Storia, guerre, passioni nei trecento anni di lotta dei Sanniti, i veri rivali di Roma
Storia romanzata di Paride Bonavolta
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In questa terza puntata del romanzo, dopo la presa di Volturno (Capua), Numerio e Papio sono incaricati di raggiungere Cuma e carpirne i segreti
I rivali di Roma – Papio – Parte terza

– Tieniti pronto Papio– lo aveva messo sull’avviso Numerio- quando sembrerà che la festa abbia raggiunto il culmine ci saranno delle novità.
– Cosa intendi per novità?
– Sempre curioso come tuo solito.
– Non lo saresti anche tu al mio posto?
– Abbiamo motivo di ritenere – aveva risposto Numerio improvvisamente serio – che gli etruschi stiano tramando per sbarazzarsi di noi. La città sta loro sfuggendo di mano e così i più remunerativi commerci. Avrai certo notato come la popolazione locale vada progressivamente scegliendo senza imposizione alcuna fra i suoi occupanti. In pratica ha ormai scelto noi e gli etruschi hanno deciso di approfittare di questi festeggiamenti per chiudere le porte della città, lasciar fuori il grosso delle nostre truppe, e sbarazzarsi di noi .Ma per fortuna siamo stati messi sull’avviso e quindi saremo noi a giocare di anticipo per risolvere la situazione a nostro favore. Eccoti servito!
Quando la grande festa aveva avuto inizio, tutto lasciava ritenere che la popolazione cosi come le truppe etrusche ed i reparti sanniti presenti in città vi prendesse parte ma Papio sapeva che in effetti non era così.
Papio, Numerio ed un gruppo scelto di soldati ad un segnale convenuto, lasciato con discrezione ed alla spicciolata il banchetto in corso, si erano riuniti presso la porta principale della città e dopo aver colto di sorpresa i soldati etruschi che la vigilavano avevano aperta la grande porta permettendo ai reparti sanniti accampati fuori città di entrare alla spicciolata e di sparpagliarsi in città secondo un piano che dovevano ben conoscere.
D’improvviso in città si era scatenato il caos più completo, era risuonato il fragore delle armi, e poi urla di dolore e disperati richiami. I soldati etruschi anche se pronti a colpire, colti di sorpresa, sembravano incapaci di opporre resistenza.
Passato il primo momento di generale smarrimento, l’intera città era diventata teatro di una sanguinosa battaglia che si combatteva in strade e piazze e conseguentemente finiva per coinvolgere cittadini ignari, molti dei quali donne e bambini, che fino a qualche istante prima pensavano solo a divertirsi.
La resistenza degli etruschi, passato il primo momento di smarrimento, si era rivelata strenua fugando in Papio ogni possibile dubbio sul fatto che a loro volta si fossero preparati ad aggredire gli occupanti sanniti.
Così come aveva sperato si era trovato al centro di una battaglia che si andava rivelando tanto spietata quanto sanguinosa visto che i soldati etruschi sapevano che se sconfitti difficilmente avrebbero potuto contare sulla clemenza dei vincitori così come probabilmente non avrebbero trovata clemenza neanche i civili etruschi destinati nel migliore dei casi ad una vita di schiavitù. Quando la resistenza etrusca si era fatta meno determinata il combattimento si era spostato nelle case dove i superstiti tentavano l’estrema difesa personale e quella delle loro famiglie.
Papio, sempre volontariamente impegnato nei punti di maggiore pericolo, pur nella incalzante furia del combattimento, aveva cominciato a rendersi conto di non provare alcun piacere nel vedere i nemici cadere sotto i suoi colpi e, quando gli etruschi, ormai disorientati ed in piena rotta non costituivano più un pericolo, gli era sembrato un inutile spreco di vite umane il continuare a braccarli per ucciderli.
Sembrava che una volta scatenata la lotta nulla potesse più fermarla. Nemici che avevano gettato le armi venivano passati per le armi senza tenere in minimo conto il loro gesto di resa e nemmeno le urla delle donne che cercavano di stringersi ai propri uomini fermava la mano dei suoi compagni così come non la fermavano gli urli ed i pianti terrorizzati dei bambini.
Lo scontro si era ormai tramutato in un vero e proprio massacro mentre i primi incendi si andavano sviluppando in varie parti della città. Erano cominciati, quasi inevitabili, atti di saccheggio e, anche se rare, scene di violenza sulle donne dei caduti, soldati o civili che fossero, purché etruschi o ritenuti loro amici. Si cominciavano a vedere soldati carichi di bottino mentre ovunque giacevano cadaveri e feriti che lanciavano disperate quanto inascoltate grida di aiuto o di dolore .Si era poi cominciato anche a comporre i corpi dei caduti in grandi cataste alle quali presto si sarebbe appiccato il fuoco e gli addetti a tale macabra incombenza sembravano incuranti se qualcuno fra gli etruschi dava ancora segni di vita. Fra i corpi, chiaramente distinguibili dalle vesti, non pochi erano quelli che fino a poco tempo prima erano stati pacifici cittadini e che erano stati uccisi solo per il solo fatto di appartenere ad una etnia diversa ed al momento sconfitta.
Non appena Papio si era reso conto che il suo dovere di combattente poteva ritenersi concluso e che quanto continuava a succedere intorno a lui nulla più aveva a che fare con una battaglia, montato sul cavallo, vincendo la resistenza di chiunque gli ostruisse la strada, si era allontanato senza una meta precisa dalla città dirigendo verso la campagna. Si allontanava, non vergognandosi, ora che nessuno poteva vederlo, di dare libero sfogo a lacrime liberatorie che gli rigavano il viso coperto di fumo e di sangue al pari delle mani e delle vesti.
– Sembro proprio un macellaio – pensava mentre galoppava senza una meta precisa..
Ira, vergogna, rabbia si mescolavano nel suo pianto irrefrenabile. Fermatosi ben lontano dalla città in un boschetto dove regnava una pace tanto più vera quanto più contrastante con il clamore che si era lasciato alle spalle, smontato da cavallo e completamente denudatosi, quasi per sentirsi incontaminato dal sangue che lo aveva insozzato, si era concesso un bagno in un corso d’acqua da lui visto come il solo modo di purificarsi dopo una battaglia che si era rivelata più cruenta di quanto mai avrebbe potuto immaginare. Una volta uscito dall’acqua, quanto mai fresca e tonificante, si era disteso ancora nudo e con il corpo bagnato sotto gli alberi ed il silenzio, la stanchezza e la tensione avevano finito per farlo cadere in un sonno profondo e senza sogni.
La mattina successiva rientrando in città aveva notato che la situazione andava normalizzandosi anche se soldati sanniti, isolati od in gruppi, e per lo più ebbri per scaricare le tensioni e le paure del giorno precedente, si aggiravano per la città forse ancora in cerca di un nemico da uccidere ma molto più probabilmente in cerca di una etrusca da stuprare o di un personale bottino. Cercando di passare inosservati ai soldati anche alcuni civili sicuramente non ubriachi, si aggiravano furtivi per la città forse per portare a termine loro personali vendette ma più sicuramente in cerca di un bottino che a differenza dei soldati, conoscendo la città e le case degli etruschi più ricchi, sapevano dove cercare. Un soldato riconoscendolo lo aveva chiamato.
– Papio Pentro ti stavamo cercando da tempo e non vedendoti eravamo molto preoccupati per la tua sorte. Numerio ti ha fatto cercare a lungo tra i corpi dei caduti e ci ha dato incarico di portarti da lui se e quando ti avessimo trovato. Vieni!
Aveva seguito il soldato dirigendo verso il comando sannita in prossimità del quale era stato accolto da un grido di gioia e con un abbraccio da Numerio.
– Mio padre ci aspetta, vieni andiamo da lui. Sei ferito?
– Tutto a posto amico – lo aveva rassicurato – andiamo pure.
Nelle immediate vicinanze del palazzo che Capi aveva eletto come proprio comando regnava un maggior ordine ma solo perché in quel quartiere, già in precedenza occupato dai sanniti, si era combattuto meno duramente. Nell’atrio sostava un gruppo di ufficiali venuti a rapporto ed i presenti ancora portavano addosso i segni della battaglia. Si commentavano gli scontri avvenuti, si calcolavano le perdite subite, si stimava il numero dei prigionieri fatti ed il bottino preso. Vedendo arrivare Numerio i presenti gli avevano fatto largo perché lo sapevano atteso.
– Da mio padre – stava intanto dicendo Numerio – sono riuniti i cittadini più importanti della città e si stanno prendendo accordi per avviare nuovamente e nel più breve tempo possibile il governo della città e si deciderà anche quale presidio sannita dovrà rimanere in città, così come i nuovi governanti non mancheranno di richiederci. Insomma nulla di diverso dal solito anche se occorre fare un po’ di scena.
Poi Numerio aveva cambiato argomento.
– Mi hanno detto che ti sei battuto come un leone e che ti sei sempre trovato nei punti più caldi dello scontro. Mio padre mi ha detto di rallegrarmi con te a suo nome e di portarti da lui se ti avessi trovato vivo visto che improvvisamente eri scomparso. Come ti é parsa la tua prima battaglia?
– In effetti preferirei non parlarne perché, se anche é vero che abbiamo solo di poco prevenuto i nostri nemici, mi sono sentito come chi ha preso parte ad un attacco proditorio. Inoltre c’è stato troppo spargimento di sangue innocente e ti devo confessare che non mi sento del tutto fiero di me. Avevo immaginata diversamente la mia prima vera battaglia. Avevo sempre sognato di battermi in campo aperto e di avere di fronte a me un esercito e non come è stato un’ accozzaglia di soldati e civili. Oggi non mi sento, se anche questa é guerra, il soldato che avevo immaginato di essere. Ma forse cambierò idea quando non avrò più davanti agli occhi tutti questi morti innocenti. Devo ammettere che vedere donne e ragazzi uccisi senza provare per loro la minima pietà mi ha scosso perché le loro morti mi sono sembrate oltre che crudeli anche inutili. Credo di essere improvvisamente invecchiato, o forse maturato, e ti devo confessare che non è questo che sognavo come soldato ma so però che la mia vocazione non é neanche quella di dedicarmi anima e corpo alla gestione dei beni di famiglia e che non potrò mai essere un buon commerciante. E quindi, nonostante tutto, non mi resta che seguire la via delle armi.
Numerio aveva ascoltato in silenzio lo sfogo del giovane amico. Più anziano di lui di dieci anni, cresciuto in una famiglia dove gli uomini avevano prevalentemente seguita la via delle armi e figlio di un famoso comandante non comprendeva il turbamento dell’amico. Per quanto ricordasse nella sua infanzia come nella sua gioventù non aveva conosciuto altra vita che quella militare con il naturale corollario di villaggi incendiati, donne violentate, nemici ridotti in schiavitù. Inoltre avendo più volte assistito allo scempio fatto dai nemici alla sua gente trovava naturale ripagarli con eguale moneta senza porsi problemi. Non che in questo provasse piacere ma considerava il tutto come parte dello stesso gioco. Si stupiva quindi per gli scrupoli del suo amico, al quale era affezionato come ad un fratello minore, notando con dispiacere come fosse improvvisamente cambiato rispetto allo spavaldo ragazzo che aveva incontrato nella Pentria un tempo che, per quanto recente, sembrava ora, ma per il solo Papio, diventato improvvisamente remoto. Ma ovviamente, comprendendo il suo stato d’animo, si era astenuto da ogni commento.
I discorsi di Papio se non fossero stati rivolti all’amico sarebbero potuti persino suonare quelli di un disfattista e per questo Numerio era stato contento che quello sfogo, forse estemporaneo e passeggero, fosse avvenuto senza testimoni. Lui non avrebbe mai tradito l’amico. Tra loro si era venuta creando una intesa così profonda che meravigliava lo stesso Numerio che in effetti non aveva mai avuto un amico ma solo commilitoni.
– Comunque con te andrei dovunque- aveva concluso Papio- tutto questo passerà e sarà presto dimenticato. Quale sarà la nostra prossima meta ora che Volturno é nostra? Muoveremo subito su un nuovo obiettivo?
– Ora ti riconosco, la tua curiosità sta tornando e con lei il Papio che conosco. Mio padre resterà qui per riorganizzare la vita cittadina e per sbrogliare complicati affari burocratici, come strutture cittadine, tributi, rifornimenti e tutte quelle incombenze che per un comandante costituiscono parte integrante del suo comando. Alcuni reparti nel frattempo, e credo senza troppi problemi, provvederanno ad occupare le città che facevano capo alla lega volturana. Ma non ti ho detta la novità! I volturani grati del nostro intervento che li ha liberati dal dominio etrusco hanno deciso di cambiare il nome della città per cancellare ogni memoria degli etruschi. In onore di mio padre la città d’ora in avanti sarà chiamata Capua. Ti confesso che la cosa mi rende orgoglioso perché non é da tutte le famiglie legare in modo così duraturo il nome ad una impresa.
– Capua– aveva commentato ad voce alta Papio – é un bel nome per una così bella e ricca città. Capua, la parola rende l’idea della capacità agricola di questa terra. Un bel nome ed un’ottima memoria per i posteri. Ma dimmi é vero che tuo padre vuole parlarmi? Cosa potrà volere da me?
– Frena la tua innata curiosità tanto più che lo tra poco lo saprai direttamente da lui.
Erano poi entrati nell’ampia stanza dove Capi, vestito di abiti sontuosi, stava congedando i notabili che si andavano ritirando con grande sussiego. Su di un tavolo di fronte a lui c’erano numerosi documenti che aveva ignorato per rivolgersi al figlio ed al suo amico.
– Numerio mi dice che non riesce a nasconderti nulla quindi già conoscerai la missione che ho intenzione di affidarvi– aveva detto rivolgendosi direttamente a Papio con aria amichevole e con un ampio sorriso.
– Questa volta in verità non so nulla.
-Allora lo saprai direttamente da me. La nostra prossima meta é Cuma, una città ricca, dal controllo della quale pensiamo di trarre notevoli vantaggi. Io dovrò trattenermi qui per un periodo di tempo necessario a subentrare nel controllo delle città della lega volturana, ma a guadagno di tempo intendo acquisire informazioni, diciamo di prima mano, su Cuma visto che in città, a differenza di Volturno, non possiamo fare affidamento su persone che dall’interno ci preparino il campo. Per questo ho deciso di mandare mio figlio in città perché so di potermi fidare del suo giudizio e delle sue impressioni. Voglio un quadro preciso sugli umori della popolazione nei nostri confronti, sulle opere di difesa, sulla consistenza delle forze nemiche ed ogni altro dato che ci metta in grado di elaborare un piano di conquista che comporti il minor numero di perdite su entrambi i fronti. Preferisco che Numerio non sia da solo in questa avventura e l’ho invitato a scegliersi un compagno di sua fiducia. Ha scelto te anche se a mio avviso sei troppo giovane ma, come ti ho appena detto, ho molta fiducia nel giudizio di mio figlio per dubitare della bontà della sua scelta. Avete domande?
Visto che nessuna domanda gli era stata posta aveva proseguito.
– Penso che sia opportuno che partiate non appena possibile anche se non penso di muovere su Cuma prima della primavera prossima. Scioglierò infatti il grosso dell’esercito perché in patria i lavori agricoli richiedono valide braccia ma l’ ulteriore convocazione é già operativa.
Capi aveva poi ritenuto opportuno dare ai due giovani alcune informazioni sulla loro prossima destinazione e più in generale sugli obiettivi prefissati tanto per la loro campagna quanto per eventuali altre che già erano state programmate per il futuro.
– Cuma, a differenza di Volturno e di gran parte delle città campane, è essenzialmente una città greca. E’ stata infatti fondata dai greci provenienti dall’isola di Eubea che, primi fra i greci, spinti dalla necessità di procurarsi ferro ed altri minerali per primi guardarono all’Occidente dando origine nell’isola di Pitheucasai (Ischia) a quella che sicuramente è stata la prima colonia greca sulla nostra penisola. Una colonia presto diventata un grande emporio internazionale frequentato da greci, italici e fenici in quanto era fiorente un’attività artigianale che andava dalla lavorazione del ferro e del bronzo a quella della ceramica e dell’oreficeria. Dopo circa trent’anni dal loro primo insediamento gli eubei, in quanto minacciati da terremoti e da eruzioni di fuoco misto ad acqua marina e ad acque calde, preferirono, al primitivo insediamento nell’isola, la terraferma fondando, nel territorio degli Opici, Cuma .Una città che si è rivelata fondamentale non solo per il controllo della navigazione e dei numerosi porti naturali e delle isole della zona ma anche per il dominio dell’ampia pianura retrostante. Una città che ha valorosamente saputo tener testa tanto alle popolazioni indigene quanto alle mire degli etruschi di Volturno. Cento anni fa proprio ai cumani ed alla loro fiera opposizione agli etruschi si deve l’arresto della loro espansione nel sud. Si parla di una grande battaglia vinta dal cumano Aristodemo il Mulaco che con soli quattromila e cinquecento fanti e seicento cavalieri avrebbe sconfitto cinquecentomila fanti e diciottomila cavalieri etruschi. Un trionfo, o una vanteria, che viene in gran parte attribuita al fatto che Aristodemo sia riuscito ad ingaggiare il combattimento su un terreno che ben conosceva, accidentato, ricco di laghi ed alture, che non ha consentito agli etruschi di manovrare e di mettere a frutto la loro schiacciante superiorità numerica. Una sconfitta che gli etruschi hanno cercato di riscattare cinquant’anni dopo per essere nuovamente sconfitti,questa volta in uno scontro navale, dai cumani aiutati dai siracusani.
Vi dico questo per farvi comprendere come questa volta il nostro compito sarà più difficile e che non potremo contare su un appoggio interno visto che la popolazione è prevalentemente greca. Ritengo utile fornirvi anche qualche precisazione sugli ulteriori obiettivi di questa nostra spedizione. Oltre alla lega volturana esistono in zona altre due leghe che fanno rispettivamente capo a Nola e Nocera e a quest’ultima aderiscono ricche città come Hercolaneum, Pompei, Stabiae e Sorrentum che, dopo Cuma, saranno i nostri prossimi obiettivi in Campania.
Dovete sapere, anche se i termini di “Campania e campani” spesso vengono impropriamente usati, che non ci troviamo di fronte, come questi termini presupporrebbero, ad un unico soggetto politico in quanto in questa parte del paese sono variamente presenti diverse etnie, greci, osci, sidicini ed aurunci. Etnie non politicamente coese e questo ovviamente costituisce un motivo di debolezza politica delle diverse città mentre l’indubbia ricchezza, tanto agricola che mercantile di questa parte del paese non può non suscitare l’interesse tanto nostro che dei romani. Con la nostra spedizione, prima che in Roma si rafforzi il partito che sostiene l’espansione verso il sud, intendiamo anticipare un’analoga iniziativa romana. Il pieno controllo della Campania presupporrebbe anche il controllo di Neapolis e del suo territorio prevalentemente costituito dalle tre isole del golfo, ma per il momento, anche se più di ogni altra città campana potrebbe essere una facile preda, non rientra tra i nostri obiettivi militari. Neaoplis, come del resto fa intendere il suo nome, è la più recente tra le città campane e costituisce una realtà del tutto particolare. Dove ora sorge la città un tempo esisteva la colonia cumana di Partenope che la stessa Cuma prima ha distrutto per aver dato asilo a propri dissidenti e poi ha rifondata, per adempiere ad una prescrizione oracolare fatta in occasione di una epidemia. Ma mentre sulle rovine di Partenope si ricostruiva la nuova città più o meno nello stesso sito o nelle immediate vicinanze si erano avuti anche consistenti insediamenti di osci così che l’odierna città in pratica si può considerare come l’insieme di una Paleopolis osca e di una Neapolis greca. Per il momento ci limiteremo a prendere contatti politici con la fazione osca e filo-sannita sperando di non dover dare, ma comunque in tempi successivi alla nostra spedizione, inizio ad una conquista militare della città che resta uno dei principali obiettivi della nostra politica di espansione.
Sicuramente Capi non aveva altro da aggiungere e per entrambi aveva presa la parola Numerio.
– Saremo pronti a partire in un paio di giorni e ci presenteremo a Cuma come volturani scappati allo arrivo dei sanniti. Per nostra fortuna, anche se a Cuma la lingua prevalente è quella greca l’ osco è altrettanto abitualmente parlato e da questo punto di vista non dovremmo avere particolari problemi. Vuol dire che nei primi tempi ci prenderanno per dei provinciali privi di cultura ma ciò non sarà un male.
– Direi anzi– aveva suggerito Capi- che potrete mettere a frutto il vostro soggiorno in città per frequentare una delle tante rinomate scuole cittadine. Per dei futuri comandanti come spero voi sarete, non sempre è sufficiente essere un valoroso combattente e una buona base culturale spesso può fare la differenza. Frequentare una scuola costituirà anche una buona copertura e vi permetterà di inserirvi nella vita locale senza dover bighellonare come degli sfaticati che finirebbero per attirare l’attenzione delle autorità che, sapendoci non lontani, saranno particolarmente vigili soprattutto con gli stranieri. Che Marte vi protegga. Sapete il nostro programma; quindi starà a voi scegliere modi e tempi per farmi giungere le informazioni che voglio .
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[1] Paride Bonavolta, agnonese nella testa, nel sangue e nel cuore, da anni è tornato a vivere in Molise con tanta voglia di mettersi a disposizione per il bene del territorio. Chiunque, interessato alle sue aspirazioni, può contattarlo tramite i seguenti contatti: e-mail: paride.bonavolta@virgilio.it; cellulare: 335 6644839
Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine