Cap. 19 – I rivali di Roma – Tauro

Storia, guerre, passioni nei trecento anni di lotta dei Sanniti, i veri rivali di Roma

di Paride Bonavolta

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In questa Parte diciannovesima della storia romanzata [1], siamo negli anni 340-328 a.C. I Sanniti e i Romani trovano una intesa che suscita la sdegnata reazione dei popoli Aurunci, parte dei Volsci e le città latine di Tivoli, Pedo, Praeneste, Tuscolo, Aricia, Lanuvio, Velitrae, Setia, Circei e Signa cui si aggiunge Capua. Romani e Sanniti vincono lo scontro, con Roma sempre più aggressiva e i Sanniti preoccupati di questo atteggiamento dei Romani. Roma aggrega i popoli vinti. I sanniti hanno a che fare con Taranto e il suo alleato il re d’Epiro Alessandro il Molosso zio materno di Alessandro Magno, desideroso di creare un suo regno sul suolo italico. Intanto il primogenito di Tauro, Mamerco, divenuto giovane, chiede di poter essere anche lui un soldato come il padre Tauro e il nonno Papio. E, come soldato affianca il padre nella vittoria contro Alessandro il Molosso.

Alessandro_il_Molosso arriva a Taranto

I rivali di Roma – Tauro – Parte diciannovesima

340-338 a.C. Il successo dell’ambasceria portò personale prestigio a Tauro che in previsione della ripresa delle ostilità con i Sidicini si vide affidato il comando del nuovo esercito che, giusti i recenti accordi, si andava preparando.

            Quando tutto fu pronto mosse verso Teanum deciso a concludere in tempi brevi la campagna. Ma l’accordo di spartizione raggiunto tra romani e sanniti suscitò la sdegnata reazione dei popoli che si erano visti considerare come oggetto di una trattativa che non li aveva coinvolti e che comunque non intendevano riconoscere. Gli Aurunci, parte dei Volsci e le città latine di Tivoli, Pedo, Praeneste, Tuscolo, Aricia, Lanuvio, Velitrae, Setia, Circei e Signa decisero di resistere in armi contro i romani mentre i Sidicini ed i restanti Volsci si prepararono a fare altrettanto con i Sanniti . Scese in campo aderendo alla coalizione anche Capua che, contando di essere l’entità più determinante nella coalizione che si andava formando, riteneva di non avere nulla da temere dai nuovi alleati mentre tutto invece aveva da temere entrando nell’orbita di Roma. Si venne quindi a costituire, in funzione tanto antiromana che antisannita, un fronte comune latino- volsco- aurunco- sidicino- campano omogeneo e territorialmente compatto cosa che invece non avrebbero potuto realizzare i loro avversari.

            Fu quasi giocoforza, per romani e sanniti, fare a loro volta fronte comune. La marcia dei romani mirata a ricongiungersi con le forze sannite non fu delle più facili e fu necessario da Sora attraversare territori pure recentemente acquisiti dai sanniti in danno dei volsci per aggirare le città ribelli che quasi senza interruzione chiudevano il loro cammino verso sud ed est. Il ricongiungimento era stato fissato in modo che gli eserciti una volta riuniti potessero muovere su Capua così da affrontare il più forte dei nemici ed impedire il ricongiungimento dei campani con i loro alleati del nord.

            Tauro aveva il comando delle truppe sannite mentre quelle romane erano sotto il comando dei consoli Decio Mure e Tito Manlio Torquato e quest’ultimo incontrandolo si era mostrato molto amichevole ricordandogli loro precedenti incontri.

            – Che tu lo creda o meno questa è la terza volta che le nostre strade si incrociano e la cosa è sempre avvenuta in circostanze fra loro diverse.

Anche Tauro lo aveva riconosciuto.

            -Anch’io mi ricordo di te Tito Manlio. Il nostro primo incontro, sarebbe meglio definirlo più propriamente scontro, è stato a Sessuela dove militavi nelle file dell’esercito del console Valerio. Il secondo è questo, ma non ricordo il terzo.

            -Ti ho colto impreparato sannita- scherzò il console- Ma oltre le occasioni da te ricordate ce ne è stata un’altra a tutte precedenti e me lo hai ricordato parlando davanti al Senato quando hai detto di essere il figlio di Papio Pentro. Non ricordi una sera di tredici anni fa quando a Roma, nel foro, mentre accompagnavi tuo padre, ti imbattesti in un gruppo di giovani romani che pensasti ridessero di te? Uno di quei giovani ero io e quella sera allontanandoci qualcuno di noi riconobbe nell’uomo che accompagnavi tuo padre. Ma non è finito qui il nostro legame. Il padre di mio padre, Lucilio Manlio, ha conosciuto e frequentato a Roma tanto tempo fa tuo padre Papio Pentro e la sua compagna morta nella nostra città . Mio nonno ne ha sempre parlato come di una bellissima coppia dove lui eccelleva per la cultura e lei per la bellezza. Mi ha sempre stupito sentire a Roma tanti elogi di un sannita in quanto da noi i bambini vengono cresciuti con lo spauracchio del rozzo sannita che lascia le sue montagne e le sue pecore per lavarsi le mani nel sangue dei propri nemici.

            Tauro aveva riso di cuore .

            –Da noi –confessò- si dice qualcosa di simile di voi romani accusati di essere, in virtù del fatto che il vostro primo re sia stato allattato da una lupa, dei famelici divoratori di popoli.

Risero entrambi, contenti che dovendo affrontare la stessa impresa fianco a fianco avessero trovato nel loro passato dei precedenti legami che sembravano averli predestinati a questo nuovo incontro questa volta l’ uno al fianco dell’altro.

            I due schieramenti avversi si trovarono infine di fronte ed ognuno prese il campo in attesa dell’inevitabile scontro. Una mattina l’attenzione di Tauro fu attirata da un gran vocio proveniente dal vicino campo romano e vide che l’attenzione dei romani era rivolta verso lo spazio aperto che divideva i due eserciti contrapposti dove si stavano battendo in duello un romano ed un latino. Chieste notizie apprese che il romano era il figlio di Tito Manlio che uscito in esplorazione con alcuni cavalieri, era stato indotto a battersi in duello da un amico tuscolano, Gemino Mecio, che militava nelle file nemiche. Un duello avvincente che si concluse quando essendo stato colpito il cavallo del tuscolano questi caduto a terra era stato mortalmente colpito dal romano.

            Urla di gioia si erano levate dal campo romano dove tutti già avendo abbandonata ogni occupazione per seguire il duello corsero poi incontro ai rientranti cavalieri per festeggiare la vittoria. Un improvviso silenzio seguì all’apparire del console Tito Manlio e con stupore Tauro vide che i littori del console dopo averne legato il figlio procedettero a recidergli la testa. Apprese che la crudele punizione era stata decretata dallo stesso Tito Manlio per punire il figlio che oltre ad essere venuto meno all’ ordine che vietava ogni scontro non strettamente necessario aveva conseguentemente fatta venir meno la vigilanza del campo romano.

            Solo dopo che il corpo del morto fu bruciato su una pira sulla quale erano state pure deposte le armi del tuscolano ucciso nel silenzio generale udì distintamente la voce di Tito Malio che parlava ai suoi soldati.

            –Quanto è successo sia un monito per tutti. Un soldato di Roma ha violato gli ordini ricevuti e ne ha subite le conseguenze . Ricordatelo! I soldati di Roma traggono la loro forza da due cose: il loro valore individuale e l’obbedienza. Oggi abbiamo di fronte dei nemici che fino a poco tempo fa consideravamo amici, molti di loro hanno combattuto nelle nostre legioni, indossano le nostre stesse armi, combattono con gli stessi nostri metodi, parlano la nostra lingua. Molti li conosciamo per nome. Tutto questo esige che la disciplina che ha sempre caratterizzato i soldati e le legioni di Roma oggi vada più che mai riaffermata così che appaia come monito a chi ci sta di fronte in armi. Presto ci scontreremo con vecchi compagni d’arme che essendosi ribellati a Roma dobbiamo punire ed un successo impone il massimo rispetto della disciplina. Ricordatelo! Oggi avete avuto un esempio del fatto che sarò inflessibile con chiunque venga meno agli ordini ricevuti o mostri debolezza di fronte al nemico!

            Quando più tardi Tauro si ritrovò con il console amico vide, sul viso dello stesso, i segni del dolore e, in silenzio, l’abbracciò cercando di dargli un conforto che non sarebbe stato mai accettato se a parlare fosse stato un romano.

            –Deve essere stato terribile per te emettere una così dura sentenza contro la tua stessa carne. Essere soldati e comandanti alle volte è estremamente gravoso perché non ci è consentito di avere amici, fratelli ed anche. . . figli. Ma tuo figlio per l’educazione ricevuta avrà capito e non devi sentirti in colpa. Liberati dal dolore essendo certo di esserti comportato come il tuo onore ti imponeva.

            –Devi sapere Tauro che questa è una giornata apertasi con funesti presagi. Sia io che il mio collega abbiamo ricevute delle premonizioni divine che ci hanno indotto ad informare luogotenenti e tribuni che mai come in questo caso la disciplina deve essere ferrea in questa guerra che per noi sotto molti aspetti è anche fratricida. Sia io che l’atro console abbiamo infatti sognata una figura umana che ci ha predetto che la battaglia sarà vinta da chi sacrificherà il proprio comandante in battaglia. Abbiamo interpellato gli aruspici e questi nelle interiore delle vittime hanno letto lo stesso presagio di morte per uno di noi.

            – E’ veramente portentoso che un medesimo sogno vi sia apparso, spero che nulla sia trapelato alla truppa perché trarrebbe infausti presagi sapendo che uno dei comandanti debba cadere in campo.

            -Nessuno sa nulla e abbiamo deciso che si sacrificherà quello che nella fase iniziale dovesse   subire maggiormente la pressione nemica.

Il console tacque e versata una coppa di vino per entrambi proseguì.

            – L’episodio di stamattina mi ha reso palese una cosa. Sarò io il console che offrirà la vita agli dei proprio per il fatto che non potrei immaginare di vivere senza mio figlio. Ora so che il nostro distacco sarà breve e che gli dei hanno destinato che il nostro sacrificio non ci terrà lontani per molto tempo e che la nostra morte si rivelerà utile a Roma.

Tauro non seppe cosa replicare. Gli ordini degli dei resi in modo così manifesto non potevano essere disattesi, strinse quindi a se l’amico quasi a volersi da lui congedare.

            La battaglia fu combattuta alle falde del Vesuvio. Manlio aveva il comando dell’ala destra, Decio Mure, quello dell’ala sinistra, Tauro il comando della cavalleria.

La battaglia si preannunciava dura perché i due schieramenti si equivalevano e per forze e per preparazione. Entrambe le parti sapevano inoltre che quell’unico scontro avrebbe deciso non solo le sorti dei loro popoli ma anche di altri. Se Roma avesse vinto difficilmente popoli a lei soggetti avrebbero tentato di prendere le armi per rivendicare la loro indipendenza,   se avesse perso ovunque nelle terre soggette a Roma si sarebbe reclamata autonomia ed indipendenza.

            Iniziato lo scontro fu l’ala di Decio Mure quella che sembrò subire la maggiore pressione nemica tanto che le file di astati furono costrette a ripiegare. Si vide allora il console, che aveva indossata la toga pretexta, lanciarsi temerariamente da solo fuori delle file e attirare su di sè i lanci di frecce e giavellotti che da più parti lo trafissero. I romani assistendo al pari dei latini a questa sortita che sembrava avere un qualcosa di divino si lanciarono dietro al loro console caduto e sfondarono con impeto i ranghi nemici. Tauro lanciò la cavalleria nella mischia contribuendo allo sbandamento totale del nemico che in rotta precipitosa diresse verso Vescia e Minturnae e tra le due città si combatté una nuova cruenta battaglia ancora una volta vittoriosa per i romani e sanniti.

La coalizione nemica accusò il colpo e si dissolse.

Romani e sanniti continuarono ancora per un certo tempo ad operare congiuntamente per sedare gli ultimi focolai di resistenza. Tito Manlio, risparmiato da una morte per lui considerata liberatoria fu richiamato in patria, ed il nuovo console, Scauro, non si mostrò entusiasta di operare con i sanniti che apertamente cercò di confinare in un ruolo non più di alleati ma di gregari e Tauro con pazienza e con fermezza fu più volte costretto a rivendicare pari dignità e responsabilità tanto nel comando che nella ripartizione del bottino di guerra e nella divisione delle riparazioni di guerra che via via venivano imposte.

La sua testarda resistenza ai tentativi di Scauro di allontanarlo gli permisero di notare, e forse anche stemperare, la durezza della repressione operata in danno dei vinti e di leggere nella stessa, più che un monito verso ribelli, un disegno mirante ad una loro completa e rapida romanizzazione che aprisse anche la strada per l’insediamento di colonie in un territorio ai confini col Sannio. Dopo che agli Ausoni fu presa Cales, subito presidiata da un forte contingente romana, si arrivò a sfiorare una incrinatura dei rapporti con i sanniti perché sembrò che i romani avessero delle mire su Teanum Sidicinum che era a tutti gli effetti nella parte riservata ai sanniti.

L’episodio preoccupò notevolmente Tauro che intese in senso ostile anche il rafforzamento dei romani a Cales che venne correttamente inteso come una misura ostile verso Teanum Sidicinum e come un rafforzamento, che già aveva avuto modo di constatare in altre occasioni, delle posizioni romane sul confine del Sannio e non mancò quindi di informarne la Lega.

            Quando la campagna militare al fianco dei romani poté definirsi conclusa Tauro, salutato con palese freddezza, riprese amareggiato la via del ritorno mentre altri contingenti sanniti andavano occupando secondo gli accordi tanto Teanum Sidicinum quanto le città volsche di Atina, Arpinum, Casinum e Satrico dopo aver distrutta senza occuparla Fregelle.

            336-332 a.C.   Il ritorno di Tauro avvenne in maniera quasi trionfale. Prima di raggiungere la sua terra e la famiglia si trattenne a Bovianum dove riferì sulle operazioni condotte ed espresse, essendo ascoltato con la massima attenzione e considerazione, le sue sensazioni circa il possibile evolversi dei rapporti con Roma.

Il Consiglio della Lega prima di congedarlo gli conferì il titolo di meddix del popolo pentro, riconoscendo in lui, in una nazione dove si aveva il massimo rispetto di ogni autonomia locale, lo indiscusso ruolo di guida dell’etnia dei Pentri, e quindi una serie di poteri che andavano dall’amministrazione della giustizia, alla ratifica delle principali cariche amministrative e locali deliberate dai consigli dei singoli villaggi, e, in caso di necessità, il ruolo di principale se non esclusivo di rappresentante dei Pentri in seno al Consiglio.

            Quando infine tornò nel suo villaggio la notizia della sua nomina al vertice della nazione pentra era già di dominio pubblico essendo stato cura del Consiglio della Lega mandare messi in ogni parte del paese.

            A casa riscoprì le gioie della vita in famiglia e la dolcezza dell’amore di Paculla.

            I suoi figli erano cresciuti ed erano più o meno tutti sulla soglia della giovinezza: Mamerco aveva tredici anni, Ursidio undici e Murcus otto. Notò con piacere che in sua assenza erano stati allevati nel rispetto della tradizione e dello stile di vita sannita dividendo il proprio tempo tra lo studio e le attività virili e che avevano fra loro un ottimo rapporto tanto da considerarsi amici inseparabili nonostante il divario di età. Comprendendo di essere loro mancato in un periodo importante della crescita dedicò loro molto del suo tempo libero sentendo il loro bisogno di confrontarsi con lui.

            Da attento osservatore notò le sfumature del loro carattere intravedendo in Mamerco ed Murcus due futuri soldati mentre ciò altrettanto non ritenne potesse dirsi di Ursidio nonostante il suo sforzo di essere del tutto simile ai fratelli.

            Se le domande che gli rivolgevano Mamerco e Murcus erano per lo più finalizzate a conoscere le sue esperienze di soldato Ursidio sembrava più interessato a conoscere le abitudini e le usanze degli altri popoli con i quali era entrato in contatto nei suoi anni di lontananza.

            –Padre– gli domandava preoccupato Mamerco- non sarà che dopo questa guerra noi non avremo la possibilità di cimentarci in grandi battaglie?

Non temere figliolo -lo rassicurava Tauro- purtroppo finché ci saranno uomini su questa terra ci saranno battaglie. Non siate impazienti perché sicuramente non vi mancheranno occasioni di battervi e temo che quanto prima ci troveremo di fronte le legioni di Roma. Ma ricordate anche di essere i nipoti di Papio Pentro, lo studioso ed il medico, e non guardate solo a me . Mio padre non avrebbe mai voluto che io fossi un soldato ed eccomi di ritorno da una guerra.

            -Ma anche il nonno è stato un soldato- interloquì Murcus- ed ha combattuto con Capi.

            –Certo, credo che non ci sia Sannita che si sia potuto esimere dal prendere la spada, ma non è solo questo che dovete avere come riferimento. Il nostro popolo ha, ed avrà sempre più bisogno, di persone che sappiano gestire le sue sorti tanto in tempo di guerra quanto in tempo di pace. Eppoi, comunque, un buon soldato deve avere anche esperienze multiformi così come ogni buon cittadino deve essere in grado, anche suo malgrado, di trasformarsi in un soldato. Mio padre alla vostra età sognava di essere soldato ma con gli anni ha poi finito per cambiare idea.

            -Tu non cambierai idea padre?-lo interrogò terrorizzato Murcus.

            –Non temere sono certo di non volerlo ma sono anche certo di non poterlo fare. Spero di vivere e di morire da soldato ma non per questo amo la guerra e le distruzioni ed il dolore che porta.

            -Questo lo comprendiamo bene-fu Ursidio ad intervenire-. Abbiamo notato che quando la guerra è finita e siete tornati a casa in molte case non si sono accesi i fuochi in segno di lutto, che molte donne si sono stracciate le vesti per coloro che non sono tornati, che molti nostri amici hanno pianto un padre che non farà ritorno. Comprendiamo che in quelle case ci saranno meno braccia a lavorare i campi o a custodire le greggi e che su quelle tavole ci sarà meno cibo e proprio pensando a questo noi giovani abbiamo deciso di dedicare parte del nostro tempo ad aiutare quelle famiglie.

            –Sono contento di quanto mi dite e ne terrò conto nei miei programmi di meddix. Ho già disposto che l’eccedenza dei nostri raccolti o comunque una parte di essi vada alle famiglie di chi non è tornato e anche che la spartizione del bottino di guerra favorisca queste famiglie.

            -Scusa padre, non lo sapevo-si scusò arrossendo Ursidio.

            –Non scusarti perché il solo fatto che abbiate agito di vostra iniziativa rende il vostro impegno ancora più meritorio. La pietas è necessaria in ogni cittadino soldato o meno che sia e rende più forte un popolo.

            A questo punto fu Mamerco a prendere la parola.

            –Puoi ipotizzare chi saranno i nostri nemici in futuro?

            –Non so quali e quanti nemici il futuro ci riservi, ma sono sicuro che tra questi ci saranno sicuramente i romani perché fra noi e loro si finirà decidere chi avrà l’egemonia in questa penisola e, purtroppo, la risposta si potrà avere solo su di un campo di battaglia ed è per questo che dovrete prepararvi ad essere dei bravi soldati perché quando lo scontro ci sarà sarà lungo e doloroso

La nostra penisola non potrà mai avere due padroni. Un piccolo popolo ha piccole mire, un grande popolo ha grandi mire. Questo è ineluttabile. Avere grandi mire comporta anche grandi guerre, grandi lutti, grandi sacrifici. E il nostro popolo non essendo secondo a nessuno non può sottrarsi al suo destino di lottare per la supremazia.

            La voce di Paculla da lontano li richiamò a casa e ai loro quotidiani doveri. Tauro sorrise ai figli complice e si avviarono ognuno a riprendere le quotidiane abitudini del tempo di pace.

            Ben diversi erano invece i discorsi tra Tauro e Paculla e spesso vertevano sui loro figli, sulle loro aspettativa, sulla loro indole. Tauro infatti pur essendosi formato una sua idea sui figli sentiva il bisogno di confrontarsi con la sua compagna.

            –Oggi ho parlato a lungo con i ragazzi, ma vorrei che fossi tu ora a dirmi qualcosa di loro.

            –Ti sarai accorto che non hanno occhi ed orecchie che per te e che buona parte del loro tempo libero lo passano sognando di diventare soldati per assomigliarti. Ursidio per me è il più facile da capire perché ama il lavoro quotidiano e gli piace occuparsi della terra e del bestiame. Se gioca a fare il soldato è per compiacere te e per stare con i fratelli . Murcus nonostante l’età è il più determinato ed imprevedibile dei tre e non potrà che essere un soldato. Mamerco è il più maturo ma anche il più impenetrabile . Ama trovarsi al centro delle cose e spesso sembra faticare a reprimere una forza e volontà che egli stesso sembra non capire bene. Se vuoi sapere cosa prevedo per il suo futuro penso che saprà essere un buon soldato e sopratutto, quando si sarà capito, un ottimo comandante perché è il solo dei tre che desidera primeggiare in ogni campo. Parla con lui ed aiutalo a capirsi. E con questo ho detto quanto volevi sapere sui nostri figli. Parlando di me, perché anch’io credo di dover esprimere un personale punto di vista, ti dirò che sono stanca di vedermi circondata da soli uomini in famiglia . Ora hai un nuovo incarico che ti terrà occupato e che ti porterà spesso lontano da me -aggiunse sorridendo-vorrei tanto una figlia tutta per me così che se un giorno voi sarete lontani per le vostre dannate guerre rimanga con me dividendo occupazioni del tutto muliebri e, per essere completamente sincera, ti confesserò che ai tuoi ritorni, quando mi prendi fra le braccia sembri prevalentemente vedere la donna e non l’innamorata.

            Tauro ascoltò questo rimprovero e comprese che per Paculla doveva essere costata non poca fatica affrontare un argomento che le stava a cuore. Certo la moglie doveva sentirsi sola ora che i figli erano cresciuti e che sembrava avessero più bisogno del padre e dei compagni che di lei. Comprese il suo desiderio di una figlia e comprese che se c’era un rimprovero nei suoi confronti questo era motivato. In cuor suo si considerava un buon marito, forse più che un buon padre, e pur lontano da casa, a differenza della gran parte dei compagni, non aveva mai cercato la compagnia di altre donne anche quando il suo corpo sembrava, con fastidiose fitte, esigere la compagnia di una donna. Dovette ammettere che nei suoi amplessi con la moglie ricercava il piacere stando attento a non procreare e che nei loro abbracci, dopo quattordici anni di vita in comune, come del resto riteneva potesse succedere a tutte le coppie affiatate, potessero essere venute meno quelle piccole attenzioni e le particolari complicità che ora Paculla sembrava reclamare volendo ritrovare in lui l’innamorato, il compagno, l’amico cui aprire il cuore. Certo dopo quattordici anni di moglie. Forse –pensò- i miei abbracci possono risultarle brutali ed insopportabili, forse non sempre mi desidera come io la desidero . Forse desidera suo dovere dare sfogo a miei desideri che imputa solo a necessità fisiche .

            Guardò la moglie come non la guardava da tempo cercando di scindere in lei la donna dalla compagna. Ormai prossima ai trent’anni la sua figura, per quanto di poco appesantita, era pur sempre quella della ragazza del lago, come lui scherzando la chiamava un tempo. Il viso era sempre bello anche se alla allegria di un tempo era subentrata una luce di pacatezza dovuta certa alla quotidianità e ripetitività della vita. Qualche raro capello bianco non alterava il biondo dei suoi capelli.

            Colpito dalle parole della moglie e dalla considerazione della loro giustezza mosse all’aperto per essere solo. Paculla fece l’atto di trattenerlo capendo che le sue parole dovevano averlo ferito suonandogli come un rimprovero.

            –Non potrei aver avuto uno sposo migliore di te Tauro e sai anche essere un amante meraviglioso. Nel mio cuore l’amore di un tempo non si è sopito neanche di poco e curo il mio corpo perché tu possa desiderarlo ed io possa offrirtelo con amore. Non volevo muoverti alcun rimprovero perché non ho nulla da rimproverarti. Forse l’età e l’abitudine cambiano i rapporti di tutti gli sposi ed io non ho saputo capirlo. Tu, mentre io resto qui nel mio mondo, hai affrontato esperienze dure e dolorose ed io non ho saputo percepire i tuoi problemi o non ti ho aiutato a superarli. Sono certa del tuo amore anche se si manifesta in maniera diversa di quando eravamo giovani, ma vedi, anche se invecchio o forse soprattutto perché invecchio ho sempre più bisogno di sentirti vicino con la tenerezza cui mi hai abituata. Forse . . . forse vorrei. . . , sbagliando, che tu ancora mi cercassi come hai cercato la fanciulla di un tempo che si sottraeva alle tue richieste. E’ sciocco quanto dico, lo so, è giusto che i rapporti cambino con il tempo e che cambino anche i nostri gesti. Il tempo cambia tutto perché non dovrebbe scalfire senza che uno lo voglia i nostri cuori? Perdonami, sono una sciocca. Ho avuto un momento di debolezza, uno di quei momenti che passano.

            Tauro si era fermato sentendo la moglie parlare in piedi vicino alla porta a sua volta addolorato sentendo che si scusava per quelli che invece lui aveva ritenuti dei giusti rimproveri.

            -Taci Paculla, non scusarti: sono io che ti devo delle scuse. Lo sciocco sono io, sono un egoista che si rende conto improvvisamente del fatto di farti soffrire per non saperti esprimere l’amore che ha per te. Vieni -le tese la mano -facciamo una passeggiata nel bosco.

Torniamo al lago, come ai vecchi tempi, ti prometto che d’ora in avanti terrò a mente i tuoi giusti rimproveri.

            Con le lacrime agli occhi Paculla gli tese la mano e lo seguì al lago.

            Quella notte sul lago si ritrovarono con gioia e fu quella notte che fu concepita Papia la loro unica figlia.

            Dando ascolto a quanto Paculla gli aveva suggerito Tauro dedicò ogni sua attenzione a Mamerco certo che se Paculla lo aveva spinto a ciò ed a parlare con i suoi precettori sicuramente la maggiore sensibilità della moglie aveva rilevato qualcosa che doveva a sua volta capire.

            Come suggeritogli da Paculla aveva prima parlato con il suo vecchio compagno Didio Lupo, un veterano di lunghe campagne molte delle quali intraprese al suo fianco, ed ora dedito all’apprendistato militare dei suoi figli.

            Dopo Didio Lupo parlò anche a Stazio Magio, il liberto cui aveva affidata la formazione culturale dei suoi figli.

            Entrambi i precettori, singolarmente consultati, furono concordi nel tessere le lodi del figlio che a loro avviso aveva in entrambi i campi completata la propria preparazione e che, a loro avviso, soffriva dell’angustia del ristretto mondo nel quale viveva. Mamerco, essi sostennero, sentiva imperioso il bisogno di evasione anche se non lo avrebbe mai ammesso per paura di far dispiacere al padre.

            Tauro che una volta tornato nella sua terra l’aveva sempre amata, per lasciarla solo quando i suoi doveri lo imponevano, comprese di non aver mai pensato che i suoi figli si potessero sentire prigionieri entro quei confini

            Ora realizzando l’inespresso desiderio del figlio comprese che era giusto assecondarlo anche se personalmente per lui sarebbe stato doloroso separarsi da lui.

            D’altro canto egli stesso aveva, a suo tempo, scelta una via che non era quella che suo padre avrebbe desiderato per lui e Papio nella sua saggezza l’aveva lasciato libero di scegliere il suo futuro. Non poteva ora per egoismo trattenere un figlio che intendeva cercare se stesso lontano da casa.

            Presa questa decisione si consultò, come d’abitudine, con Paculla che molto francamente gli espose le conclusioni cui ella stessa era da tempo pervenuta.

            – Sapevo da tempo, anche se non ne abbiamo mai parlato, che questo è il desiderio di Mamerco. Sono contenta che tu sia arrivato alle mie stesse conclusioni. Sente di essere giudicato il migliore ma teme che l’esserti figlio contribuisca a farlo giudicare tale, sente il bisogno di mettersi alla prova per proprio conto, di non doversi confrontare con te e con il nostro mondo ma con il mondo esterno. Quel ragazzo ha bisogno di trovare da solo e lontano da noi la sua personalità.

Puoi immaginare con quale dolore sono giunta a questa conclusione ed il dolore che proverò vedendolo andare via ma ritengo che sia necessario farlo per il suo bene.

            Tauro, pur convinto e confortato dal pensiero di Paculla rimuginò alcuni giorni sul problema ma un giorno trovandosi occasionalmente solo con Mamerco affrontò l’argomento.

            –Figlio mio vedo che nonostante i tuoi quindici anni sembri per prestanza fisica e per completezza di ragionamenti un uomo più che un ragazzo. La stessa cosa dicono di te i tuoi precettori ed i tuoi compagni. I tuoi precettori mi dicono che la tua mente è aperta a nuove esperienze che qui non potrai fare. Se questo è vero e se è questo che vuoi ritengo di doverti lasciar libero di prendere da solo ed in completa libertà le tue decisioni. Se vorrai lasciare il nostro mondo ed il nostro paese non sarà certo la mia autorità ad impedirtelo.

            Tauro tacque sperando di leggere sul viso del figlio delle reazioni che non ci furono.

            – Come saprai padre –esordì Mamerco dopo un lungo silenzio durante il quale dovette mettere ordine nelle sue idee e nelle parole che avrebbe dette-il mio desiderio è di essere un soldato. Non vedo altra via nel mio futuro. A differenza di Ursidio non amo i lavori del tempo di pace e non riesco ad immaginarmi tra la cura dei campi e le fatiche dell’allevamento e non sono come il nonno spinto dalla fame del sapere e del conoscere, questa é una mia limitazione. Forse vorrei essere come te ma non ho il tuo carattere Sento di aver bisogno per un certo tempo di essere lontano da ogni riferimento familiare per cercare, uscendo dagli schemi che la nostra vita ci offre, di confrontarmi con un mondo e con delle esperienze, quali che esse siano, che non conosco.

Detto questo tacque temendo di essersi spinto troppo oltre e temendo che il padre non avesse compreso quello che lui stesso in effetti non sapeva esprimere neanche a sè stesso.

Vedendo che Tauro taceva proseguì.

            – Seguirò il mio istinto. Non so dire se sarà un bene o se lo sarà solo in parte o peggio ancora se non lo sarà affatto. Ma questo è quello che voglio e ti chiedo. Consentimi di partire senza nulla chiederti se non la tua benedizione.

            Tauro capì che non avrebbe aggiunto altro e gli rispose.

            – Mi hai parlato da uomo e da uomo e ti risponderò non da padre. Rispetto la tua decisione pur sapendo che io e tua madre ne soffriremo. Ti dirò una cosa che credo di non aver mai detto ad altri. Una sera tanti anni fa sentii i miei genitori parlare di me senza saper che io, non volendo, li ascoltavo. Come sai ero il loro unico figlio e per mio padre ero la sola speranza di proseguire la nostra stirpe, proprio per questo si auguravano entrambi che io rimanessi loro vicino a proseguire la via indicatami piuttosto che sognare la vita del soldato. Ma, credo di ricordare fedelmente ciò che disse mio padre e oggi lo ripeterò a te con lo stesso affetto che a suo tempo colsi nella sua voce. “Ognuno ha in sè il proprio destino e gli dei gli hanno messa nel cuore la via da seguire”. Abbiti quindi la mia benedizione.

            Mamerco baciò la mano che il padre aveva teso per stringerlo a sé.

            – Sarò comunque al tuo fianco o vicino al mio popolo– promise- non appena dovessi sapere che la nostra gente in guerra . Siine certo!

La notizia dell’imminente partenza di Mamerco non colse impreparata Paculla ma fu un fulmine a ciel sereno per i suoi inseparabili fratelli. Murcus che più di ogni altro amava l’avventura abbracciò il fratello con una punta di invidia, Ursidio invece si stupì di quella decisione per lui incomprensibile e ne risultò addolorato non riuscendo ad immaginare che il loro affiatato trio potesse improvvisamente sciogliersi.

            Gli ultimi giorni che Mamerco trascorse al villaggio furono una continua festa, tutti volevano salutarlo, abbracciarlo, portargli piccoli doni. A tutti ripeté che il suo era un temporaneo distacco e che se fosse stato necessario non avrebbe mancato di essere al fianco dei compagni. Tauro e Paculla ormai rassegnati al distacco cercarono di non opprimerlo con consigli o raccomandazioni certi che avrebbe saputo onorare la sua famiglia e mettere a buon frutto gli insegnamenti ricevuti.

332 a. C. Tauro non dovette rimanere a lungo inattivo e lontano dai campi di battaglia.

            Se la campagna condotta al fianco dei romani si era conclusa nel rispetto degli accordi fu subito evidente che i romani organizzando i nuovi territori entrati nella loro orbita cercavano di evitare future rivolte dei popoli soggetti e garantirsi il loro apporto militare nel caso di future campagne militari. Sciolta definitivamente la lega latina si erano stipulati accordi differenziati con le diverse città e mentre alcune comunità di lingua latina furono incorporate nello stato romano ottenendo la piena cittadinanza altre furono trasformate in colonie. Alle città più vicine a Roma come Lanuvium, Aricia, Nomentum e Pedum era stata riconosciuta la piena cittadinanza pur mantenendo i loro governi municipali e si erano costituite due nuove tribù che avrebbero rinsanguato con i loro effettivi i quadri militari. Altre città si erano viste invece riconosciuto il titolo di civitas sine suffragio che comportava un’autonomia locale che impediva loro di condurre una propria politica estera e creava un obbligo di fornire truppe a richiesta di Roma. Questa forma di cittadinanza ridotta fu concessa anche a molte città campane e volsce come Fundi, Capua, Suessula, Cuma ed Acerra. Con le restanti città sconfitte fu adottato un “foedus aequum” consistente in una alleanza paritetica che in pratica vista la disparità di forze le poneva in mano dei romani essendo, fra l’altro, loro vietato di stringere rapporti diretti fra loro. Anzio per il suo ruolo strategico aveva invece conservata integra la propria autonomia pur dovendo accettare di ricevere una nutrita colonia di cittadini romani. Analogo trattamento era stato riservato anche a Velletri.

            In pratica Roma aveva dato vita sia pure con diverse graduazioni ad una federazione con l’impegnativo obiettivo di unificare diversi popoli in una nazione.

            Nel Sannio si guardava con una certa preoccupazione a questi cambiamenti mirati a rimuovere vecchi contrasti e rinsaldare il potere centrale ed era evidente che i nuovi rapporti instaurati con i popoli del sud del paese ponevano sul confine del Sannio non più popoli fra loro spesso in disaccordo ma lo stesso stato romano. Cosa tipica dei romani con l’estendersi del territorio controllato si provvedeva a realizzare una buona rete viaria che lungo il Liri sembrava non solo destinata a correre parallelamente ai confini del Sannio ma ad essere presidiata da nuove colonie come Cales, fondata nel 332, in chiara opposizione alla sannita Teanum Sidicinum e più a sud nello stesso anno da Acerrae spontaneamente datasi ai romani.

            Nel comportamento generoso tenuto nei confronti delle città campane non era difficile leggere il tentativo di non scontentare le diverse città così da evitare che potessero lasciarsi influenzare da future lusinghe sannite.

            Pur guardando con forte preoccupazione a questi cambiamenti che si andavano realizzando intorno ai suoi confini il Sannio non poteva rimproverare a Roma alcuna violazione dei trattati in corso ma al momento le maggiori preoccupazioni venivano da Taranto che riprendendo l’iniziativa contro i Lucani e Bruzi aveva già da un paio di anni chiamato in aiuto, con le sue truppe, il re d’Epiro Alessandro il Molosso zio materno di Alessandro Magno. Le vittorie presto riportate da Alessandro sui diversi popoli di lingua osca e di comune discendenza con i Sanniti, non avevano in un primo momento preoccupato i sanniti che tuttavia guardavano con attenzione l’evolversi della situazione ritenendo che non era da escludere un loro coinvolgimento qualora si fosse reso necessario arginare l’avanzata dell’epirota che si era assicurata un’alleanza con i romani ben lieti che la guerra che si combatteva nel Sud del paese, e che non li avrebbe sicuramente coinvolti, avrebbe preoccupato e minacciato il Sannio proprio mentre a Roma si tesseva la tela intorno allo stesso .

            Tauro, pur non ricevendo un effettivo comando, fu incaricato di agire in stretta connessione con l’altro comandante sannita, Papio Brutolo, che aveva ricevuto l’ordine di tenersi pronto per un intervento militare qualora la situazione lo avesse richiesto.

            Accompagnato da parte della sua vereia Tauro, portatosi in Lucania, si era dedicato ad addestrare truppe lucane e a fungere da fattivo osservatore del suo popolo.

            Il re epirota era stato chiamato perché le città greco italiote si continuavano a sentire minacciate dai Lucani ma soprattutto dai Bruzi, che formata una potente confederazione, si erano imposti tanto a città greche che indigene. Quando Alessandro, messosi in rotta con Taranto, aveva fatto di Thuri la sede della assemblea degli italioti, era apparso evidente che mirava a costituire un proprio regno d’oltremare visto anche che con una alleanza con i Peucezi si era assicurato il controllo della parte nord dell’Apulia portandosi sui confini del Sannio.

            Pur essendo un “osservatore” si trovò coinvolto in numerosi scontri dalle pesanti conseguenze per i Lucani, tant’è che dovette convincersi che quel popolo non avrebbe mai potuto con successo opporsi alle iniziative delle più disciplinate e bellicose truppe epirote.

            Tornato in patria riferì sulla situazione in atto.

            – Il compito affidatomi era quello di valutare la situazione e di adoperarmi perché i Lucani pur senza un nostro diretto intervento potessero arginare gli attacchi portati loro contro. Non ritengo possibile che possano farlo a meno che non si scenda apertamente in campo al loro fianco. Devo però richiamare la vostra attenzione sul fatto che il re epirota, essendo cognato di Alessandro di Macedonia, probabilmente, in accordo con il suo grande cognato, col pretesto di difendere le città greco italiote dai loro vicini di lingua osca sicuramente mira a costituire un proprio regno ed uno degli obiettivi, anche se non nell’immediato, potremmo presto essere noi. Sicuramente a questo hanno mirato i romani alleandosi con Alessandro . Un nostro coinvolgimento potrebbe in caso di successo dell’epirota portare ad una spartizione del nostro territorio fra gli alleati ma credo che la stessa Roma non speri tanto in questo, perché si troverebbe comunque a trovare di fronte ad uno scomodo vicino, accontentandosi di un nostro intervento che quale che ne siano le conseguenze ci indebolirebbe favorendo le loro mire in nostro danno che ogni giorno appaiono più evidenti anche se non possiamo loro al momento rimproverare nessun atto in aperta violazione del trattato con loro in atto. Non riterrei quindi opportuna una nostra aperta discesa in campo che sotto un profilo formale ci vedrebbe in guerra con un alleato dei romani e che quindi potrebbe pretestuosamente essere considerato un atto di ostilità ma riterrei che ci convenga intensificare comunque ed in ogni possibile modo il nostro apporto ai popoli amici impegnati in questa guerra. Non escluderei comunque che un nostro intervento militare possa rendersi necessario in futuro se l’evolversi della situazione lo richiederà.

            Un generale mormorio di approvazione gli confermò che molti dei presenti condividevano la sua valutazione e sopratutto le sue preoccupazioni.

            Prese poi la parola il portavoce del Consiglio.

            – Apprezziamo l’esattezza della tua valutazione e gli sforzi da te compiuti per portare aiuto ai Lucani. Questa Assemblea tuttavia ritiene che alle volte si debba combattere non solo nel proprio interesse ma anche in nome dell’onore che, in virtù di una vecchia amicizia e di una esplicita richiesta, ci impegna ad intervenire al fianco dei Lucani. I romani, voi tutti lo sapete, cercano, sicuramente in nostro danno, di tessere intese, per ora ancora allo stato embrionale, con gli Apuli così come anche con i Marsi, Peligni e Marrucini e se non intervenissimo in favore dei lucani i popoli del sud della penisola con i quali abbiamo oggi buoni rapporti potrebbero guardare a Roma rimproverandoci di averli abbandonati. Gli attuali buoni rapporti con i lucani come del resto quelli dei messapi e la neutralità dei Bruzi ci consentono di avere accesso per i nostri commerci ai loro porti ed ai loro mercati tanto più necessari ora che Roma ha crescenti interessi sulla riva tirrenica. Abbiamo anche valutato il fatto che un nostro coinvolgimento ed una nostra vittoriosa campagna contro il re epirota potrebbe anche suonare come un monito per la stessa Roma. La nostra decisione è presa. Ordini in tal senso saranno inviati a Papio Brutolo perché entri in Lucania con le sue truppe. Gli ordini per te Tauro sono di riprendere al più presto il tuo posto al fianco dei Lucani al comando delle truppe che già hai con te. Tu e Papio opererete in accordo ma sarà Papio ad avere il comando .

            Truppe sannite unitamente a quelle lucane si portarono quindi nel territorio dei Bruzi e si cercò di coinvolgere Alessandro in uno scontro decisivo che lo stesso re epirota sembrava volere per piegare la strenua resistenza dei Bruzi.

            Lo scontro si ebbe a Pandosia al confine tra la terra dei Bruzi e dei Lucani.

Alessandro aveva inizialmente cercato di sottrarsi a quello scontro frontale dividendo le sue forze su tre colline vicine nella speranza di potersi agevolmente disimpegnare ma il brutto tempo e la pioggia finirono per bloccare per più giorni gli eserciti rivali sulle rispettive posizioni . Papio e Tauro nonostante le avverse condizioni decisero di attaccare l’esercito epirota intuendo la palese intenzione di questo di sottrarsi, non appena possibile, allo scontro frontale.

            Il piano prevedeva che le tre colline tenute dagli epiroti dovessero essere attaccate contemporaneamente per evitare che le truppe nemiche si ricongiungessero. Due colline dovevano essere attaccate dalle truppe sannite e la terza dai lucani al comando di Tauro.

            Gli epiroti, in parte anche colti di sorpresa, non riuscirono a far fronte comune e, al termine di una giornata di scontri, la vittoria arrise ai sanniti ed ai loro alleati.

            Al termine dello scontro e con il nemico in rotta Tauro ebbe l’inaspettata gioia di ritrovare fra le file sannite Mamerco e l’ancor più grande gioia di sentirlo elogiato da Papio per il fatto che, pur essendo un soldato semplice, caduti i suoi comandanti, aveva preso il comando della sua unità contribuendo in maniera determinante alla conquista di una delle tre colline.

            Quella sera, mentre gli alleati erano in festa, padre e figlio in disparte dagli altri, ebbero tante cose da raccontarsi anche se Tauro volutamente si astenne dal fare precise domande al figlio ritenendo che gli anni passati lontano da casa gli appartenessero.

            Compiaciuto notò che nonostante i suoi diciotto anni Mamerco poteva considerarsi un uomo fatto e che dimostrava una maturità non comune. Negli occhi del figlio notò pur tuttavia un velo di disincantamento come se gli anni trascorsi avessero lasciato in lui un segno che anche il successo riportato e le lodi ricevute non avevano saputo cancellare. Tauro si complimentò infine per la bellezza dello scudo del figlio ricevendone una laconica risposta.

            – E’ il ricordo di una donna greca che mi è stata vicina in un momento nel quale ne avevo bisogno.

            Nelle conclusive operazioni in terra lucana Mamerco volle rimanere agli ordini del padre. Insieme percorsero le terre liberate essendo Papio Brutolo rientrato rapidamente nel Sannio con il grosso dell’esercito e, in ottemperanza agli ordini ricevuti attraversarono le terre degli Appuli e dei Frentani per rinnovare vecchie amicizie e per scoraggiare quei popoli ad imbarcarsi in pericolose avventure militari in danno del Sannio dando ascolto alle lusinghe di Roma.

            Il rientro a casa fu particolarmente felice perché Tauro aveva, come suo secondo, il figlio. Guardando il figlio con fierezza paterna fece mente locale al fatto che ormai aveva   quarantatré anni. Non li sentiva ed il suo fisico non li dimostrava ma erano pur tuttavia una realtà.

            Nelle braccia di Paculla ritrovò il piacere di abbracci affettuosi ma carichi di passione.

Per il Cap. 20 Cliccare QUI

 


Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine 

[1] (Nota di Enzo C. Delli Quadri) Quando molti anni orsono, Paride Bonavolta, mise mano a questo lavoro fu a lungo combattuto tra l’idea di “scrivere di storia” e quella di “romanzare la storia” per renderla più avvincente se vissuta da personaggi con la stessa interagenti. Scelse la seconda, anche perché, di storicamente definito, nonostante l’opera del canadese E.T. Salmon professore emerito alla Mc. Master University in Canada e di altri studiosi, c’è poco e quel poco rifà alla storia scritta dai romani, cioè dai vincitori. Cosicché, i Sanniti, dai loro scritti, non hanno ottenuto quella visibilità e giustizia che forse avrebbero meritato.

Attraverso la vita di 7 personaggi immaginari (Papio, Tauro, Mamerco, Brutolo, Murcus, Gavio, Herio), la storia dei Sanniti di Paride Bonavolta si dipana dal 354 a.C.(data del primo trattato dei sanniti con Roma) al 70 d.C. (morte dell’ultimo dei sette personaggi, quasi 20 anni dopo la Guerra Sociale). Ma, attraverso i ricordi del primo personaggio, Tauro, la storia riprende anche avvenimenti iniziati nel 440 a.C.

I sette personaggi della stessa famiglia, nell’arco di questo periodo, vivranno gli avvenimenti storici che contrapposero romani e sanniti nel contesto più generale degli avvenimenti della penisola italica interagendo quindi con personaggi famosi quali il re epirota Alessandro il Molosso, Pirro, Annibale ed infine Spartaco.

 

 

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