA MONETARIA con una sua Banca Centrale e la sua Moneta Unica).
1) Il debito Pubblico, oggi superiore al 100% del PIL (Prodotto Interno Lordo), non dovrà superare il 60% del PIL
2) il Disavanzo Pubblico, oggi pari al 10% del PIL, non dovrà superare il 3% del PIL
3) L’inflazione, oggi al 7%, dovrà essere ricondotta a valori molto prossimi (differenza non superiore all’1,5%) a quelli dei tre paesi europei con la migliore performance).
4) E’ e sarà vietato svalutare
5) Il mercato nazionale non potrà essere sottoposto ad alcun vincolo o protezione.
Le conseguenze di questa situazione sono facilmente immaginabili:
ll sistema imprenditoriale non può permettersi il lusso di aumentare i prezzi, né all’interno né all’esterno, pena la perdita del mercato, con conseguente situazione fallimentare.
Deve, conseguentemente, preoccuparsi di aumentare la produttività e contenere i costi (é attuale il braccio di ferro tra imprenditori, governo e sindacati, sul costo del lavoro). Non può neanche accettare i costi indotti quali quelli causati dall’inflazione del resto del sistema che si ribaltano automaticamente sul costo dei servizi. Né può accettare le debolezze della pubblica amministrazione e i suoi sprechi che condizionano le capacità competitive delle imprese, determinando il livello di formazione del personale (scuola), il collegamento con il resto del mondo (telecomunicazioni e trasporti), la disponibilità di energia, la possibilità di innovazione attraverso centri di ricerca e sviluppo.
il Sistema Imprenditoriale, convinto che sono in pericolo non solo la sua sopravvivenza ma anche i posti di lavoro, la bilancia commerciale e la qualità della vita fin qui conquistata, chiede alle forze politiche e sociali, al Governo e alle Istituzioni che le risorse finanziarie non siano più utilizzate per scopi clientelari, per dare uno stipendio a chi non produce, per finanziare opere inutili; chiede, in definitiva, che cessi un assistenzialismo generalizzato che produce, per esempio, interventi su 350 comuni “presunti” terremotati, anziché su 35 comuni “effettivamente” terremotati.
Questa loro richiesta é pienamente condivisa dalle autorità internazionali che devono valutare il nostro possibile ingresso in Europa.
Gli effetti di questo incalzare del sistema imprenditoriale nei confronti, in particolare, delle forze politiche, stanno, in parte, già evidenziandosi. Si veda, ad esempio, il rifinanziamento dell’intervento straordinario nel mezzogiorno (Legge 64): per fronteggiare,nella Finanziaria ’92, le possibili minori entrate del condono tributario, l’Aula di Palazzo Madama ha, in questi giorni, approvato un emendamento che taglia di 2mila miliardi il disegno di legge di rifinanziamento. A questi vanno aggiunti 10mila miliardi destinati ai progetti strategici non finanziabili direttamente e 4650 miliardi per la fiscalizzazione degli oneri sociali.
Verrebbe da dire che l’Agenzia del Mezzogiorno comincia a chiudere i battenti prima ancora che intervenga il referendum abrogativo o una legge che ne sancisca la morte.
Si vedano anche i seguenti casi:
1) il gran vociare sulla necessità che i lavoratori lascino il lavoro a 65 anni;
2) il decreto legge sulla privatizzazione di molte imprese da sempre appartenute allo Stato;
3) l’incrinatura, con le Leggi 9 e 10 del 1991, del sistema di Monopolio dell’ENEL;
4) l’accettazione, da parte della Commissione parlamentare di inchiesta che ha indagato sui 50 mila miliardi dello scandolo terremoto di un impegno di rifinanziamento per soli 4300 miliardi (gli ultimi) a fronte dei 30mila richiesti.
5) l’impegno dei Sindacati di una revisione, in termini privatistici, dei contratti del pubblico impiego.
In conclusione: la finanza pubblica viene posta sotto stretto controllo nazionale e internazionale con l’obiettivo dichiarato, se non si vuole correre il rischio di rimanere fuori dell’Europa, di ridurre drasticamente la Spesa Pubblica. Le Regioni, come il Molise, che basano la loro economia, per una gran parte, sui trasferimenti statali (pensioni, commesse pubbliche, impiego pubblico) subiranno contraccolpi negativi piuttosto significativi che colpiranno, maggiormente, le zone interne di scarso interesse elettorale e scarso peso specifico come, attualmente, l’Alto Molise.
Solidarietà.
Gli anni successivi al 2° conflitto mondiale sono stati caratterizzati tra l’altro, dall’affermarsi nei paesi del cosiddetto “occidente”, di una concreta, realistica e appassionante solidarietà che, supportata da un sistema economico di stampo capitalistico e da un sistema politico liberal-democratico, ha creato condizioni generalizzate di benessere collettivo in tutti i paesi interessati. La fig. 1 rappresenta, emblematicamente, questa situazione, quale sintesi di un binomio tra giustizia liberale e giustizia sociale. Ben differenti si sono venute presentando la situazione nell’America del Sud (fig.2) dove la giustizia sociale stenta a decollare e la situazione nell’Area Comunista (fig. 3) dove, in nome della giustizia sociale, si é creato un popolo di “tutti poveri”.
Ebbene, il sorgere di molti egoismi degli anni ’80 (con il famoso “ritorno al privato) accompagnati dalla sconfitta del Comunismo, stanno determinando una esaltazione del sistema capitalistico, sic et sempliciter, senza più contemperazione della giustizia sociale; i dati economici forniti dai vari istituti specializzati dicono come la “curva occidentale” stia evolvendo lentamente ma inesorabilmente verso una curva di tipo “sud-americana”; meno drastica ma, sicuramente, di quel tipo.
Di qui la presa di posizione della Chiesa (Centesimus Annus) e di tutte le organizzazioni (sociali, economiche e politiche) che si richiamano alla necessità di una giustizia sociale che accompagni, sempre e comunque, quella liberale. E’ difficile prevedere cosa potrà succedere; di certo, oggi, si evidenzia una tendenza ad una minore solidarietà che,nei termini più spinti, si traduce in egoismo, razzismo, intolleranza, xenofobia. Nei termini più reali, si traduce, come richiesto dalle Leghe rampanti, in un’autonomia finanziaria delle Regioni del Nord ricco rispetto a quelle del Sud povero; un’esempio concreto: i Lombardi vogliono che il reddito prodotto da Lombardia ed il relativo gettito fiscale venga gestito dai Lombardi. Ora, se si considera che la Lombardia contribuisce per circa 1/5 al bilancio dello Stato, si può immaginare cosa può significare una cosa del genere per regioni come il Molise, la Lucania, la Calabria e così via.
Investimenti produttivi e Fondi Comunitari E’ notizia corrente di questi giorni: tutto il mondo occidentale é chiamato a soccorrere tutta l’Area ex Comunista perché, ironia della sorte, il disastro di quest’Area, se non fermato e controllato, rischia di travolgere lo stesso Occidente. Come? Con l’esodo biblico di massa di milioni e milioni di persone (i nuovi barbari) dall’Est all’Ovest, alla ricerca disperata di un posto al sole. Le scene dei disperati albanesi nel mar di Brindisi sono ben poca cosa al confronto.
Per evitare ciò occorre che gli investimenti disponibili vengano indirizzati verso i paesi dell’Est: Germania Est, Polonia, Romania, Cecoslovacchia, Bulgaria, Estonia, Lituania, Lettonia. Ma lo sforzo più sostenuto dovrà essere fatto nei confronti dell’URSS.
Quali investimenti potranno essere disponibili, in questo mare magnum delle esigenze, per il Mezzogiorno d’Italia? Poco o nulla, purtroppo.
Per le zone più arretrate dell’Europa (Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia, Mezzogiorno d’Italia, ecc.) continueranno ad operare i fondi comunitari quali il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FERS), il Fondo Sociale Europeo (FSE), il fondo Europa Agricolo di Orientamento e Garanzia FEOGA). Il 10.12.1992 a Maastricht é stato creato un nuovo fondo speciale cui potranno attingere i paesi più disagiati. Anche in questo caso non c’è motivo per stare allegri. Infatti salvo l’ultimo fondo speciale, gli altri sono stati già nefastamente sperimentati: Roma é continuamente sotto accusa e tutta l’Italia è nell’occhio del ciclone: é ritenuta, infatti, incapace di spendere i finanziamenti concessi, da Bruxelles, alle sue Regioni più arretrate, quelle meridionali, in primis, classificate “obiettivo 1” e, quindi, tra le aree in ritardo di sviluppo (con la possibilità di ricevere i fondi più consistenti).
Insomma, anche quando vi sono finanziamenti cospicui mirati ad esigenze chiare e primarie, il sistema Italia non riesce ad utilizzarli. Così è stato finora, specialmente per zone come quella Molisana, Peraltro, é difficilmente ipotizzabile che la capacità progettuale del Molise, considerate le sue dimensioni, possa aumentare nei prossimi anni; in ogni caso, su questo terreno, il Molise deve confrontarsi con realtà ben più consistenti come Campania, Calabria e Sicilia che, in assenza, anche esse, di capacità progettuali, hanno, comunque, ben altra forza contrattuale, con il loro bacino sconfinato di voti clientelari per politici potenti che siedono al Governo del Paese.
Le regole di sviluppo economico E’ altamente improbabile che una bambino polacco vissuto con i suoi genitori polacchi in un piccolo paese polacco possa parlare l’inglese o il francese o l’italiano o lo spagnolo. E’ molto probabile viceversa che un bambino lussemburghese vissuto con il padre olandese e la madre italiana a Lussemburgo possa, già all’età di 7/8 anni, parlare 5 o & lingue (italiano, fiammingo, francese, tedesco, inglese,ecc.). Non è un caso che i bambini nati in Belgio o proprio nel Lussemburgo o anche in Olanda o lungo i confini francesi o tedeschi o italiani abbiano la conoscenza di almeno tre lingue.
Cosa vuol dire tutto questo: la comunicazione (orale, scritta, via telefono, fax o video che sia), il contatto e le relazioni che ne possono derivare influenzano in modo assoluto le conoscenze di una persona, le conoscenze di un popolo; giungano ad influenzare anche il carattere di un popolo, determinandone prassi, usanze, comportamenti.
Può così accadere che popoli vivaci e intraprendenti possano cadere in letargo e, viceversa, popoli in letargo o “in via di estinzione” possano rivitalizzarsi.
E’ una questione, questa, semplice da comprendere e vecchia quanto è vecchio il mondo. In termini pratici, riferibili allo sviluppo economico delle nazioni, il punto di partenza è individuabile con la rivoluzione industriale inglese del ‘700. Le nuove teorie che ne sono scaturite hanno contagiato tutte le aree territoriali contigue (Francia, Germania, Olanda, Italia, ecc.). Limitatamente a questa ultima nazione, detta rivoluzione ha contagiato in massima parte Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Lucania, Umbria, Abruzzo, parte del Molise (Termoli), Puglie: gli Appennini hanno fatto da spartiacque, lasciando in condizioni di inferiorità Liguria, Toscana, Lazio, Molise, Campania, Calabria, Sicilia; ed è stata proprio la creazione della Regione Molise a peggiorare la situazione determinando l’appartenenza dell’Alto Molise alla dorsale territoriale “sbagliata”: quella tirrenica.
Non c’è dubbio alcuno che la mancanza di contatto facile con le aree geografiche abruzzesi ha determinato e determina una vera e propria rinuncia alla comprensione delle problematiche proprie dello sviluppo industriale.
Il mancato aggancio dell’Alto Molise al “fiume” delle conoscenze che scorre dal Nord-Italia fino al Salento in Puglia ha danneggiato pesantemente anche i comuni abruzzesi confinanti con l’Alto Molise.
Capacità Progettuale.
Senza voler colpevolizzare nessuno, ma facendo riferimento alle diverse dimensioni regionali, va preso atto che la Regione Molise non ha le dimensioni per promuovere una progettualità congrua con le esigenze attuali.
Non si può continuare a deprecare (e solo deprecare) che a fine esercizio si accumulano progressivi residui passivi oppure che le risorse finanziarie vengano utilizzate senza sufficiente finalizzazione.
Malessere Nonostante il notevole sviluppo economico dell’Italia, di cui ha potuto beneficiare anche il Molise, tra la popolazione molisana e dell’Alto Molise, in particolare, serpeggiano malessere, ansia, disillusione, timori:
Emerge, chiara, la consapevolezza che anni di “assistenzialismo” dello Stato ricercato, voluto considerato indispensabile, al posto di programmazione e sviluppo economico equilibrato, hanno inciso pesantemente sulle capacità progettuali e imprenditoriali del territorio; hanno reso succubi le coscienze, addomesticandone l’orgoglio; hanno “consigliato” migliaia e migliaia di giovani pieni di iniziativa e amor proprio a ricercare fuori dal territorio la salvaguardia della loro dignità di uomini non dediti allo scambio amorale e ingannevole; hanno rinchiuso entro limiti angusti e poco produttivi, salvo nobili ed esaltanti eccezioni, l’iniziativa e l’amor proprio degli altri.
La conseguenza di tutto ciò può essere paragonata alla immagine di un roditore (l’assistenzialismo) che corrode le fondamenta di un edificio (l’Alto Molise) fino a renderlo pericolante, poco sicuro e prossimo a crollare. Alcuni alzano le braccia in segno di sconforto, altri, i più, l’abbandonano per convinzione, per stanchezza o per vecchiaia.
Da uno studio condotto dalla Diocesi di Trivento emerge un dato significativo di questa situazione: tra 30-40 anni il territorio dell’Alto Molise potrebbe ritrovarsi senza popolazione o, nel migliore dei casi, con presenze poco significative. Ha, quindi, ragioni da vendere l’attuale popolazione, quando esterna malessere, ansia, disillusioni e timori: anni di sacrifici e sforzi stanno andando in fumo; s’aggira lo spettro di case abbandonate e figli lontani (questa, per i più, è già una realtà amarissima)

Conclusioni
Come si è potuto constatare nei punti più sopra esaminati, la situazione complessiva dell’Alto Molise è molto complessa e delicata:
– il finanziamento pubblico è in regresso
– la solidarietà va scomparendo
– l’area territoriale di appartenenza (dorsale tirrenica) è oppressa da problemi secolari (camorra, ndrangheta, mafia)
– la capacità progettuale non si evidenzia
– la popolazione ha motivi fondati di irrequietezza
Come se ne può uscire? In un solo modo:
– alzando la testa di fronte alle umiliazioni dell’assistenzialismo;
– prendendo finalmente coscienza del fatto (parafrasando Norberto Bobbio) che i problemi dell’Alto Molise vanno risolti innanzitutto dai suoi abitanti;
– agganciandosi al treno della “dorsale adriatica” che in questi decenni ha ampiamente dimostrato di sapersi affrancare dall’assistenzialismo puro e semplice (è di questi anni la posizione CEE che vuole escludere l’Abruzzo dalla Legge 64/86, non avendo più, essa, i requisiti di regione disagiata)
– promuovendo l’inserimento delle forze sociali ed economiche dell’Alto Molise in un contesto con forte propensione alla progettualità, come richiesto dai tempi moderni.
L’Associazione (ARAM) per il Rilancio di Agnone e dell’Alto Molise vuole muoversi in questo quadro di riferimento.
In esso trova priorità l’azione referendaria per Agnone e il Molise Altissimo Abruzzesi. Contro nessuno; solo a favore dei suoi abitanti.
non è riportata la data dell’articolo di Enzo Delli Quadri sebbene si capisca che risale a tempo addietro. Non importa, anzi importa tantissimo, anzi l’importanza del chiarissimo scritto è proprio e tutta nel fatto che , comunque, esso è quanto mai attuale….qui da noi non cambia nulla!!
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Questa Nota fu da me scritta nell’autunno del 1990
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