Storia, guerre, passioni nei trecento anni di lotta dei Sanniti, i veri rivali di Roma
di Paride Bonavolta
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In questa Parte ventesima della storia romanzata [1], siamo negli anni 328-321 a.C. – i romani infrangono gli accordi con i sanniti – iniziano guerriglie da una parte e dall’altra che portano alla seconda guerra sannitica – scorribande di Brutolo pagate amaramente dallo stesso – Tauro e Caio Pontio predispongono un piano ardito da adottare nella valle Caudina – Tauro muore in battaglia.
I rivali di Roma – Tauro – Parte ventesima
328-321 a.C. – Risolta la crisi dovuta all’avventura di Alessandro il Molosso tutta l’attenzione del Sannio tornò a concentrarsi sulle non certo dissimulate iniziative romane di isolare il Sannio e sempre più evidente si fece il pericolo di una prossima guerra con i romani.
Se le relazioni con Roma erano tese nulla però si poteva rimproverare ai romani come violazione degli accordi. Anche il Sannio aveva comunque mosso la sua diplomazia in funzione se non antiromana sicuramente difensiva. In Campania si era ottenuta l’alleanza della lega degli Alfaterni che faceva capo a Nuceria e soprattutto si era vista confermata la alleanza con Nola e le città che alla stessa erano legate cosa questa che garantiva dal territorio tanto caudino che irpino un accesso di truppe sannite nello scacchiere tirrenico dove sicuramente, in caso di conflitto, si sarebbero condotte le più decisive azioni belliche. Nel territorio che faceva capo a Nuceria restava svincolata da ogni accordo Neapolis e la diplomazia sannita si era molto adoperata per creare un partito filosannita trovando un campo abbastanza fertile anche nella componente greca che aveva con grande preoccupazione vista la ricca Capua privata di ogni libertà cittadina e ridotta a comune dello stato romano.
Atto di aperta ostilità ed in violazione del vigente trattato fu l’iniziativa romana di guadare il Liri ed impadronirsi di Fregelle trasformata in una munitissima colonia. Alle proteste sannite i romani contrapposero il fatto che la loro iniziativa si era resa necessaria per i tentativi sanniti di sollevare contro di loro la citta volsca di Privernum, i Fundiani ed i Formiani, così da intercludere le loro comunicazioni con il territorio capuano. Nel Consiglio sannita si levarono grida di guerra o si invocarono quanto meno significative rappresaglie che suonassero di monito ai romani e su tutte si levò la voce di Papio Brutolo, valente soldato che aveva un largo seguito nel paese. Nonostante l’acceso dibattito fu ancora una volta la prudenza a prevalere ma fu deciso in previsione di una guerra ormai inevitabile di inviare ambasciatori presso i Galli e gli Etruschi sperando che gli stessi potessero intervenire aprendo per i romani un fronte del nord che avrebbe impegnate buona parte delle legioni romane.
Il nuovo e decisivo casus belli fu annunciato nel corso di una successiva e non meno agitata riunione del Consiglio sannita.
– A Neopolis -venne comunicato ai presenti- si sono verificati atti ostili contro i romani che ce ne hanno imputata la piena responsabilità e in Senato si sono sentite discorsi a noi decisamente ostili tant’è che è stato impartito l’ ordine ad uno dei consoli, Q. Publilio Filone, di vendicare l’offesa subita in quella città e un esercito presto muoverà su Neapolis. Ma non è tutto, infatti un secondo esercito consolare, guidato da Cornelio sta prendendo posizione tra Atella e Sessuela in prossimità delle nostre frontiere per sconsigliare un nostro diretto intervento o se del caso precluderlo.
Come sapete a Neapolis abbiamo già inviato quattromila nostri soldati ai quali si sono aggiunti duemila nolani ma questo non può suonare come offesa o provocazione a Roma né formalmente configurare alcuna nostra violazione degli accordi. poiché i nostri tecnicamente potremmo definirli, al pari dei nolani, come dei mercenari ingaggiati dai napoletani . Certo sapevamo che così operando avremmo potuto allarmare Roma ma abbiamo anche noi degli interessi in Campania ed abbiamo tutto il diritto di tutelarli piaccia o meno a Roma. I rapporti con Roma sono quindi in una fase delicata in quanto ciascuna parte potrebbe rimproverare all’altra la violazione degli accordi. Scopo di questa assemblea è valutare la situazione e prendere le necessarie iniziative.
All’esposizione fece seguito un concitato rumoreggiare dei presenti e di tanto in tanto si levavano grida distinguibili.
–Il Sannio non teme Roma!
-Roma non ha mai rispettato gli impegni assunti!
-Guerra a Roma e subito!
Risultando impossibile un ordinato dibattito fu quindi deciso di aggiornare la seduta all’indomani per permettere ai partecipanti, in informali incontri, di dibattere il problema e di nominare poi dei portavoce che dinanzi al Consiglio esponessero gli orientamenti emersi.
L’indomani alla ripresa dei lavori come portavoce di coloro che erano su posizioni più prudenti parlò Tauro.
–Amici chi vi parla è un soldato ed come portavoce di molti che come me sono soldati vi parlerò da soldato e non da politico. Non parlerò di pace ma neppure invocherò la guerra. A noi soldati le guerre piace vincerle e non combatterle per il gusto di farlo perché più di ogni altro conosciamo gli orrori e le sofferenze che una guerra comporta non solo per chi le combatte ma sopratutto per le popolazioni civili. Riteniamo che Roma abbia apertamente violati i patti e che non si possa restare a guardare e che quindi sia inevitabile una guerra. Noi ed i romani oggi rappresentiamo le due maggiori potenze della penisola ed è quasi inevitabile che ci si scontri perché è ormai ora di risolvere la questione se in prospettiva debbano essere i Sanniti o i Romani a governare su tutta o su gran parte della penisola. Ma se la guerra è inevitabile, a meno che i romani non diano per primi inizio alle ostilità sul piano militare, riteniamo opportuno prepararci alla stessa non lasciandoci incautamente coinvolgere in uno scontro al quale oggi forse non siamo adeguatamente preparati. Non lanciamoci in una guerra che ci viene imposta con provocazioni gravi e mirate, ma scegliamo noi, se possibile, quando e come iniziarla soprattutto considerando che nella struttura romana oggi compatta possono aprirsi o si possono indurre ad aprire incrinature dovute all’insofferenza dei molti popoli a lei soggetti . Come ben sapete a Roma si confrontano due diversi partiti e coloro che propugnano l’espansione verso il Sud, essendo ancora in minoranza, potrebbero volerci indurre a compiere il primo atto ostile per forzare la mano all’avverso partito cittadino. Già una volta spinti da un fattore emozionale ed in difesa di quella che ritenevamo una limitazione della nostra autonomia ci siamo lasciati trascinare in una guerra non preventivata con i romani e, forse anche per leggerezza, ne siamo usciti se non da vinti sicuramente non da vincitori. Quello strappo è stato ricucito dalla diplomazia perché né noi né i romani ci sentivamo pronti ad affrontarci ma l’accordo a suo tempo raggiunto ha solo spostato nel tempo un problema che sapevamo entrambi irrisolto. Oggi per altro verso quel problema si ripropone e, su questo siamo tutti concordi, la guerra è inevitabile e possiamo solo tentare di non essere intempestivi nell’affrontarla.
Papio Brutolo prese la parola per l’opposto schieramento.
– Amici condivido il quadro fatto dal mio buon amico Tauro Pentro e cercherò di limitare la mia esposizione all’essenziale non essendo un oratore che possa competere con il meddix dei Pentri. Lo dico subito e chiaro. Non tergiversiamo. Il nostro popolo è da sempre strutturato per diventare all’occorrenza un popolo di soldati la fama ed il valore dei quali sono indiscusse ed ovunque note. E’ vero il primo scontro con i romani non ci ha visti vincitori ma neanche vinti. Gli errori compiuti non devono ripetersi e la vittoria non può sfuggirci. I confini di Roma negli ultimi tempi si sono in pratica dilatati e questo può rivelarsi il tallone di Achille dei nostri nemici ai quali possiamo facilmente chiudere la strada verso il sud forse anche approfittando del fatto, come ha ricordato Tauro, che a Roma non sia ancora prevalente il partito che sostiene l’espansione nel sud della penisola. Ritengo inoltre, come hanno dimostrato i latini prendendo le armi contro Roma per rivendicare armi in pugno una cittadinanza, che con Roma impegnata contro di noi altri popoli a lei soggetti potrebbero ribellarsi ad una politica romana che impone obblighi senza concedere diritti. Lo potrebbero fare innanzi tutto i campani che si sono visti negare quei diritti che sono stati riconosciuti solo a quella parte della cavalleria che ha combattuto a fianco di Roma contro i propri fratelli. Roma con la sua ottusa difesa del diritto di cittadinanza può tramutarsi in un gigante dai piedi di argilla persino se i popoli a lei soggetti si rifiuteranno di fornire le truppe che verranno loro richieste. Non sottovalutate che se al sud i romani cercano alleati negli Apuli al Nord hanno eterni nemici quali Etruschi e Galli che in qualunque momento possono gettare nella mischia, e non certo a fianco di Roma, i loro soldati. Roma ha più di noi da guadagnare nell’attesa, può vendersi qualche brandello della sua cittadinanza, può inventare altre tribù urbane per legare con più stretti vincoli chi oggi reclama maggiori diritti, può sbarazzarsi di elementi ostili e così via. Spero, anche se con meno forbitezza di Tauro, di avere espresso il nostro parere: guerra e subito!
Seguirono evidenti segni di approvazione da parte di una più vasta parte del consesso rispetto a quella che si era riconosciuta nelle parole di Tauro.
Il portavoce del Consiglio precisò che in giornata doveva prendersi una decisione perché Roma aveva inviato propri legati per protestare contro la presenza militare sannita a Neapolis che rendeva difficile far valere un giusto diritto dei romani di punire quella città per lo scempio compiuto contro propri concittadini o contro chi in Roma comunque si riconosceva. Una risposta non poteva quindi essere dilatoria anche se si poteva per il momento ancora tergiversare riproponendo le querele per l’occupazione di Fregelle. Passando a votare le due mozioni presentate prevalse la corrente che si riconosceva in Papio Brutolo e si riferì agli ambasciatori che il Sannio avrebbe ritenuto come ostile ogni iniziativa contro Neapolis e, se del caso, avrebbe fatto valere i suoi diritti con le armi.
Decretata la mobilitazione generale il Sannio si preparò alla guerra inviando sui confini i reparti già in armi ed organizzandone altri. Era il 326 a.C. Iniziava la seconda Guerra Sannitica che sarebbe durata oltre 20 anni.
Se anche il paese, grazie al suo stretto legame federale poteva dirsi perennemente organizzato per la guerra contando su truppe professionalmente dedite alla vita militare, nell’ambito di ogni singola tribù, curate da locali maggiorenti o dalle diverse comunità, esistevano delle milizie locali, come la vereia di Tauro, che in caso di necessità potevano essere integrate, con un breve ma pur tuttavia necessario periodo di amalgamazione e di integrazione, alle truppe permanenti. Rimaneva poi ancora la possibilità di ricorrere ad una più vasta mobilitazione che avrebbe a sua volta richiesti i suoi tempi perché si sarebbero dovuti trasformare in soldati agricoltori, commercianti ed artigiani. Con la mobilitazione in atto, Tauro scompose la sua vereia in una serie di unità di addestramento per avviare alle armi i coscritti di ogni angolo della Pentria.
Mamerco, Ursidio e Murcus, rispettivamente di ventuno, diciannove e sedici anni, presero ciascuno il comando di una di queste unità di addestramento assumendo poi una posizione di comando negli eserciti nelle quali le truppe da loro addestrate sarebbero poi confluite agli ordini di uno o più comandanti nominati dal Consiglio della Lega.
Mentre Tauro ed i suoi figli erano impegnati nei preparativi della guerra sempre più imminente, Paculla viveva giorni d’angoscia perché questa guerra questa volta avrebbe portati lontani ed esposti a pericoli i suoi quattro uomini. Sapeva però, come ogni donna sannita, che era suo dovere nascondere ogni preoccupazione personale e tenersi pronta a subentrare nelle attività civili dei suoi uomini. Sua consolazione era il fatto che avrebbe avuta con sé la piccola Papia che le avrebbe riempita la giornata o meglio le poche ore che per un lungo tempo avrebbe avute libere.
I cavalli dell’allevamento, salvo poche fattrici e stalloni, erano stati distribuiti per dotarne la cavalleria sannita, gran parte del bestiame era stato anticipatamente macellato perché non ci sarebbero state braccia sufficienti a curarlo e per farne razioni per i soldati e per i civili.
Le stesse operazioni di macellazione su vasta scala si ripetevano in tutto il paese e muggiti o belati segnalavano questa straordinaria mattanza. I fuochi delle officine dei fabbri rimanevano perennemente accesi e le officine risuonavano del rumore dei magli e dei martelli con i quali si preparavano armi, corazze, ferri per i cavalli e così via. I telai non conoscevano momenti di sosta per preparare tuniche e vesti per i soldati che dovevano partire.
Tauro come meddix dei Pentri coordinava questo eccezionale sforzo bellico che coinvolgeva ogni villaggio della Pentria e del Sannio. Il consiglio della Lega assorbiva altra parte del suo tempo dovendo prendersi una serie di decisioni che dovevano riguardare tanto la vita di guerra che quella di pace. C’erano poi i capi villaggio da ricevere, campi di addestramento da visitare, scorte da controllare, ordini o consigli da dare a seconda dei casi.
Con il passare del tempo l’impazienza cresceva soprattutto in coloro che avrebbero voluto subito dare inizio alle operazioni militari su grande scala. Ma sembrava che anche i romani cercassero di organizzarsi per una lunga guerra e salvo sporadici scontri di non si ebbero operazioni militari degne di nota mentre i nuovi eserciti si completavano negli organici.
Tauro aspettando di conoscere a quale comando sarebbe stato destinato si chiedeva se, una volta che tutti avessero conosciuta la propria destinazione, avrebbe preferito o meno avere al suo fianco i figli . L’episodio di Tito Manlio lo assillava e non sapeva se l’avere i figli vicini avrebbe influenzato, e in che direzione, il suo ed il loro comportamento. Pur potendo, se avesse voluto, influire sulle assegnazioni dei suoi preferì astenersi da ogni iniziativa per rimettersi a scelte esterne.
Finalmente gli fu comunicato che avrebbe operato, sotto il comando di Pontio Erennio, in funzione di comandante della cavalleria nell’esercito destinato ad intervenire a Neapolis o comunque ad operare in Campania. Con lui avrebbe avuto Ursidio. Mamerco era invece destinato all’esercito che aveva il compito di difendere le frontiere del Nord mentre Murcus sarebbe rimasto nel Sannio con truppe di riserva eventualmente impiegabili per garantire da incursioni nemiche l’integrità del paese.
Non avrebbe potuto desiderare una soluzione migliore. Mamerco unico dei suoi figli che già avesse affrontato in campo un nemico non lo preoccupava e considerava un bene avere vicino Ursidio in quanto alla sua prima esperienza di guerra ed in quanto, pur se militarmente preparato, meno portato per la vita militare. Murcus con la sua irruenza giovanile era bene che fosse rodato in attività non di prima linea. In questo senso tranquillizzò anche Paculla essendo ormai arrivato il fatidico momento della separazione dai suoi uomini.
Prima di separarsi dai figli che non l’avrebbero seguito Tauro, al di là dei saluti, ritenne di dover dir loro qualche parola.
– Figlioli è giunta l’ora che aspettavate di misurarvi in campo con un nemico. Siete stati preparati a questo momento e siete perfettamente in grado di svolgere i compiti che vi verranno assegnati. Avrete di fronte il più tenace dei nemici nella più difficile guerra che il nostro paese abbia finora affrontata. La posta in gioco è altissima. So che siete dei buoni soldati e non credo di potervi dare consigli che già non abbiate avuti e quindi vi do la mia benedizione. Ricordate sempre il nome che portate e siatene sempre all’altezza. Rispettate superiori ed inferiori e se necessario anche il nemico. Ubbidite agli ordini che vi verranno impartiti anche se non li condividerete ma non tenete per voi le vostre opinioni se vi vengono richieste ma non lasciate mai che la disciplina si allenti, non usate inutili violenze o crudeltà contro i nemici, civili o soldati che siano, perché anche loro sono coinvolti in un conflitto che certamente non hanno personalmente voluto e del quale non è loro imputabile la responsabilità.
A disagio nel duplice ruolo di padre e di meddix, per la prima volta si trovava a corto di argomentazioni travolto da sensazioni nuove e sconosciute. Da soldato a soldati salutò quindi i figli evitando, come invece avrebbe voluto, di stringere al petto quei tre bellissimi giovani che erano la sua discendenza. Prima dei figli, aveva salutato la piccola Papia eccitata alla vista di tanto trambusto e dei suoi cari in armi. Si era poi appartato con Paculla dirigendo con lei verso la loro casetta sul lago . Questo ennesimo separarsi dalla moglie gli appariva più doloroso degli altri che lo avevano preceduto. Giunti in riva al lago si sedettero e Paculla, sdraiatasi vicino a lui gli poggiò la testa in grembo. La mano di Tauro prese a carezzarle il viso ed i capelli e quasi senza accorgersene si ritrovarono a rivivere i ricordi di una vita trascorsa insieme. Il primo incontro, il bagno notturno di Paculla, il primo ritorno di Tauro dalla guerra, il giorno delle nozze, la nascita dei figli, le lunghe assenze e gli appassionati abbracci dei ritorni e rivivere episodi e sensazioni lontane dette loro una serenità che avrebbe reso meno doloroso l’addio.
Separandosi Tauro ribadì il suo amore e ringraziò Paculla per i tanti anni di felicità che gli aveva dato e Paculla comprendendo che quelle poche parole non erano le sole che il suo uomo avrebbe voluto dirle a sua volta non ebbe che poche parole.
– Torna a me, mio amore. Vigila sui nostri figli. Tornate tutti sani e salvi perché vi voglio bene.
Al campo Tauro si ritrovò in un ambiente familiare fra vecchi e nuovi compagni. Notò con piacere che le truppe apparivano perfettamente addestrate e motivate e pensò che nonostante la linea immediatamente interventista sostenuta da Papio Brutolo l’esercito sannita si limitava in attesa di un ulteriori sviluppi a fronteggiare le legioni romane. Una stasi che in quei primi mesi di guerra dichiarata ma non ancora combattuta in pratica consentiva il completamento di quella preparazione in nome della quale si era battuto al Consiglio della Lega. Si viveva infatti una strana situazione perché pur essendoci una guerra in atto non si verificavano scontri o grandi movimenti di truppe in quanto entrambi i contendenti sembravano attendere che fosse l’avversario a compiere il primo vero e proprio atto di guerra. In quanto a Neapolis i romani avevano posto l’assedio ma la situazione non destava alcuna preoccupazione perché la città era con le proprie difese e forze in grado di resistere tanto più che con il pieno controllo delle vie di comunicazioni marittime non risentiva alcuna conseguenza per l’assedio.
Ma i romani si mossero a sorpresa da Fregelle, senza spostamenti delle truppe che fronteggiavano quelle sannite, puntando sul territorio sannita e occupando Rufrae e poi Allifae costituendo una testa di ponte al di là del medio Volturno.
Le vittorie romane non furono che il primo segnale che la guerra fosse entrata nel vivo e notizie gettarono il Sannio nello sconforto. Ulteriori brutte notizie raggiunsero le truppe di Ponzio Erennio e di Tauro ancora in attesa di un ordine di muovere contro i romani e di puntare su Neapolis e sulla Campania che tutto, fino a quel momento, aveva lasciato pensare sarebbe stato il primo e principale teatro delle operazioni.
Ponzio Erennio e Tauro appresero gli altrettanto imprevisti sviluppi verificatisi sul loro fronte da reparti sanniti che provenivano da Neapolis.
– Neapolis è perduta– annunciarono fornendo poi più dettagliate informazioni. – L’assedio posto dai romani non ci creava alcuna preoccupazione e sapendo che la guerra era ormai in atto i nostri capi hanno preferito attendere sulla difensiva gli sviluppi della situazione limitandosi a contrastare le iniziative romane. La nostra relativa tranquillità ha però convinto i demarchi napoletani prima e man mano ampi strati dei cittadini che non eravamo in grado di liberare la città da un assedio che stava producendo crescenti e disastrosi effetti sull’economia cittadina. Il malumore ha cominciato a diffondersi soprattutto fra la componente greca e sono cominciate a correre voci che loro emissari intendessero prendere contatti con i romani . A questo punto i nostri comandanti sono stati convocati dai due demarchi napoletani Carialo e Ninfio che avendo il supremo comando militare ci hanno ordinato di imbarcarci nottetempo sulle loro navi che ci avrebbero poi sbarcati sul litorale in modo che potessimo cogliere i romani alle spalle e così liberare la città dall’assedio. Solo quando le navi erano ormai al largo abbiamo realizzato che la città aveva aperte le porte ai romani e che la resistenza dei pochi nostri rimasti in città era stata vinta nel sangue. Una volta sbarcati, divisi in piccoli gruppi, abbiamo cercato di ricongiungerci con voi. Ulteriori reparti che via via arrivarono alle volte decimati e soprattutto i pochi scampati all’eccidio cittadino che era seguito all’ingresso in città dei romani fornirono maggiori dettagli sull’accordo raggiunto tra i demarchi napoletani ed i romani. – Roma, come prezzo del tradimento, ha riconosciuto a Neapolis piena autonomia, l’integrità del territorio, il diritto di battere moneta e la piena libertà di riprendere i commerci. Alla città non è stato imposto alcun tributo salvo quello di fornire ove richiesta navi ed equipaggi e se in città è stato accolto un presidio romano questo viene considerato come una forza di difesa e non di occupazione.
L’accordo raggiunto con Neapolis ebbe come immediata conseguenza anche la defezione dal campo sannita della lega nocerina.
Raccapriccianti erano le notizie che riguardavano la maggior parte della cittadinanza considerata filosannita di Neapolis sulla quale si era soprattutto scatenata la rivalsa degli esuli romani che stavano rientrando in città dopo essere stati a suo tempo estromessi.
Continuarono ad arrivare altre brutte notizie mentre nel campo sannita si attendevano nuovi ordini . Si parlava di accordi che Appuli e Lucani venendo meno, sopratutto gli ultimi, agli impegni presi con il Sannio, avevano preso con Roma mettendo in una situazione difficile i reparti sanniti sul loro territorio che si sarebbero improvvisamente trovati accerchiati con poche scorte e problemi notevoli di approvvigionamento.
Di positivo, al contrario, si aveva notizia che i tarantini, informati della caduta di Neapolis, alla quale già precedentemente avevano promesso un aiuto mai fornito, preoccupati dai successi romani stavano valutando l’opportunità di allearsi con i sanniti.
Caio Ponzio responsabile del settore sud inviò prontamente la cavalleria di Tauro in Lucania per avere informazioni di prima mano e per portare aiuto ai distaccamenti sanniti che si sosteneva trovarsi in difficoltà ma Tauro potette constatare che la situazione era decisamente migliore rispetto alle informazioni ricevute in quanto il Senato lucano seppure aveva dibattuta l’opportunità di un’alleanza con i romani aveva poi finito per ribadire la alleanza con i Sanniti e a garanzia dell’impegno come richiesto da Tauro aveva inviati numerosi ed importanti ostaggi nel Sannio.
Gli Apuli, invece, avevano effettivamente concluso un’alleanza con Roma nella quale vedevano l’unica possibilità per arginare le spoliazioni territoriali che la transumanza annuale delle greggi sannite comportava. Tauro ed i suoi si trovarono quindi ad operare in Apulia cercando di dare man forte alle diverse guarnigioni sannite che presidiavano i punti strategici di quel territorio ma fu una lotta impari ed i sanniti dovettero ovunque ripiegare man mano che le loro guarnigioni cadevano ed il territorio veniva progressivamente occupato dalle truppe romane sempre più determinate a sottrarre ai rivali un territorio che sapevano essenziale per la loro economia. La guerra che si combatteva in Apulia divenne impari per le forze sannite soprattutto quando Roma, avendo raggiunti accordi con Marsi, Peligni, Marrucini e Frentani, potè contare su vie di comunicazione lunghe ma sicure con l’Apulia e far giungere nuove truppe. Solo i Vestini, pressati dalle diplomazie di entrambe le parti, non vennero meno alla lealtà verso i sanniti e tentarono di opporsi al flusso di rifornimenti di uomini e mezzi romani diretti in Apulia e di ricongiungere le loro forze a quelle sannite. Una opposizione che pagarono cara perché dovettero subire dure rappresaglie romane che soprattutto Cutina e Cingilia pagarono a caro prezzo.
Si chiusero così gli anni 326 e 325 che salvo le battaglie iniziali nel Sannio erano costate la perdita di Rufrae ed Allifae e la devastazione di parte della zona del Liri e del Volturno ora in mano romana. La maggior parte dei successivi combattimenti, peraltro non significativi riguardo alle forze impiegate, ebbero come scenario l’Apulia mentre, contrariamente alle previsioni iniziali, non si combatté quasi in Campania. Ma questi tre primi anni di guerra registrarono prevalentemente i successi della diplomazia romana che seppe portare nella sua orbita tutti i popoli confinanti con il Sannio e fondare in Apulia, in buona parte controllata da presidi romani, la colonia latina di Luceria.
Nel Sannio, ormai, variamente accerchiato da ovest ad est da popoli o città legate a Roma e con al sud l’aperta e quasi atavica ostilità dei greco-italioti, si rendeva necessario rompere quell’accerchiamento pericoloso per la stessa integrità del territorio nazionale ma anche dannoso sotto un profilo economico perché con la perdita del controllo della pianura campana e di quella dell’Apulia, saldamente presidiata dalla colonia di Luceria, sarebbero state praticamente impossibili le transumanze annuali. Non rimase inattiva neanche la diplomazia sannita che si adoperò per rinsaldare i legami di amicizia con etruschi ed umbri sperando di poterli coinvolgere al loro fianco così da creare difficoltà alle spalle dei romani.
Il 324 segnò una fase più attiva di combattimento ma sembrava evidente che i romani sembrassero paghi del fatto di aver posto un argine alla presenza sannita in Campania e di avere stabilite loro basi in Apulia e di essere riusciti sul piano diplomatico ad isolare e circondare il Sannio. Gli stessi sanniti sicuramente avendo accusato il colpo che li privava di molte relazioni con i vicini e che li privava delle pianure fondamentali per la loro economia preferirono non impegnarsi in azioni di riconquista ma si limitarono a difendere il proprio territorio laddove le truppe romane tentavano azioni incisive di razzia e di rappresaglia e l’anno successivo la presenza di truppe romane sul territorio sannita indusse il Consiglio della Lega ad inviare ambasciatori a Roma per concordare una tregua di un anno. Una tregua che fu ben volentieri accordata visto che i romani pur consapevoli che nulla di decisivo era accaduto potevano ostentare come un successo il fatto che il nemico avesse avanzata quella richiesta.
Fu Tauro, ed era l’anno 323, a condurre le trattative e a malincuore, come da istruzioni ricevute, dovette accettare la condizione posta dai romani che prevedeva il formale riconoscimento delle colonie di Fregelle e Luceria considerate dai romani fondamentali per un controllo del Sannio e che a carico del Sannio ogni soldato romano ricevesse un anno di paga ed una veste. Accordo questo che in pratica sembrò il prezzo di una sconfitta.
Per quanto fosse in atto la tregua le truppe romane ancora in territorio sannita, più che altro per fare razzia di viveri, operavano in danno di piccoli centri di confine. Papio Brutolo, sempre più convinto che non si dovessero interrompere le ostilità, organizzò, di propria iniziativa, piccoli ed agili reparti di fanteria leggera pronti ad intervenire sia in difesa delle posizioni sannite sotto attacco nemico sia contro le posizioni romane dando avvio ad una aperta guerriglia che costituiva una spina nel fianco romano.
In uno degli scontri cadde Murcus, il più piccolo dei figli di Tauro che attirato dal carisma di Brutolo aveva fatto di tutto per essere inquadrato nelle file di uno dei suoi reparti e distintosi in numerose azioni ne era diventato uno dei più stretti collaboratori.
Tauro che aveva avuto ordine di incontrare Brutolo Papio per invitarlo al rispetto della tregua si trovò per caso presente nel villaggio nel quale, dopo un’incursione contro una posizione romana, era stato riportato sugli scudi il corpo esanime del figlio che personalmente, senza versare una lacrima, lavò e rivestì delle sue armi per comporlo, con le insegne che lo stesso aveva prese ai romani, su una pira che lui stesso accese.
Una volta solo, dopo queste tristi incombenze, si abbandonò al suo disperato dolore.
Erano passati pochi giorni dal rogo di suo figlio quando gli fu annunciato che Brutolo Papio cercava di lui.
–Tauro – esordì Brutolo – so che mi cerchi per consegnarmi un ordine scritto del Consiglio che mi richiama al rispetto della tregua. Sappi che non intendo accettare l’ordine così come non accetto questa umiliante tregua. Sapendo lo scopo della tua missione, che ti so peraltro ingrata, non ti avrei incontrato ma ho sentito il dovere di farlo solo per esprimerti il mio dolore per quanto è accaduto a tuo figlio. Ho amato Murcus come se fosse stato il figlio maschio che non ho mai avuto e comprendendo il tuo dolore volevo condividerlo con te. Saprai, perché dell’ultimo dei tuoi nati già molti nel Sannio esaltano il coraggio ed il valore, che tuo figlio si è sempre comportato da valoroso onorando te, la tua famiglia e la tua gente. E’ triste morire giovani quando si ha tutta la vita davanti ma per un soldato, e noi lo siamo, è la morte migliore che ognuno possa augurarsi. Sugli dei ti giuro che mi sono personalmente impegnato di far pagare a caro prezzo ai romani la morte di tuo figlio. .
– Non è uccidendo altri romani – replicò Tauro – che ridarai la vita a mio figlio ed ai tanti giovani che hai convinto a seguirti in queste scorrerie. E’ vero, so che nonostante l’ordine che mi è stato dato per consegnartelo molti nel Consiglio sono dalla tua parte e che, anche se non ufficialmente, operi con il benestare del nostro popolo. Io personalmente non condanno, pur non condividendolo, il tuo operato e questo tu lo sai. Già una volta ci siamo trovati su posizioni diverse. Ma temo che questa volta potremmo dover pagare a caro prezzo queste tue iniziative e non sarà certo l’ordine che ti consegno che potrà convincere i romani che non stiamo venendo meno alla parola data .
–Se non ti sapessi valoroso –l o interruppe Brutolo- ti ingiungerei di non continuare a pronosticare sventure. Non è questo il modo di dare coraggio ai nostri giovani. Non possiamo accettare, da sanniti, che sia il Senato di Roma dai suoi lontani scranni a decidere del nostro operare. L’orgoglio ed il valore sono il nostro maggiore patrimonio e forse un giorno qualcuno mi ricorderà per non aver buttato tutto questo alle ortiche .
– Spero per te e per tutti noi che tu abbia ragione ma temo, conoscendo gli uomini, che se un giorno le cose si dovessero mettere male per noi proprio chi oggi ti sostiene potrebbe diventare di fronte al nostro popolo il tuo più accanito accusatore. Per quanto riguarda mio figlio non ho rimproveri da muoverti. Murcus unendosi a te ha fatta una scelta responsabile e purtroppo ne ha subite, non per tua colpa, le conseguenze. Ti ringrazio per le tue parole e considera adempiuto il mio dovere nei tuoi confronti.
Ursidio, al rientro del padre, fu il primo ad essere informato della morte del fratello ed a piangerlo. Lui stesso in un loro precedente incontro l’aveva supplicato di non lasciarsi convincere dai discorsi di guerra ad oltranza propugnati da Brutolo ma aveva dovuto ammettere che nulla lo avrebbe allontanato dalla via prescelta e dal suo idolo. Ricordava bene le parole del fratello.
– Ursidio, il modo di operare di Brutolo è il migliore per dimostrare a Roma chi siano i sanniti. Le sue tecniche di guerra rivoluzioneranno questo antiquato modo di combattere schierando due eserciti uno di fronte all’altro per mandarli poi al macello come se fossero in parata. Una guerra non può decidersi in uno o pochi scontri campali. Questo modo di combattere lascia troppo spesso il tutto nelle mani del fato. La vittoria è nell’inventiva, nel logoramento dell’avversario, nel valore individuale. Vedessi quanti giovani sono pronti a seguire Brutolo e con quanto entusiasmo. Siamo stanchi di temere Roma e di combattere guerre che ci vedono perdenti nelle battaglie decisive per l’attendismo di chi ci comanda. Tu non ami la guerra, fratello, e forse per questo non puoi capirmi ma questa è la guerra che amo e se dovesse succedermi di non tornare, non piangete, perché io avrò vissuta la vita che volevo.
Queste parole non erano però sufficienti, ora che Murcus era morto, a lenire il dolore di Ursidio che essendo certo di non avere l’animo di un soldato e di non amare la vita che conduceva al campo ben difficilmente poteva capire l’entusiasmo del fratello visto che lui compiva il suo dovere senza gioia né entusiasmo ma con la coscienziosità che guidava ogni compito che gli venisse affidato. Spesso, non sapendo che era stato il caso a metterlo al fianco di suo padre, si era chiesto se suo padre non avrebbe fatto meglio a prendere con sé il fratello minore così da poterlo tenere a freno e se del caso stemperare la sua irruenza. Ora che il fratello era morto se ne sentiva in parte colpevole per essere nel posto che forse avrebbe potuto salvargli la vita. Analoga colpa in un certo senso provava anche Tauro rimproverandosi di non aver cercato di avere al suo fianco Murcus ma da soldato quale era accettava la fatalità della morte del figlio e si rendeva conto che nulla e nessuno avrebbe potuto impedire al più giovane dei suoi ragazzi di operare le scelte nelle quali credeva e si consolava al pensiero che in effetti Murcus aveva liberamente vissuta, con sicuro entusiasmo e con gioia, la scelta che si era poi per lui rivelata fatale. Fu poco dopo la morte del fratello che Ursidio ricevette l’ordine che presto avrebbe lasciati i reparti operativi e di rientrare in patria dove avrebbe coordinata la produzione dei beni necessari ai vari reparti combattenti.
322 a.C. – Quella strana guerra si trascinava ormai da cinque anni senza che si fossero combattute grandi battaglie che potessero considerarsi risolutorie .
Le scorribande degli uomini di Brutolo si erano però inserite in questo stato di precaria tregua come un forte elemento di turbativa ed i romani avendone subite le conseguenze, stanchi di questa guerriglia logorante, sembravano decisi a riprendere con decisione le ostilità ma prima di farlo minacciosamente richiesero non solo il rispetto della tregua e la cessazione delle scorrerie di Brutolo ma, se era vero come sostenuto dai sanniti che operasse contro le loro direttive, che lo stesso venisse consegnato ai romani per la giusta punizione.
La richiesta pose in luce nel paese e conseguentemente nell’ambito del Consiglio della Lega divergenze finora latenti e mai apertamente affrontate. Una parte dei sanniti risentendo le conseguenze di quella duratura mobilitazione che danneggiava l’economia del paese cominciava a reclamare il ripristino dei patti con Roma e della normalità mentre un’altra sosteneva Brutolo e le sue iniziative e premeva per una ripresa delle ostilità su vasta scala per giungere ad una rapida conclusione di quel conflitto che era indiscusso procurasse a tutti innegabili danni.
Le due diverse posizioni si scontrarono nel corso di una riunione del Consiglio.
Molte voci reclamarono la punizione di Brutolo opponendosi però alla imposizione di consegnarlo al nemico ma i più accaniti arrivarono a sostenere che per dare un chiaro segno delle intenzioni di pace sannite andasse accolta la richiesta romana, poche quelle che si levarono in suo favore e per la prosecuzione della guerra. Brutolo presente, con sguardo gelido e sprezzante, osservava come fra coloro che ora richiedevano la sua testa vi fossero molti di coloro che un tempo erano stati i più intransigenti sostenitori della guerra e che avevano tacitamente approvate le sue scorrerie.
Tauro astenendosi dal prendere parte alla concitata discussione si rendeva conto che Brutolo si stava tramutando in capro espiatorio di una guerra che innegabilmente voluta si era rivelata nella durata e nelle conseguenze ben diversa da quanto si era sperato. Personalmente era dalla parte di coloro che volevano il ripristino della pace anche se in cuor suo riteneva che, mai come ora, il Sannio era pronto allo scontro finale e che sarebbe stato pertanto sciocco rinviarlo nel tempo.
Da più parti si levavano voci che chiedevano che si passasse ai voti per decidere la sorte di Brutolo ma la decisione fu sottratta all’assemblea per essere demandata ad un gruppo ristretto di anziani a ciò delegati dai presenti.
La decisione non tardò molto .
–Abbiamo ritenuto – annunciò il portavoce degli anziani- che Brutolo Papio debba ritenersi responsabile di azioni sconsiderate che condotte senza alcuna superiore autorizzazione ed in contrasto con la parola data ai romani in nome del nostro popolo hanno violata la tregua . Si ritiene giusto che Brutolo Papio paghi personalmente le conseguenze e pertanto verrà consegnato in catene ai Romani ed i suoi beni saranno confiscati. Si è anche deciso che si rimettano ai romani i loro prigionieri e le prede di guerra loro tolte.
Brutolo Papio accolse la decisione con calma ma quando vide alcuni soldati dirigersi verso di lui estratto un coltello dalle pieghe delle vesti si inferse un colpo mortale al cuore e cadde.
Seguì una indescrivibile confusione e a fatica ristabilito l’ordine prese nuovamente la parola il portavoce del Consiglio.
–Brutolo Papio da uomo e da soldato si è sottratto alla nostra giustizia ed all’ignominia di essere tradotto in catene a Roma. Disponiamo che il suo corpo venga egualmente consegnato ai romani. Vogliano gli dei che il gesto valga a riportare i rapporti con Roma alla pregressa normalità.
Tauro poté quindi tornare per un breve periodo nella sua terra. Negli anni trascorsi aveva avute solo fugaci occasioni di riabbracciare la moglie e la figlioletta e sentiva molto la loro mancanza. Il ritorno tuttavia era reso meno lieto dal fatto che Murcus non sarebbe stato tra loro ed oltretutto si sentiva colpevole per non essere stato vicino alla moglie nel momento in cui le era stata annunciata la morte del loro ultimogenito.
La prima persona che gli corse incontro da casa fu Papia che vincendo il reverenziale timore per quel padre che poco conosceva gli volò nelle braccia.
– Come sei cresciuta – mormorò Tauro stringendola forte –Stai proprio diventando una donna, una donna molto carina.
– Certo padre, ormai ho compiuto dodici anni e ho già imparato tutto quanto una donna deve sapere in una casa. Resterai con noi questa volta o dovrai subito ripartire?La casa è vuota senza di te ed i miei fratelli. Cosa mi hai portato? Beati voi che andate sempre in giro mentre a noi non resta che aspettarvi.
-Se non ci foste voi ad aspettarci non varrebbe la pena tornare, piccolina.
-Voi dite sempre così.
Tauro si trattenne con la figlia che lo tempestava di domande notando con piacere come stesse crescendo trasformandosi in una bella ragazza del tutto somigliante nel viso, nei colori e nella figura a sua madre. Questa somiglianza, ora evidente, lo portò a pensare agli anni trascorsi ed avvertì il peso dei suoi cinquant’anni e realizzò che probabilmente non era mutato solo il suo aspetto fisico. Nonostante si sentisse in forma dovette ammettere che la sua prestanza fisica si avviava verso un lento, anche se non ancora visibile, declino e che il duro colpo della perdita di Murcus aveva inciso su di lui. Sentiva il desiderio di stare con la famiglia e l’idea di riprendere a combattere non suscitava in lui il desiderio giovanile. Già da tempo i lunghi periodi passati in armi gli tornavano alla mente con le scene più violente e crudeli delle quali era stato testimone e cominciava a pensare di odiare l’idea di spargere ancora sangue, di uccidere ragazzi che erano come Murcus, di cercare tra i corpi dei caduti quelli di persone conosciute od a lui care.
Queste inconsce meditazioni furono interrotte dalla voce di Paculla che era nel frattempo sopraggiunta richiamata dalle iniziali grida di gioia della figlia.
-Come sei pensieroso sposo mio!
Stretti l’uno all’altra cercarono, senza parlare ma solo stringendosi, conforto del grande dolore per la perdita di Murcus e dopo Paculla chiese notizie dei figli.
–Dimmi di loro, ho già pianto uno dei miei uomini e non vorrei più piangere per nessun altro. Ho già pagato il mio prezzo per questa guerra. Cosa mi dici di Mamerco, ne hai notizie?E Ursidio perché non é tornato con te?Da donna capisco molto poco di quanto sta succedendo intorno a noi ma vedo nei tuoi occhi ed in quelli di molti soldati che hanno combattuto un velo di tristezza e stanchezza che mi fa paura. Quanto dovrà durare ancora tutto questo?
– Ursidio sta benone – la rassicurarò-. Siamo stati molto insieme in questo periodo e mi é stato di grande conforto averlo con me sopratutto dopo quanto è successo a Murcus. In quella come in altre circostanze si è rivelato molto maturo ed anche come soldato ha dato ottima prova di sé. Credo che più che mai si sia convinto che la sua vita non sia quella del soldato ma ciò non gli ha impedito di adempiere ai suoi doveri. Soffre molto delle dure realtà della guerra anche se in questo caso non ha avuto molte occasioni di vivere esperienze particolarmente crude. Sente una grande mancanza per la vita di quaggiù e quando ha potuto ha dedicato il tempo libero ad adoperarsi per i civili non disdegnando di lavorare al loro fianco nelle sue attività predilette. Ha l’età di prendere moglie e di condurre la vita tranquilla che sempre ha sognato. Presto tornerà a casa perché ha ricevuto un nuovo incarico e con lui vicino a voi mi sentirò più tranquillo. Mamerco, da quanto mi dicono, si è sempre trovato nei punti più caldi del conflitto e si è creata un’ ottima reputazione come soldato. Ama la vita che sta conducendo ed è molto benvoluto tanto dai superiori che dai subalterni. Il suo potenziale di soldato è integro e purtroppo ce ne sarà ancora bisogno.
-Perché dici questo?non è forse vero che ci aspetta una lunga tregua o forse anche la pace?
-Non facciamoci illusioni Paculla. Non credo che questa guerra sia prossima alla fine. Per la prima volta ci battiamo con un nemico forte e determinato e la posta in gioco per entrambi é la supremazia su questa penisola. Ma lasciamo perdere questi discorsi finché possibile. Vorrei dimenticare tutto questo finché mi sarà consentito rimanere con voi.
-Alludi forse ad un bel bagno tutti soli nel nostro laghetto?-scherzò Paculla -Un bel bagno con la tua vecchia sposa?Non sarò certo come ai vecchi tempi, ma. . . pazienza.
-Ottima idea, il rivederti dopo tanto, sempre più bella, mi ha fatto venire strane idee. Non saremo più dei ragazzi ma penso proprio che riusciremo a scordarcene.
Cinta Paculla con un braccio, ora che Papia era ritornata a casa, si diressero verso la casa sul lago consapevoli che la dolcezza e maturità del loro amore avrebbe supplito al minor slancio dei loro abbracci.
Non era trascorso molto tempo quando per Tauro giunse una convocazione del Consiglio della Lega e prendendo parte allo stesso apprese che gli ambasciatori sanniti inviati a Roma si erano visti respingere dal Senato romano che non aveva voluto riceverli ma che pur accettando la restituzione dei prigionieri e le prede di guerra aveva rifiutato il corpo di Brutolo Papio. La guerra quindi sarebbe ripresa e questa volta sembrava evidente che i romani non si sarebbero accontentati di colpire il Sannio nei suoi interessi ed alleanze ma avrebbero sicuramente cercato di violarne l’integrità territoriale fino ad ora intenzionalmente solo scalfita.
– I preparativi per riprendere le ostilità si conclusero rapidamente e l’ esercito sannita, pervaso da una nuova determinazione, fu subito pronto a scendere in campo.
I vuoti erano stati riempiti da nuove leve, i comandi assegnati sui vari fronti. Caio Pontio ebbe il comando dell’esercito che avrebbe operato al sud e, nell’ambito dello stesso, Tauro ancora una volta ottenne il comando della cavalleria. Questa volta come suo primo collaboratore gli fu assegnato Mamerco, in quanto Ursidio aveva assunto il nuovo incarico. Quando gli ordini giunsero padre e figli erano tutti a casa per gli ultimi saluti.
Il giorno della partenza Paculla abbracciando Tauro si raccomandò a lui.
-Riportami questo mio figlio e vigila su te stesso, non voglio altri dolori.
All’alba dello stesso giorno Paculla aveva fatte le sue raccomandazioni a Mamerco.
-Figliolo, questa volta sarai tu al fianco di tuo padre. Veglia su di lui, tuo padre in questi ultimi tempi é cambiato e mi è sembrato stanco e demotivato . Non parte con l’entusiasmo abituale anche se l’orgoglio e l’ onore gli impediscono di ammetterlo. Ho vissuta una vita al suo fianco e lo conosco troppo bene per non accorgermi di quanto ti sto dicendo.
Nemmeno l’uomo più accorto può nascondere certe cose alla donna che lo ama da tanto tempo .
Negli ultimi tempi ha spesso ricordato le parole del padre che vedeva nello scontro con Roma il grande pericolo per il nostro popolo e se anche crede nella nostra vittoria è molto più cauto nei suoi discorsi al riguardo.
–Madre– la interruppe Mamerco- parli come è giusto che faccia ogni sposa che vede il proprio uomo affrontare l’incognita di una guerra. Ma io che oltre che suo figlio sono un soldato non vedo in lui i segni di quanto tu dici. Certo la morte di Murcus l’ha segnato ma il suo spirito è integro, ama i suoi uomini ed il suo lavoro di soldato e tutti lo ricambiano con pari affetto e ripongono in lui la massima fiducia perché non potrebbero desiderare uomo migliore, per giudizio e valore, cui affidare la propria vita. Veglierò comunque su di lui anche se non vedo motivo di farlo.
–Hai ragione Mamerco, i miei sono sciocchi discorsi di una donna che pure dovrebbe ormai essere abituata a vedere partire il proprio uomo. Ma forse sono gli anni che mi rendono apprensiva. Tu comunque siigli vicino.
-Tranquilla, madre, farò come dici e stai sicura che lo stesso faranno tutti i suoi soldati. Non temere per lui!
L’esercito sannita era in marcia con i consueti rituali, i grandi tratturi, si andavano sempre più affollando di truppe e la marcia di avvicinamento al punto di raccolta fu come di consueto dedicata all’affiatamento degli uomini ed all’affinamento di quelle tattiche e tecniche operative che avrebbero permessa la massima integrazione dei singoli nei reparti. Nei primi giorni di marcia Mamerco, senza darlo a vedere, studiò, ma solo perché così gli aveva chiesto sua madre, il comportamento del padre ma non scorse il benché minimo segno che potesse giustificare le preoccupazioni di Paculla.
Suo padre, ora che l’iniziativa era tornata alle armi, sembrava ringiovanito e mostrava a tutti entusiasmo e determinazione. In effetti Tauro nell’imminenza dell’azione aveva ritrovato lo entusiasmo e l’impazienza del soldato alle prime armi anche perché contagiato da un generale clima di ottimismo che pervadeva tutto l’esercito sannita.
Quando le truppe di Tauro si riunirono a quelle di Caio Pontio fu subito chiaro che i due si trovavano bene insieme e che ognuno godeva della massima stima dell’altro.
Caio Pontio prese a confidare a Tauro i propri pensieri e soprattutto a ricercarne il consiglio
–Abbiamo assolutamente bisogno di una vittoria- ripeteva- I troppi anni di inutile guerra devono essere dimenticati e nulla più di una vittoria può assicurare un felice inizio di una nuova campagna militare. Non importa che questa vittoria sia conclusiva, l’importante é che ci sia. Penso che dovremmo cercare di coinvolgere i romani in una battaglia che possibilmente si combatta su un terreno accidentato ed impervio dove i nostri soldati non temono il confronto mentre l’esperienza di Brutolo Papio ci ha insegnato che le legioni, molto maneggevoli in campo aperto, sono vulnerabili in terreni accidentati. E’ quindi importante sulla scorta delle informazioni più o meno attendibili che in vario modo ci pervengono cercare di individuare i loro piani e poi metterci nella condizione di scegliere il terreno sul quale affrontarli .
– Quasi tutte le informazioni – aggiunse Tauro che fra i suoi compiti aveva anche quello di coordinare una rete di informatori che aveva radici tanto a Capua che nella stessa Roma – sembrerebbero indicare che i romani intendano operare riunendo entrambi gli eserciti consolari avendo come obiettivo immediato Luceria che attualmente stiamo tenendo sotto assedio. Per farlo questa volta sembrano intenzionati ad aprirsi una strada attraverso il Sannio sia per raggiungere più rapidamente l’obiettivo sia per costringerci ad affrontarli e finalmente ingaggiare quella battaglia che potrebbe dimostrarsi risolutoria della guerra. I due consoli Spurio Postumio Albino e T. Veturio Calvino hanno fama di essere comandanti audaci e sicuramente il piano da loro concepito lo dimostra perché, secondo le informazioni delle quali disponiamo, muovendo da Capua intendono raggiungere Luceria passando da Calatia, Maleventum ed Aequum Tuticum. Un piano ardito che gli consentirebbe occupando la terra dei Caudini di dividere in due parti il nostro paese spezzando la contiguità tra la Pentria e l’Irpinia e di occupare, con un sicuro effetto sul piano psicologico, Maleventum.
– Se questo è il loro piano si espongono a non pochi rischi perché inoltrandosi nel Sannio non avranno una sicura rete di rifornimenti e finiranno per lasciare a noi che conosciamo il territorio la scelta del momento e del luogo dove affrontarli.
– Quanto dici è esatto ma pare che le due legioni romane siano state ampliate fino a contare riunite diciottomila uomini che sicuramente anche se renderanno la marcia meno veloce garantiscono loro una superiorità numerica. Penso che ci convenga far credere ai Romani che, nella convinzione che il loro obiettivo sia Luceria e che il loro itinerario sarà quello già usato attraverso i territori dei Peligni e dei Frentani anche il grosso delle nostre truppe dirigerà su Luceria per affrontarli. Faremo filtrare questa notizia e sono certo che i consoli romani ne saranno prontamente informati . Per dare maggiore credibilità al tutto tra qualche giorno una parte delle nostre truppe, ma facendo in modo che si creda che si tratti del grosso del nostro esercito, muoverà effettivamente per l’Apulia mentre in effetti muoveremo per intercettare le legioni dirette a Maleventum cogliendole di sorpresa. I romani da Calatia dove ora sono acquartierati, se veramente puntano su Maleventum aggireranno il versante meridionale del monte Taburno venendo a cadere nella trappola che noi gli tenderemo occupando le giogaie fiancheggianti una gola che costituisce la via più diretta per Caudium e per Maleventum. E’ determinante che ci credano altrove perché altrimenti non prenderebbero questa strada più breve ma decisamente pericolosa. Sono pronto a giocarmi tutta la mia credibilità di soldato sul fatto che riusciremo a far cadere i soldati romani in questo agguato che non può consentire loro la minima via di fuga.
– Mi sembra un ottimo piano anche se mi piange il cuore consentire ai romani un incontrastato ingresso nel territorio dei Caudini. Penso con dolore a quanto i caudini dovranno sopportare ma ciò nonostante una vittoria può ben valere questo prezzo doloroso.
Il piano fu meticolosamente messo in pratica avendo cura di seminare di falsi pastori il percorso dei romani per assicurarli che il terreno era sgombero in quanto l’esercito sannita stava marciando su Luceria ed i romani sentendosi lungo la via tranquillizzati forzarono l’andatura trascurando, anche per la fretta e per la paura che la loro marcia venisse segnalata al nemico, precauzioni che, se prese, avrebbero potuti metterli sull’avviso.
Puntuali sul loro destino le truppe romane imboccarono la gola dove le truppe sannite le attendevano. Gavio Ponzio seppe trattenere l’impazienza dei suoi fino al momento che entrambi gli eserciti consolari ebbero imboccata la gola. Solo allora, dalla parte di Caudium, videro macigni e tronchi d’albero chiuder la via realizzando che analoga situazione si andava verificando all’ingresso dove aveva preso posizione anche la cavalleria di Tauro.
La situazione apparve subito drammatica ai consoli romani che tuttavia, coraggiosamente, disposero le truppe per resistere agli attacchi sanniti.
Gavio Pontio aveva i nemici in proprie mani e questa certezza lo indusse a non attaccarli preferendo parlamentare con i consoli offrendo loro la resa ma la risposta che ricevette fu un orgoglioso rifiuto.
Non restava altra soluzione che attaccare e Tauro fu incaricato di compiere con i suoi cavalieri una veloce incursione fra le truppe nemiche per saggiarne la resistenza e per dimostrare loro che non avevano alternative.
Alla testa dei suoi Tauro si slanciò nella gola ad un ritmo forsennato seminando il panico nelle file romane improvvisamente scompaginate e colte di sorpresa dalla violenza e temerarietà di quella carica.
Mentre guidava i suoi provò l’ inebriante sensazione di essere tornato giovane.
Una freccia gli penetrò nel petto ed istintivamente venne da lui strappata senza rallentare il ritmo, ne seguirono altre ma nella foga della carica sembrò non accorgersene o non tenerne conto e il mantello bianco gonfiato dal vento e la testa di toro ricamata sullo stesso sembravano realmente trasformarlo in un toro infuriato che spargeva morte e terrore. Divenuto così il naturale bersaglio delle offese nemiche fu ancora raggiunto da due giavellotti che, scagliati da distanza ravvicinata, gli penetrarono la corazza.
La gola fu attraversata tra le ovazioni delle truppe sannite disposte sui due crinali . Tauro arrestato il cavallo levò una mano in alto per ringraziare di quel tributo, gli occhi brillanti per la foga della corsa e per la gioia provata in quella folle corsa. Il suo gesto rimase a metà e poi cadde da cavallo. Tauro era morto.
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Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine
[1] (Nota di Enzo C. Delli Quadri) Quando molti anni orsono, Paride Bonavolta, mise mano a questo lavoro fu a lungo combattuto tra l’idea di “scrivere di storia” e quella di “romanzare la storia” per renderla più avvincente se vissuta da personaggi con la stessa interagenti. Scelse la seconda, anche perché, di storicamente definito, nonostante l’opera del canadese E.T. Salmon professore emerito alla Mc. Master University in Canada e di altri studiosi, c’è poco e quel poco rifà alla storia scritta dai romani, cioè dai vincitori. Cosicché, i Sanniti, dai loro scritti, non hanno ottenuto quella visibilità e giustizia che forse avrebbero meritato.
Attraverso la vita di 7 personaggi immaginari (Papio, Tauro, Mamerco, Brutolo, Murcus, Gavio, Herio), la storia dei Sanniti di Paride Bonavolta si dipana dal 354 a.C.(data del primo trattato dei sanniti con Roma) al 70 d.C. (morte dell’ultimo dei sette personaggi, quasi 20 anni dopo la Guerra Sociale). Ma, attraverso i ricordi del primo personaggio, Tauro, la storia riprende anche avvenimenti iniziati nel 440 a.C.
I sette personaggi della stessa famiglia, nell’arco di questo periodo, vivranno gli avvenimenti storici che contrapposero romani e sanniti nel contesto più generale degli avvenimenti della penisola italica interagendo quindi con personaggi famosi quali il re epirota Alessandro il Molosso, Pirro, Annibale ed infine Spartaco.