Storia, guerre, passioni nei trecento anni di lotta dei Sanniti, i veri rivali di Roma
Storia romanzata di Paride Bonavolta
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In questa parte ottava della storia romanzata dedicata ai Sanniti, Papio, da poco rientrato in patria, torna al suo villaggio e, come promesso a Demetra, incontra la sua nuova compagna di vita, Gaia.
I rivali di Roma – Papio – Parte Ottava
Era poi giunta dal padre la risposta che attendeva. Il ritardo della risposta – aveva precisato suo padre – non era certo derivato dalla difficoltà di trovare famiglie disponibili a dare una figlia a Papio Pentro, bensì al contrario.
La ragazza -lo aveva informato – si chiamava Gaia, aveva diciotto anni ed era l’unica figlia di Titinio Sesto, un maggiorente della vicina città di Aesernia. Era – sempre a dire di suo padre – di piacevole aspetto ed era avvezza alla conduzione di una casa e delle annesse proprietà e disponeva di notevoli mezzi personali e molti di più ne avrebbe un giorno ereditati dalla sua famiglia. Ma, cosa che il padre sottolineava in modo particolare, Gaia parlava correttamente il greco ed il latino oltre a saper leggere, scrivere e gestire anche non semplici contabilità.
Papio non aveva più motivo per trattenersi presso l’amico Numerio e, salutandolo dopo il lungo e piacevole periodo trascorso insieme, si erano reciprocamente ripromessi di mantenersi in contatto. Quella lunga parentesi in Irpinia aveva in parte rimarginata la sua ferita per la perdita di Demetra e Livia, con la quale aveva stabilito un ottimo legame, gli era stata di grande aiuto anche perché aveva, con convinzione, condivisa la sua decisione di assecondare alla cieca la promessa fatta a Demetra sostenendo che un uomo di un certo livello sociale e culturale aveva bisogno di una compagna che lo sollevasse da una serie di problemi pratici della vita quotidiana.
Il viaggio di ritorno verso la Pentria ed il suo villaggio era stato volutamente lento per avere l’occasione di familiarizzare nuovamente con la sua terra ed i suoi abitanti che ora, alla luce delle recenti esperienze di viaggio, credeva di vedere con occhi del tutto diversi. Nel suo lento viaggiare aveva anche riscoperto il piacere che gli davano le sue montagne, ed il riassaporare suoni, odori e cibi che nei lunghi anni di lontananza gli sembrava quasi di aver dimenticati.
Forse, più o meno inconsciamente, voleva anche ritardare l’ incontro con la sconosciuta che nella sua vita anche se non nel suo cuore avrebbe preso d’ora in avanti il posto di Demetra.
Quando mancava ormai poco al suo arrivo aveva deciso di accamparsi presso le rive del familiare torrente presso il quale, gli sembrava passato un secolo, gli era sempre piaciuto, a seconda dei casi, riposarsi o nascondersi. Era rimasto lì per tre giorni in perfetta solitudine procurandosi la selvaggina e riscoprendo semplici gesti ed abitudini della sua infanzia.
Dopo questa sosta aveva affrontato l’ultima parte del viaggio rendendosi conto del fatto che il suo arrivo ormai doveva essere atteso con impazienza. Sulle rive di quel familiare torrente si era mentalmente separato da Demetra e dal suo grande amore perduto.
Il ritorno era stato salutato dall’intero villaggio come un grande avvenimento. Era chiaro che tutti sapevano che la sua lontananza era stata motivata da un incarico che ricevuto dal Consiglio della Lega e che, conseguentemente, guardavano a lui come ad una persona sulla quale il Consiglio intendeva fare affidamento. Tutti sembravano ansiosi di incontrarlo non solo nella convinzione che si sarebbero trovati di fronte ad una persona molto diversa dal ragazzo che avevano conosciuto ma per rinnovare un loro legame con un uomo sicuramente destinato ad avere, in futuro, un ruolo di primo piano nella vita del suo popolo.
Nonostante il calore dell’accoglienza, non gli era stato facile reinserirsi nella quotidianità della vita del villaggio e della famiglia. Nessuno in famiglia gli aveva chiesto di reinserirsi nei quotidiani ed immutabili lavori della loro vita rurale ed era del tutto evidente che tutti ritenevano che quella quotidianità, che del resto non aveva mai accettata già prima della sua partenza, non avrebbe fatto parte del suo futuro e che molto probabilmente non si sarebbe neanche trattenuto a lungo nel villaggio natale. Suo padre gli aveva chiaramente precisato che proprio quella convinzione lo aveva guidato nella scelta della sua futura moglie.
– Figliolo capisco che il nostro mondo non possa più essere il tuo ed anche per questo ti ho scelta una sposa che non sia di questo villaggio. Non sentirti legato a noi materialmente ma siilo solo affettivamente. Io ed i tuoi fratelli manderemo avanti gli affari di famiglia e cureremo per tuo conto quella che un domani sarà la tua parte. Sentiti quindi libero di scegliere la tua via.
– Ti ringrazio padre. In effetti anche se non ho chiari i miei programmi futuri credo che sia mio dovere trasferire ad altri quello che mi é stato concesso di apprendere così come tanti anni fa a Cuma un buon maestro ha fatto con me. Sarò, come lui soleva definirsi, un seminatore delle menti. Credo che questo oltre che darmi piacere sia anche un preciso dovere verso la mia gente.
Per formalizzare personalmente gli accordi matrimoniali presi da suo padre e per conoscere il padre della futura sposa si era riproposto un viaggio ad Aesernia ma Titinio Sesto, in segno di evidente rispetto, aveva insistito per incontrarlo nel suo villaggio.
Durante l’ incontro si era anche parlato dei suoi programmi futuri ed il futuro suocero aveva espresso la speranza di un suo trasferimento ad Aesernia dove sicuramente si sarebbe potuto inserire in una realtà ben più dinamica e dove più facili sarebbero stati i contatti con il mondo della politica e della cultura.
–Trasferisciti ed insegna ai giovani che non hanno mai lasciate queste terre quanto devono sapere. E’ vero che hai solo venticinque anni ma nessuno ha mai detto che per essere un maestro sia necessario essere anziano ed avere una lunga barba bianca da carezzare con aria pensosa. Trasferendoti e dedicandoti all’insegnamento potrai anche garantire una maggiore disponibilità a chi governa il paese e sicuramente intende fare affidamento su di te nell’interesse della nostra gente.
-In effetti Titino Sestio la tua proposta collima con quelli che sono i miei ancora vaghi programmi. Mi riservo comunque di prendere una decisione definitiva quando verrò ad Aesernia per il matrimonio.
Era giunto infine il giorno delle nozze con Gaia e quello nel quale per la prima volta avrebbe incontrato la futura sposa. Incontrandola, aveva dovuto ammettere che era decisamente bella, di una bellezza non vistosa ed appariscente ma pacata e che aveva una figura armoniosa.
I riti matrimoniali erano stati all’altezza del livello sociale ed economico di Titino Sestio e la più evidente prova ne era stato il numero e la notorietà degli invitati così anche la qualità e quantità del cibo e dei vini a disposizione degli ospiti.
I prescritti sacrifici votivi non erano stati da meno e gli auspici tratti dai sacerdoti si erano rivelati favorevoli. L’atmosfera gioiosa della giornata, ma soprattutto il fatto che la maggior parte delle persone presenti volesse parlargli, conoscerlo e porgli domande sulle sue esperienze di viaggio, avevano fatto volare il tempo e praticamente l’avevano tenuto lontano dalla sposa. Molti dei presenti avevano chiesta conferma del fatto che intendeva aprire una scuola e molti gli avevano chiesto di prendere come allievi i propri figli anche se a Papio erano in effetti risultate più gradite le medesime richieste direttamente avanzate da alcuni giovani perché questo, se non altro, denotava un loro diretto interesse.
Si era infine ritrovato solo con Gaia, la sposa che non conosceva. Nella stanza che era loro stata destinata il talamo nuziale incombeva su di lui come a ricordargli che ormai aveva dei doveri verso quella donna e che questi riguardavano anche la sfera sessuale. Presa una coppa di vino, quasi a guadagnare tempo, ne aveva sorseggiato il contenuto mentre Gaia, rientrata nella stanza già vestita per la notte di una casta tunica che ne mascherava il corpo pur lasciandone intendere la grazia e la saldezza, sembrava discretamente in attesa di una qualsivoglia sua iniziativa.
Papio considerava che era nuovamente il mese di maggio, quasi che questo fosse il mese per lui destinato a dare avvio ai suoi affari di cuore. Ma in questo caso più che di affari di cuore si trattava in effetti di un contratto assunto nei confronti di una donna che ovviamente non poteva amare e della quale, al momento, conosceva solo l’aspetto esteriore pur avendone apprezzata durante quella lunga e faticosa giornata la grazia con la quale si era condotta con gli ospiti ed i genitori di entrambe le famiglie.
Ancora vestito di tutto punto, aveva poi visto che Gaia si infilava sotto i lini nuziali. Rendendosi conto che la situazione stava diventando grottesca, aveva lasciata la stanza uscendo nel patio quasi sperando che l’aria fresca della notte lo potesse aiutare nella scelta dei successivi passi. Quando era rientrato Gaia si era assopita. Spogliatosi si era disteso al suo fianco incerto se carezzarla, parlarle, o semplicemente lasciarsi vincere dal sonno ma si era poi limitato a guardarla come per abituarsi a quella nuova presenza che d’ora in avanti avrebbe avuta al suo fianco in quanto per gli dei e per gli uomini si sarebbero appartenuti per il resto dei loro giorni. Quella donna non la conosceva, aveva persino sentito solo di sfuggita il timbro della sua voce, non sapeva nulla dei suoi pensieri e la conoscenza che ne aveva, se così poteva definirsi, si limitava al solo involucro esterno. Per quella notte non avrebbe teso nessuna mano verso di lei. Prima doveva conoscerla e presa questa non facile decisione si era a sua volta assopito.
Al suo risveglio non l’aveva trovata al suo fianco ma la sua sconosciuta sposa era entrata poco dopo nella stanza annunciandogli che tanto il suo bagno che la colazione erano pronti e che se avesse voluto cavalcare il suo cavallo era già pronto.
– Se lo desideri– aveva aggiunto- sarei felice di cavalcare con te. Cosa che mi dicono disdicevole per una donna ma io adoro cavalcare, e finora mi sono dovuta accontentare, quando mio padre non mi poteva accompagnare, della vigile compagnia di un anziano servo fidato.
L’offerta di cavalcare insieme era, da Papio, stata accettata. Quando era montata in sella la corta tunica che indossava aveva lasciato in buona parte scoperte le gambe abbronzate che denotavano una sana vita all’aria aperta. Pur non avendo posta alcuna malizia nei gesti, a Gaia non era sfuggito che lo sguardo di Papio aveva indugiato sulle sue gambe e ne era stata lusingata. Avevano cavalcato a lungo su sentieri che lei dimostrava di avere in grande familiarità e che per difficoltà mettevano in evidenza le sue doti di cavallerizza.
– Sei una perfetta cavallerizza– aveva notato Papio per rompere il silenzio che seppur piacevole gli sembrava scortese.
– Sono contenta che lo dica visto che il complimento viene da un soldato che a quanto mi è stato detto ha militato nella cavalleria.
– Ho sempre amato cavalcare e ti sarei grato se anche in avvenire vorrai continuare a farlo con me. Cosa altro ti hanno detto di me?
Un punto a mio favore aveva pensato Gaia prima di rispondere.
– Mi hanno molto parlato di te quasi dovessero convincermi ad accettare l’uomo che mi era stato destinato pur sapendo che avrei comunque rispettata la scelta fatta da mio padre. Preferirei però, se vuoi, che fossi tu stesso a parlarmi di te.
Procedevano al passo in un campo di farro e Papio aveva trovato naturale raccontarle dei sogni giovanili di fare il soldato, della prima vera battaglia sostenuta a Capua e del dispendio di vite umane, molte delle quali innocenti, al quale era stato partecipe. Le aveva poi parlato del suo soggiorno a Cuma e dell’affetto che l’aveva legato al suo maestro e del nuovo mondo che grazie a lui aveva conosciuto.
– Senza quel vecchio caro Archelao oggi sarei un soldato come tanti altri e forse, anche se ne dubito, sarei tornato a dedicarmi alla gestione dei beni di famiglia come si conviene a chiunque viva su queste terre, soldato o no che sia. Avendo invece assaporato le gioie dello studio e della conoscenza ed avendo per decisione del nostro Consiglio a lungo viaggiato in paesi lontani ho trovata una diversa e per me più vera ragione di vita. Nei miei immediati progetti rientra quello di aprire una scuola per trasmettere ad altri quanto io stesso ho imparato. Spero di poter essere un buon maestro.
Gaia non gli aveva poste altre domande e dopo un ulteriore silenzio aveva ripreso a parlare.
– Mi hanno detto che anche tu hai studiato.
– Non certo, per il solo fatto di essere donna, nel modo che tu intendi . Mi potrei definire un’ autodidatta. Commerciando mio padre in granaglie e trattando con persone di paesi diversi la nostra casa è sempre stata piena di forestieri. Fin da piccola, ho preso ad ascoltare i loro discorsi e mi sono sforzata di capirli e quindi ho appreso quanto so e devo ringraziare mio padre che non mi ha ostacolato e che è sempre stato pronto a rispondere alle mie domande e a fornirmi i chiarimenti richiesti. Non ci sono scuole qui da noi e comunque sarebbe stato sconveniente per una donna accedervi. Ma ovviamente le mie conoscenze sono limitate e proprio per questo spero che vorrai dedicarmi un po’ del tuo tempo libero perché ci sono tante cose che vorrei imparare.
– Sarà un vero piacere. Anch’io ho ancora tanto da imparare e quindi impareremo insieme. Mi é già capitato di dividere le mie ore di studio con una ragazza e ti posso assicurare che la cosa si è rivelata non solo piacevole ma anche utile per entrambi.
Ed era stato naturale parlarle di Demetra, del loro amore e alla sua prematura morte. Non le aveva neanche taciuto le ragioni che l’avevano indotto a delegare a suo padre la scelta della sua futura moglie.
Gaia aveva saputo ascoltarlo in silenzio, felice che le avesse parlato a cuore aperto anche di Demetra e del fatto che sposandola aveva assecondato un desiderio della stessa. Era felice della sua franchezza e soprattutto di quella onesta e sicuramente non facile ammissione riguardo alla motivazione della loro unione. Sapere che la loro unione era stata pianificata da una donna che aveva avuto un ruolo fondamentale nel cuore di Papio e che da lei principalmente si aspettava una discendenza non l’aveva turbata e al contrario si era sentita riconoscente verso quella donna che aveva fatto sì che ora lei fosse la sposa di quell’uomo sicuramente bello, interessante e colto.
Dopo la loro prima cavalcata e la franchezza con la quale Papio le aveva parlato fra loro si era stabilito un amichevole cameratismo rinsaldato dalla reciproca e progressiva conoscenza e Gaia, comprendendo ed accettando il fatto che lui non si sentisse ancora pronto ad avvicinarsi a lei in quanto donna aveva evitato qualunque occasione di imbarazzo e, certa di non offenderlo, aveva provveduto in modo discreto a dare disposizioni perché Papio, volendo, come in effetti aveva fatto, potesse dormire in una camera contigua alla sua senza che la cosa fosse risaputa se non dalla sola fedele nutrice che era al suo servizio.
Papio aveva cominciato ad organizzare la sua scuola spesso anche recandosi, su richiesta del Consiglio della Lega, a Bovianum e questo, a parte le cavalcate in comune, aveva inevitabilmente comportato che ognuno vivesse la sua giornata ma la sera, pur dormendo in camere separate, era tacitamente diventata una abitudine, piacevole per entrambi, ritrovarsi, lontani dal resto della famiglia, per scambiare delle impressioni sugli avvenimenti della giornata o per affrontare od approfondire argomenti che appassionavano entrambi e sui quali amavano confrontarsi.
Una sera che Papio era inaspettatamente rientrato a casa da un viaggio che l’aveva portato ad assentarsi da casa per più giorni era entrato nella stanza di Gaia, senza rendersi conto che lei non si aspettava d’incontrarlo. L’aveva trovata, già pronta per la notte con una corta tunica intenta a spazzolarsi i capelli, in piedi davanti alla lastra di argento nella quale si specchiava. Il fuoco di un braciere che ardeva nel centro della stanza rendeva trasparente la sua leggera tunica.
Si era fermato incerto se ritirarsi o fare in modo che si accorgesse della sua presenza. L’ intimità di gesti gli avevano ricordato quelli del tutto analoghi della donna che aveva amato e la trasparenza della tunica aveva risvegliato il giovane sano che era in lui. Gaia come se sentisse i suoi occhi su di sé si era girata verso la porta scorgendolo.
– Scusa la mia intrusione senza preavviso.
– Non devi scusarti . Hai diritto di essere qui se vuoi.
Ferma di fronte a lui e sicuramente consapevole della trasparenza della sua tunica Gaia non aveva accennato a coprirsi né aveva ripreso a spazzolarsi i capelli.
– Continua a pettinarti, te ne prego.
Tornata a girarsi Gaia aveva sentito Papio avvicinarsi e poi le sue mani sulle spalle che la giravano verso di lui. Le loro labbra si erano incontrate e infine si erano stretti l’uno nelle braccia dell’altra.
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Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine