Məglietta 

di Esther Delli Quadri

Foto da web

Nella mia famiglia non siamo grandi consumatori di latte, purtroppo. Col tempo si sono sviluppate in alcuni membri delle intolleranze alimentari che, alla fine, hanno portato un po’ tutta la famiglia ad allontanarsi dal consumo di questo alimento. Mi capita quindi raramente di comprare del latte, per lo più in piccole quantità per la preparazione di dolci, creme o altro.

Latte venduto in cartoni nei supermercati è quindi quello che compro, davvero poco  accattivante nella presentazione, ma che ha il vantaggio di poter essere acquistato in piccole quantità.

Un po’ migliori sono le confezioni di latte in bottiglia, anche se è difficile trovarlo in bottiglie di vetro bensí in bottiglie  di plastica.

Più accattivanti per ” l’immaginario” sono le finte “mucche” installate accanto ai chioschi che vendono il latte non in confezioni ma, diciamo cosí alla spina, latte che però  io non ho mai acquistato e che quindi non  conosco come gusto.

Per quello che riguarda il contenuto devo dire che sia il sapore sia l’aspetto si discostano molto dal latte che io ricordo bevevo da bambina quotidianamente.

A quell’epoca, mi riferisco agli anni intorno al ’60, il latte lo portava direttamente a casa il produttore. Da noi almeno era così.

A noi lo portava Məglietta !

Məglietta era una donna di età indefinibile, ma forse più giovane di quanto io pensassi da bambina, che abitava  proprio accanto alla casa di una mia cara amica d’infanzia.

La sua famiglia però, e lei stessa credo durante il giorno, abitava in una contrada “alla montagna”  dove aveva una “masseria” e degli animali, tra cui mucche da latte.

Verso sera lei prendeva il bidone del latte, uno di quei bei bidoni di latta che oggi non si vedono più tanto  in giro se non presso le aziende agricole produttrici di latte e derivati, e faceva il giro delle famiglie .

Che fosse estate o inverno, che ci fosse pioggia o neve, lei non mancava mai all’appuntamento!

Io ricordo molto bene quelle consegne perché ero incaricata di scendere giù quando lei arrivava, a prendere il latte.

A quell’epoca, e ancora fino a non molto tempo fa, da noi il “portone” restava aperto durante il giorno e veniva chiuso solo di notte. Non c’era la paura dei ladri semplicemente perché non c’erano ladri, almeno che io ricordi .

Quindi Məglietta non bussava al portone ma semplicemente entrava fermandosi sulla soglia e mi chiamava :  ” Esctera! ” con l’accento tipico della zona ed in più aggiungendo una ” a ” al mio nome, che probabilmente le sembrava privo di qualcosa senza la vocale finale, che lei in quel modo gli restituiva!

A quel richiamo io smettevo di giocare o di fare qualsiasi cosa stessi facendo . Mia madre mi metteva in una mano  “ru pəgnatiellədələlattəchəru muttillə” e nell’altra  i soldi per pagarlo, già contati e che quindi non abbisognavano di resto per non far perdere tempo a Məglietta. Io andavo alla porta che si apriva sulle scale che conducevano al portone e le scendevo. La luce l’aveva giá accesa Məglietta dal basso per evitare il rischio che ” la citra cadessəpə ləschielə” (memorabile in famiglia e tra i conoscenti era la mia  caduta dalle scale quando ero piccolissima dai danni della quale,  che avrebbero potuto essere molto seri , mi aveva salvata solo il fatto che fossi nel “girello”!).

All’ingresso del portone c’era lei .

Apriva il grande e pesante  bidone di latta, prendeva il mestolo che vi stava attaccato, metteva dentro al mio pentolino “ru muttilləpə ləlattə”  e poi versava il liquido denso con attenzione, affinché non se ne  versasse neanche una goccia. Intanto conversava  con me e mi chiedeva ” Esctera, tələsci fattələscrittə?” ” Sci brava alla scola?”oppure se mio  fratello era malato, cosa  che nella sua infanzia è capitata spesso perché era delicato di gola si informava “Gna stáru cətrill?”oppure mi parlava di una sua nipotina, Emilia, mia coetanea,  che oggi gestisce un negozietto di latticini proprio lí dove abitava la nonna Məglietta, e che all’epoca abitava in campagna.

Io rispondevo volentieri alle sue domande ma, d’inverno, quando era molto freddo e fuori c’era la neve, non vedevo l’ora che quella consegna finisse e, rabbrividendo davanti al portone spalancato, battevo i piedi e strofinavo le ginocchia una contro l’altra .

Al termine dell’operazione  le porgevo i soldi che mamma mi aveva dato e che lei  metteva in una larga tasca che aveva sul davanti della “mandera” che indossava sul vestito e  le comunicavo la quantità di latte che serviva a mia madre per il giorno successivo, che di solito era sempre la stessa a meno che mamma non avesse intenzione di fare “lərisəchələlattə” o “na pizza dolcə

M’iglietta, infatti, portava in giro solo la quantità di latte che sapeva le abbisognava ! Non di più.

Poi la vedevo caricarsi sulle spalle il pesante bidone  e dopo avermi detto “saluta  a mamma” a cui io rispondevo ” si, ciao” andava via.

Se era inverno però prima si aggiustava il pesante scialle di lana che la ricopriva dalla testa alla vita avendo cura di coprirsi anche la bocca per ripararla dal freddo pungente.

Il fatto che riuscisse a trasportare il pesante bidone era una cosa che mi sorprendeva abbastanza, sebbene lei fosse una donna di aspetto robusto e piuttosto corpulenta.

Ma, soprattutto quando c’era neve o era ghiacciato a terra,  io mi chiedevo come facesse a portare il bidone senza cadere!

Un paio di volte mi  affacciai  al portone, sfidando il freddo, spinta dalla curiosità di sapere come se la sarebbe cavata tra i mucchi di neve o sul ghiaccio .

L’avevo vista allora con le sue spesse calze di lana nere che spuntavano dagli “scarponcini”  sprofondare nella neve ai bordi della strada ad ogni passo, avanzare sfidando le lastre di ghiaccio al centro della stessa strada in modo sicuro e senza esitazione, con un’andatura appena ” dondolante” dovuta  probabilmente al peso che portava,  ampia macchia scura che si allontanava sul bianco scintillante della neve ghiacciata!

Io accostavo il portone e mi avviavo alle scale che salivo lentamente attenta a non versare il latte. Aprivo la porta del soggiorno, spegnevo la luce delle scale e andavo in cucina.

Mia madre prendeva il pentolino col latte e lo metteva sul fuoco. Quel latte infatti poteva essere bevuto solo previa bollitura!

Mia madre lo bolliva alla sera perché fosse pronto per la mattina successiva, appena scaldato, per  i bambini a colazione.

Al mattino noi bambini sedevamo al tavolo, uno di fronte all’altro, intingendo nel latte  il pane o una torta se la mamma ne aveva fatta una oppure nel periodo natalizio le “pizzelle” .

Il latte di Məglietta era denso e profumato, con una consistenza più di “cibo” che di bevanda.

Lasciava ai bordi della tazza uno spesso strato di panna che sui nostri visi bambini si fissavano come grandi baffi bianchi facendo segnare punti a quello di noi due che riusciva a berlo “facendosi i baffi più grandi” tra le risate di mia madre che aspettava paziente la fine della nostra colazione per prepararci per la scuola   lavando per bene  i nostri visi e cancellando  così ogni  traccia  “dei baffi del latte dəMəglietta“.

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