Cap. 28 – I rivali di Roma – Mamerco

 Storia, guerre, passioni nei trecento anni di lotta dei Sanniti, i veri rivali di Roma

 Storia romanzata [1] di Paride Bonavolta

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320-318 a. C. – Fine della battaglia delle Forche Caudine – Mamerco torna a casa – Svolge attività amministrative – Dopo la morte del padre Tauro, muore anche la madre – Sposa Aracoeli – Concepisce  Brutolo

Bassorilievo con Scena di Transumanza da Sulmona

I rivali di Roma – Mamerco – Parte ventottesima

320 – 318 a. C.L’ulteriore incarico di Mamerco fu di dirigere su Fregelle per accertarsi che i romani non ponessero in atto azioni in contrasto con gli impegni presi a Caudium e comunque per controllare che la situazione rimanesse sotto controllo. Lungo il viaggio, con i pochi uomini che formavano la sua vereia, fece tappa a Teanum Sidicinum per sfogare, avendone il tempo, nel vino e nelle donne la sua ancora cocente delusione. Dopo l’austera vita al campo sentiva di aver bisogno di questi antichi antidoti da soldato e ne approfittò a mani piene anche se irritato dall’accoglienza festosa che gli venne riservata proprio in virtù della sua partecipazione all’azione di Caudium. Tutti volevano ascoltare la “autentica” versione dei fatti e farsi descrivere la scena ingloriosa delle legioni romane che sfilavano sotto le forche sannite come se questa scena equivalesse ad una vittoria reale e non simbolica come, in effetti, era stata. Ovunque si festeggiava la ritrovata pace ed ognuno si preparava a riprendere le attività messe da parte per lo scoppio delle ostilità. I mercati riaprivano, le botteghe riprendevano i loro commerci, e si assisteva ad un veloce ritorno alla pregressa quotidianità.

Una volta giunto a Fregelle, lo spettacolo, che gli si presentò, fu ben diverso anche se sostanzialmente identico. La città, se città poteva chiamarsi quella fortificazione prevalentemente nata a fini militari, ora che i coloni romani erano stati evacuati o si erano spontaneamente allontanati, si presentava quasi deserta anche se si assisteva ad un ritorno controcorrente dell’elemento sannita. La colonizzazione romana aveva fortemente inciso sulla popolazione sannita, i maggiorenti erano stati senza tante cerimonie pubblicamente uccisi senza privilegi dovuti a sesso od età, i mercanti erano stati privati dei loro beni mobili e buona parte degli immobili era forzatamente passata in mano dei nuovi coloni. Tutto questo era tangibilmente percepibile e la città si presentava con un’aria di desolazione mostrando in pari tempo un’evidente carenza di servizi e beni in quanto i coloni romani, avendone avuta l’opportunità ed il tempo, avevano portato via tutto il possibile e dato fuoco o distrutto quanto erano costretti a lasciare. Se l’elemento sannita era prostrato, certo peggiore era la situazione della piccola comunità volscia ancora presente e che sembrava nutrire una profonda ostilità e diffidenza nei confronti dei sanniti.

Gli ordini richiedevano che rimanesse sul posto per riavviare la vita civile locale e riorganizzarla sotto il profilo strategico e militare. Vista l’assoluta necessità di beni di prima necessità, tardando i previsti rifornimenti promessi come in arrivo da Aesernia, memore degli insegnamenti di Brutolo Papio, con i pochi soldati disponibili non indugiò a rapidi sconfinamenti oltre il Liri per razziare quanto indispensabile alla stremata comunità, anche se il tutto in danno di altre comunità volsce. Il suo comportamento gli valse l’apprezzamento di entrambe le comunità di Fregelle anche se quella volscia dovette prendere atto che la spoliazione avveniva in danno di loro connazionali. Questa iniziativa gli garantì comunque l’appoggio dei volsci di Fregelle e la loro collaborazione al riavvio della normalità. Eccedendo scientemente gli ordini ricevuti, si dedicò prioritariamente al ripristino delle strutture civili e dell’acquedotto, allo smaltimento di macerie e rifiuti trascurando l’aspetto propriamente militare e difensivo essendo evidente che se così non avesse fatto un’eventuale epidemia e carestia avrebbero inferto un colpo mortale a quella infelice comunità.

Un prezioso aiuto gli venne da Auro, un giovane abitante indigeno che si dedicò con entusiasmo alle iniziative rivolte alla popolazione civile garantendo con la sua mediazione ogni possibile cooperazione e la disponibilità della indispensabile mano d’opera locale. Frequentando Auro e la sua casa finì che Mamerco trovasse nelle braccia della più giovane delle sue sorelle quella tenerezza e calore del quale sentiva un estremo bisogno in ciò sicuramente non ostacolato, ma probabilmente favorito, da Auro stesso. Fu la quindicenne sorella di Auro a prendere l’iniziativa offrendosi a lui.

Signore – lo aveva apostrofato una sera entrando nel suo alloggio – concedimi di ringraziarti per tutto quanto stai facendo per la mia gente. Ho un unico bene da offrirti, se lo vorrai, ed è il mio corpo. Non ti spaventi la mia età perché i soldati romani hanno a loro piacimento abusato di me. Se il mio corpo ha già conosciuto gli uomini la mia mente è pura e potrà riscattare la pochezza della mia offerta.

Senza dargli tempo di replicare la ragazza si era denudata offrendo la visione di un corpo giovane, forse acerbo, ma sicuramente desiderabile. Mamerco sentì il corpo reagire alla vista di quei piccoli seni e della lieve peluria che le copriva l’inguine. Se anche il suo corpo era disponibile all’offerta la sua mente rifiutava di accettarla pensando alle violenze che quella ragazza aveva già dovuto soffrire. Indifesa nella sua nudità fu di nuovo la ragazza a parlare:

Ti prego sannita stringimi a te! Dopo le violenze subite desidero anch’io il tuo abbraccio per verificare se il mio corpo sia ancora disponibile a dare e ricevere il piacere che finora gli è stato negato. Ridammi, se è possibile, il mio corpo integro!

Mamerco non la fermò quando le mani inesperte della ragazza cercarono il suo corpo mentre aderiva a lui. Comprese di sentire il bisogno di verificare la disponibilità del suo corpo a un rapporto, forse disinteressato, come poteva essere questo che gli veniva offerto. Dopo le tante donne possedute, rispondendo alle carezze che riceveva si chiese se fosse capace di lasciarsi andare a qualcosa che non fosse un semplice rapporto fisico. Le sue mani seppero imporsi una delicatezza pari a quella della ragazza e le sue labbra seppero rispondere ai baci teneri ed appassionati ad un tempo che riceveva. Lentamente le prime carezze si fecero più insistenti e Mamerco gioì leggendo sul viso della sua compagna gioia e disponibilità. Sentendosi sicuro che il loro abbracciarsi si stava trasformando in qualcosa di diverso dalla semplice esigenza di ricerca del piacere fisico, dopo lunghi e piacevoli preparativi, prese la ragazza provando un piacere che gli fece ricordare il suo amplesso con Valeria. La ragazza lo stupì con una domanda che suonò impertinente a Mamerco.

Parlami delle donne che hai avuto. Sei stato innamorato una o più volte?

Sentendosi tenuto ad una risposta rispose d’impulso.

Non so cosa significhi essere innamorato né credo di volerlo sapere.
– C’è amarezza nella tua voce– replicò la ragazza. – Qualche donna ti ha fatto soffrire? Forse anch’io ti ho deluso?
Tu no di certo, forse qualcuna di quelle che ti hanno preceduto. Ma per quanto piacere possa trarre dal corpo di una donna, preferisco rimanere sempre padrone di me stesso e dei miei sentimenti.
– Io non ti ho chiesto nulla né ovviamente te lo chiederò, se è questo che temi, so bene quale sia il mio posto ed il mio ruolo. Solo se vorrai, e quando lo vorrai, potrai avermi con te.
– Sei troppo bella per non volerti. Qual’è il tuo nome?
Emilia, signore. – la ragazza sembrò trattenersi dal porre una successiva domanda ma poi desistette dal suo proposito – Non è consolante sapere che in me vedi solo un corpo, non è in questo spirito che sono venuta nel tuo letto.
Buona ragazza! Fermati con questi discorsi.

Chinatosi su di lei le carezzò a lungo i seni e poi scese a baciarla fra i soffici peli del pube. Questo bacio così intimo dovette apparire inconsueto a Emilia che istintivamente si modellò alle sue labbra prendendogli la testa fra le mani e trattenendolo fino a che non ebbe raggiunto il piacere.

Non sapevo che un bacio potesse far questo– ammise con candore- Posso baciarti anch’io nello stesso modo?

Passata dalle parole ai fatti scoprì di saper dare lo stesso piacere che aveva appena ricevuto e, da quel momento, entrambi si lasciarono andare alla reciproca scoperta di quanto ciascuno sapeva dare e ricevere. La mattina successiva Mamerco faticò a staccarsi da Emilia ma Auro, per nulla imbarazzato di piombare nella sua stanza dove certamente sapeva di trovarlo con la sorella, lo richiamò ai suoi doveri.

Alzati Mamerco è arrivata la carovana che attendevi da tempo e l’ufficiale sannita che la guida reclama la tua presenza sulla piazza del mercato. – Poi, maliziosamente aggiunse- Spero che mia sorella ti abbia servito con lo stesso impegno con il quale ti servo io. Non ha avuto dei buoni maestri ma spero che . . . buon sangue non menta.

Emilia per nulla imbarazzata dalla sua nudità tirandosi in piedi dal letto gli lanciò contro un sandalo ed Auro abbandonò la stanza ridendo di cuore.

Nei giorni seguenti, Mamerco si adoperò alla distribuzione delle provviste, delle sementi e dei capi di bestiame e, avvalendosi delle nuove forze sannite destinate alla città, mise finalmente mano anche ai lavori di riorganizzazione militare pur occupandosi di dare un concreto avvio al governo cittadino che avrebbe affiancato il giovane ufficiale sannita appena arrivato e che gli sarebbe subentrato nel comando non appena avesse ritenuto completata la sua missione. Ovviamente il suo primo consigliere rimase Auro, destinato, come i due comandanti sanniti concordarono, a collaborare in futuro anche con il suo successore. Con lui, fermo restando il controllo superiore del comandante sannita che si sarebbe dovuto astenere dall’occuparsi dei problemi amministrativi a meno che un interesse militare o strategico lo imponesse, decise le regole alle quali la città si sarebbe attenuta in avvenire.

Nella vostra città -disse ad Auro – come del resto in tutti i centri del vostro popolo, prima della colonizzazione romana, il governo cittadino era delegato da un’assemblea di cittadini abbienti ad una specie di dittatore. Credo che nell’attuale situazione sia impossibile organizzare un’assemblea generale o correttamente individuarne i componenti. Riterrei quindi opportuno, senza ulteriori indugi, provvedere ad affidare il governo cittadino non ad un membro elettivo ma ad un gruppo di persone la cui esperienza e capacità siano in grado di riportare in tempi brevi alla normalità. Se la tua gente è d’accordo riterrei opportuno individuare con il tuo aiuto, e formalmente quello della tua gente, i magistrati preposti all’annona, alle acque, ai mercati, alla riscossione dei tributi nonché un magistrato per dirimere le controversie ed un pretore che collabori con la nostra gente ai problemi di difesa.

Auro attendeva, impassibile come sempre, che Mamerco terminasse il discorso.

Per coordinare il lavoro di questi magistrati, e non come titolare di uno specifico imperium sugli altri, avrei pensato a te che dovrai inoltre fungere da portavoce e collaboratore del nostro comandante. Superata questa fase diciamo di emergenza potrete tornare alle vostre regole.
La tua decisione è buona e sarà senza dubbio accolta ti prego solo di riconsiderare il mio ruolo perché non ne sono all’altezza non sapendo, fra l’altro, leggere scrivere.
-A questo ho già pensato e presto avrete un insegnante che ho già richiesto.

Inorridito alla notizia Auro balbettò come un bambino.

– Cosa? Io alla mia età dovrei imparare queste cose da ricchi?
– Non sono cose da ricchi ma la base per ogni vivere civile. Imparerai. E questo è un ordine!
– Ma io ho sempre finora gestita una taverna e tu mi vorresti mettere al vertice di questa città?
Vuol dire – replicò scherzosamente Mamerco- che farai conto che la città sia la tua taverna. I problemi non saranno poi così diversi, se ci farai caso, e tu hai tanto buon senso e spirito di iniziativa che sono sicuro saprai magnificamente assolvere ai tuoi compiti.

Auro per quanto spaventato all’idea delle responsabilità affidategli sembrò cercare aiuto in Mamerco.

– E tu Mamerco cosa farai?
– Resterò qui con voi fino alla primavera dell’anno venturo per assicurarmi che tutto proceda nel giusto verso. Ho ancora un ingrato dovere cui devo pensare e cioè recarmi a casa a rendere il dovuto onore alle spoglie di mio padre caduto a Caudium.
– E mia sorella?
– Che c’entra tua sorella
– Lei vuole venire con te. Prendila come schiava, come preda, come dono ma non darle questo dolore.
– Questo non può chiedermelo, e non credo che lo farebbe, né puoi chiedermelo tu a sua insaputa. Tua sorella merita di trovare un uomo giusto, ma quello, lei lo sa, non posso essere io. Quando io partirò anche Emilia avrà studiato come te e con l’intelligenza che ha potrà essere molto utile a questa città ed alla sua gente.

La sera Mamerco trovò giusto palare a Emilia dei suoi programmi e lei, sicuramente già informata dal fratello, non obiettò e concluse che finché Mamerco non fosse partito l’idea della definitiva separazione non avrebbe dovuto alterare i rapporti in atto.

Negli ultimi mesi dell’inverno la città sembrò sempre più avviarsi verso una   ripresa e tutta l’economia della valle del Liri prese a gravitarle intorno da tanto erano affollati i suoi mercati ed abbondanti i prodotti offerti e scambiati. La ripresa segnò anche l’inserimento nelle attività locali di numerosi coloni sanniti ben accolti dalla popolazione locale che nel loro arrivo vedeva un’ulteriore prospettiva di futuri ampliamenti. Agli inizi della primavera i magistrati voluti da Mamerco, ben coordinati da Auro, erano in grado di assolvere pienamente ai compiti loro affidati e l’opera di Mamerco appariva sempre meno necessaria vista la perfetta coesione tra le due etnie che ben presto si erano rese conto di essere complementari e non in competizione come invece era stato con il sovrapporsi dei coloni romani. L’opera intrapresa era quindi, come lui stesso aveva previsto, completata e per l’avvenire il Sannio avrebbe potuto guardare a Fregelle come ad una città amica non per obbligo ma per convinzione.

Un imprevisto momento di palpabile tensione quando si diffuse la voce che i romani avevano riconquistata Satrico, una città non molto lontana da Fregelle, che si era ribellata a Roma rivendicando la propria indipendenza e la libertà di stringere liberamente i propri accordi. Mamerco sapeva dell’intenzione dei satricani di ribellarsi a Roma perché i satricani avevano presi contatti con lui ma ora che sapeva che la città stava pagando il prezzo della sua iniziativa pur dolendosi non si sentiva responsabile di quanto stava accadendo. Era infatti stato chiaro con chi aveva sollecitato un intervento sannita. Non solo il Sannio non intendeva venir meno agli accordi appena raggiunti con Roma ma in caso di ribellione non sarebbe intervenuto perché nella reazione dei romani non si poteva invocare una loro violazione della tregua. Conoscendo la durezza delle repressioni romane tuttavia aveva dichiarata la propria disponibilità ad accogliere eventuali esuli promessa che a rivolta domata fu mantenuta.

Tra Mamerco ed Emilia con l’approssimarsi della partenza sembrò che il legame venisse rinsaldato e non fu più toccato l’argomento, sicuramente per entrambi doloroso, del loro prossimo addio. Una settimana prima della partenza Mamerco, ormai svincolato da ogni impegno, propose ad Emilia di trascorrere una settimana da soli in una piccola casa sul Liri che lui stesso aveva scoperto in uno dei suoi giri di ispezione e che aveva a sue spese acquistata e ristrutturata. In quella casa vissero le più intense giornate del loro felice rapporto e quando fu l’ora di partire alle prime luci dell’alba Mamerco preferì non svegliare Emilia e le pose accanto sul letto i documenti con i quali le veniva riconosciuta la proprietà su quella casa e sulla campagna circostante. Emilia, che non dormiva, volle rispettare l’implicito desiderio di Mamerco di non scambiarsi un addio e come suo ultimo saluto muovendosi come nel sonno, simulando un movimento incontrollato, gli offrì l’ultima visione del suo corpo offerto al suo deliziato apprezzamento misto ad un palese rincrescimento per la separazione.

Lasciata Fregelle, Mamerco sentì montare l’impazienza di rientrare a casa sentendo il peso dei due anni di lontananza. Per tornare scelse la strada più veloce anche se più lunga puntando su Aesernia. A casa trovò ad attenderlo Ursidio che in lacrime gli annunciò la recente morte della madre.

– Non aveva più voglia di vivere dopo la morte di nostro padre, tu sai come fossero uniti e puoi quindi capire il suo stato d’animo. Il suo unico rammarico era quello di lasciare Papia e di non poterti riabbracciare.
– E Papia dov’è? Non l’ho ancora vista. Non è qui con te?
– E’ andata da Aracoeli, la figlia di Brutolo Papio. Aracoeli è stata con noi quando ha saputo che nostra madre stava male ed essendo anche lei sola, quando nostra madre é morta, ha chiesto di tenere Papia per un po’ di tempo da lei anche per toglierla da un ambiente pieno di ricordi ormai tutti dolorosi. D’altro canto Papia non è più una bambina come forse tu la ricordi. Ha sedici anni ed è molto affezionata ad Aracoeli.
– E tu, Ursidio, come stai? Come vanno le cose qui?
– Tutto bene. Non mi posso lamentare perché ho tutto quello che desidero. Una moglie devota, le nostre proprietà cui badare e tanto lavoro da fare con tanti uomini lontani per la guerra. Mi sento in colpa per non essere con voi che combattete ma mi consolo pensando che comunque qualcuno doveva pensare anche a mandare avanti le cose materiali. Per mia tranquillità ulteriore ho un incarico ufficiale di coordinatore dei rifornimenti alle truppe e sono anche il meddix decentarius della Pentria. Me la cavo, credo bene, anche in questo ingrato compito, per me nuovo, di curare l’amministrazione delle finanze e riscuotere i tributi. Come vedi non ho di che lamentarmi e posso comunque ritenermi utile al paese.
– Ne sono contento.
– A proposito, ho tenuto la contabilità di tutto quanto è tuo e non hai che da chiedermi quanto ti spetta.
– Sai bene che non ti chiederei nulla perché ho troppa fiducia in te e perché non mi occorre nulla. Ora vorrei andare a pregare sulle tombe dei nostri genitori, dove sono stati seppelliti?
– Quando nostro padre è stato riportato a casa la mamma ha voluto che venisse seppellito vicino alla loro capanna sul lago. Ora anche lei è lì. Tu che programmi hai?
– Non ho impegni precisi per quanto riguarda il mio rientro in servizio. Penso che dopo essere andato a pregare sulle tombe dei nostri genitori andrò direttamente a Terventum per riabbracciare Papia.

Dopo l’addio alle tombe dei genitori Mamerco spogliatosi prese un bagno nel lago dopodiché, richiamato il cavallo che pascolava, partì al galoppo verso Terventum. La casa di Aracoeli gli apparve, non appena ne fu in vista, più familiare della sua appena lasciata e nella quale, ora che i genitori erano morti, non ritrovava nulla di familiare.

Il tramonto, ormai imminente, soffondeva la campagna di un senso di pace della quale sentiva un gran bisogno. Rallentando l’andatura godette di questa quiete e cavalcò verso la sua meta cercando, come sempre, di ritrovare sé stesso prima di riprendere il contatto con la realtà. Sceso da cavallo di fronte alla piccola casa dove era sicuro che le due donne abitassero ne udì provenire voci femminili ed allegre risate. Facendo cenno allo schiavo, subito accorso, di prendersi cura del cavallo e di non tradire la sua presenza si portò sul retro dove le voci segnalavano la presenza delle due ragazze.

Aracoeli e Papia, con i visi arrossati, stavano lanciandosi una palla ignare di essere osservate e sicuramente felici della reciproca compagnia. Osservò a lungo le due persone a lui care e ne notò con piacere la grazia e la bellezza pur fra loro così diversa e non di certo, e non solo, per i dieci anni di differenza. Forse Papia mostrava più dei suoi sedici anni, essendo ormai nel pieno della giovinezza, o forse Aracoeli mostrava meno dei suoi venticinque anni. Solo quando la palla sfuggita di mano a Papia ruzzolò nella sua direzione si accorsero di lui.

Mamerco!- urlò con gioia Papia catapultandosi fra le sue braccia e stringendosi forte a lui.
Sorellina ti sei fatta proprio una bella ragazza!
– Non chiamarmi sorellina– scherzò lei- ormai sono una donna! Quando sei tornato? Sei stato a casa? Chi ti ha detto che ero qui? Hai visto Ursidio?
– Calma, calma sorellina non mi soffocare. Sono uscito indenne da una guerra non certo per farmi soffocare da te.
– Mi hai portato dei regali?
Certo sorellina ma vedendoti credo di aver sbagliato tutto pensando di trovare una ragazzina e non una donna!

Mentre i due fratelli si abbracciavano Aracoeli si era avvicinata e guardava con piacere la gioia di quell’incontro.

Sei stato a trovare i nostri genitori? Mamma ha avuto per te le sue ultime parole, sei sempre stato il suo prediletto.
– Non dire sciocchezze. Tu sei stata la sua preferita. Sono passato da casa ma senza di loro e senza di te la casa mi è sembrata troppo vuota e ho preferito raggiungerti. Senza di te non avevo nessuno con cui vantarmi del mio eroismo in battaglia.
– Ma sei sul serio un eroe, così come papà? Sei stato ferito? Nell’ultimo anno abbiamo saputo così poco di te. Dove sei stato?
– Dopo Caudium mi hanno affidato un compito da burocrate, niente di pericoloso e nessuna ferita di cui possa vantarmi con le donne.
– Quanto ti tratterrai con noi?
– Siamo in pace, o almeno così sembra, e sicuramente i romani hanno numerose ferite da leccarsi e quindi non ho programmi precisi se la situazione non cambia.
– Tu quanto ti tratterrai qui?
– Non ho programmi neanche io e, come credo di aver capito sia capitato a te, ora a casa mi sento un po’ sola. Ursidio e sua moglie sono molto gentili ma preferisco senza dubbio la compagnia di Aracoeli. Lo sai che conosceva anche Murcus?
– Certo che lo so, ma ora lasciami salutare Aracoeli, non vorrai che sia scortese con la tua amica e con la padrona di casa?

Staccatosi da Papia mosse verso la mano tesa da Aracoeli per dargli il benvenuto.

– Non merita qualcosa di più un vecchio amico ed un soldato che torna dalla guerra?

Ciò dicendo, prendendo di sorpresa Aracoeli, presa la mano che gli veniva tesa, l’ attirò a sé baciandola su entrambe le guance. Aracoeli si liberò, imbarazzata e impartì precisi ordini ai servi che accorsi al suo richiamo si dettero a preparare un bagno per Mamerco ed il pranzo. Seguì una piacevole serata, un’ottima cena ed una piacevole conversazione durante la quale Papia gli raccontò del dolore della madre quando Tauro era stato riportato a casa dai suoi soldati e del dolore che l’aveva rapidamente portata alla morte. Una morte che sicuramente aveva desiderata.

La mamma– raccontò Papia rivivendo con dolore quei giorni- nonostante il dolore immenso si è dimostrata una donna molto forte di fronte alla gente venuta a rendere da ogni parte del paese l’ultimo saluto a nostro padre. Ha curato ogni preparativo della sepoltura al lago scegliendo lei stessa il punto esatto come se ricercasse qualcosa nel loro passato. E’ crollata quando siamo rimasti soli e da allora non è stata più la stessa. Si devono essere amati molto! E’ in quell’occasione che ho conosciuta Aracoeli e siamo diventate subito amiche. Quando la mamma è stata male Aracoeli è stata molto vicina a me come anche alla mamma. Sai negli ultimi giorni passava quasi tutto il suo tempo alla casa sul lago vicino alla tomba di papà ed era evidentemente ansiosa di ricongiungersi a lui. Ed ora eccomi qui! Rimani con noi finché potrai, non farti prendere dalla tua irrequietezza! Ti promettiamo buona compagnia, pasti stupendi e faremo di tutto per rendere tranquillo il tuo soggiorno. E’ vero Aracoeli, posso invitare mio fratello a restare?
– Certo che puoi, è sempre stato il benvenuto a casa mia.

Seguirono giorni felici, la casa si riempì spesso di ospiti, soprattutto giovani, e questi erano felici di parlare con Mamerco per sentir raccontare di Caudium e per sapere delle sue esperienze di soldato. Fra i più assidui frequentatori della casa un giovane silenzioso e tranquillo che non sembrava che avere occhi che per sua sorella. Le poche parole scambiate con lui non erano però riuscite a dargli un’idea precisa di quel taciturno ragazzo e pertanto decise di chiedere maggiori informazioni ad Aracoeli.

– C’è quel giovane, mi pare si chiami Ovio, cosa puoi dirmi di lui, è così impenetrabile.
– E’ il figlio di Nerezio Stazio.
– Nerezio Stazio il Sacerdote?
– Proprio lui. Il padre è un uomo molto famoso tra la nostra gente e appartiene ad un antico ceppo. Il tempio di Bovianum non ha mai avuto un momento di maggior rinomanza da quando è lui il Sommo Sacerdote e mai tante offerte come ora sono state portate al tempio.
– E il ragazzo cosa fa?
– Non è proprio un ragazzo, ha qualche anno più di me. Sarà sicuramente il nostro prossimo Sommo Sacerdote visto che il padre intende negli ultimi anni dedicarsi essenzialmente allo studio ed alla meditazione libero da ogni impegno.

Aracoeli tacque per qualche istante chiaramente incerta se aggiungere qualche altra cosa al discorso appena concluso.

Ovio e tua sorella provano una grande simpatia l’uno per l’altra, e credo che di questo te ne sia accorto viste le domande che mi fai. In un certo senso si completano. Lei così espansiva ed estroversa lui così riflessivo ed introverso. Papia in questo particolare momento ha bisogno di certezze ed Ovio può dargliele. E poi sono proprio una bella coppia.
– Vuoi con questo prepararmi a qualcosa?
– Credo proprio di sì. Presto si accorgeranno, o meglio se ne accorgerà Papia, che quella che lei crede un’amicizia si è trasformata in qualcos’ altro. Quando te ne parleranno ti prego di tener da conto queste mie parole da amica.

Messo sull’avviso cercò di conoscere meglio Ovio ed approfondendo la conoscenza scoprì che gli piaceva. Ovio era tutto ciò che Mamerco non era o non era voluto essere, era un profondo conoscitore della storia, della tradizione del loro popolo, parlava varie lingue e dialetti conosceva persone e luoghi di ogni parte della penisola. Oltre a ciò, e anche questo non dispiacque a Mamerco, amava la vita all’aria aperta, era robusto e forte ed amava confrontarsi con i coetanei in ogni prova ponendo anche in questo il medesimo impegno che dedicava alla sua formazione intellettuale. Quando Papia decise di parlargli del suo matrimonio con Ovio, Mamerco fu ben lieto di darle il suo entusiastico assenso.

Seguirono giorni di preparativi per le nozze che sarebbero state celebrate a Bovianum. L’anziano Nerezio Stazio accolse Papia come una figlia ed a lungo si intrattenne con Mamerco parlandogli di suo padre e delle tante cose cui si era dedicato nell’interesse della sua gente ma gli parlò soprattutto di suo nonno Papio che agli occhi di quello studioso era un esempio al quale fare riferimento. Il banchetto di nozze fu tra i più ricchi e alla cerimonia furono presenti ospiti provenienti da ogni parte del paese e da nazioni vicine, amiche e no. Osservando sua sorella e lo sposo Mamerco fu certo della bontà della scelta di Papia e si sentì sicuro che Ovio avrebbe resa felice quella che lui si ostinava a considerare la sua sorellina. Quando fu il momento di tornare a casa Mamerco ancora una volta si scoprì a non desiderare quel ritorno.

La casa per lui apparteneva ad Ursidio ed alla sua famiglia e lui si sarebbe sicuramente sentito un estraneo. Inconsciamente cercò Aracoeli che nella confusione degli ultimi giorni non aveva visto molto e la trovò intenta, a sua volta, a preparare i bagagli.

– Dunque parti anche tu?
– Cosa altro dovrei fare? Il mio posto è a Terventum, ho tante cose da fare e molte le ho trascurate negli ultimi tempi. E tu cosa farai?

Il silenzio di Mamerco fu la prova dello scarso entusiasmo a ripartire con Ursidio anche lui in partenza come la moglie l’aveva informata. Poiché il silenzio di Mamerco si faceva imbarazzante riprese a dedicarsi, almeno in apparenza, ai propri bagagli e sobbalzò quando Mamerco d’impulso le rivolse la parola.

– Aracoeli mi vuoi sposare?
– Certo Mamerco, se tu lo vuoi.

Colti entrambi di sorpresa dalla rispettive domanda e risposta si guardarono imbarazzati, incerti di cosa dovesse seguire alla richiesta ed al successivo consenso. Fu Papia arrivata per salutarli che seppe, con efficienza, porsi fra loro e prendere in mano la situazione felice che la sua nuova gioia potesse essere, ora, anche quella delle persone che più di ogni altre amava, ovviamente, come precisò loro, quasi alla pari di Ovio.

Senza tornare in argomento su programmi futuri e senza che fra loro si stabilisse alcuna intimità il loro legame fu formalizzato, senza pompa alcuna come entrambi avevano voluto, nella stessa Bovianum dove entrambi avevano finito per trattenersi e dalla quale subito dopo partirono. Implicitamente fu inteso che sarebbero rientrati a casa di Aracoeli a Terventum ed il viaggio di ritorno fu particolarmente silenzioso e rotto soltanto da osservazioni banali e da grandi sorrisi quando l’uno scopriva che l’altro lo guardava. Una volta arrivati l’efficienza di Aracoeli organizzò quanto necessario per presentare Mamerco come suo sposo e nuovo padrone e dopo un leggero ma raffinato pranzo Aracoeli si ritirò nella sua stanza facendo intendere allo sposo che lì l’avrebbe potuta raggiungere. Mamerco rimase a lungo a meditare sugli avvenimenti che si erano così rapidamente succeduti, alle serate che in quella casa aveva passato con Brutolo Papio prima e con Aracoeli dopo e sentì di aver forse trovata una casa e un ulteriore scopo alla sua vita. Dovette ammettere con sé stesso, per onestà, di non provare amore per Aracoeli ma di desiderare più di ogni altra cosa di averla al suo fianco. Rivide mentalmente le tante cose che si erano succedute negli ultimi quindici anni dopo che aveva lasciata la casa paterna, ripensò a Marzia, a Valeria ed ad Emilia e fu certo di aver finalmente trovato in Aracoeli un’amica con la quale realizzarsi senza per questo doversi sentire legato più di quanto volesse. Forse, concluse, finalmente avrebbe stabilito il suo primo legame sincero con una donna e, forse, avrebbe anche potuta dare quella disponibilità che aveva sempre negato a sé stesso ed alle donne. Si conoscevano bene, fra loro non c’erano, e forse non ci sarebbero mai state cose non dette, secondi fini o impegni più grandi di loro. Erano due amici, un uomo ed una donna, che forti di questo legame che li univa avrebbero provato ad affrontare quello che la vita riservava loro. La conoscenza fisica che sarebbe ora subentrata nulla poteva togliere al loro rapporto ma caso mai rafforzarlo. Quando si alzò dallo scranno sul quale era rimasto immerso nei suoi pensieri si diresse verso la camera di Aracoeli convinto di aver scelto la via giusta per dare pace al suo cuore. E fu proprio quella sera che Brutolo fu concepito.

 


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Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine 

[1] (Nota di Enzo C. Delli Quadri) Quando molti anni orsono, Paride Bonavolta, mise mano a questo lavoro fu a lungo combattuto tra l’idea di “scrivere di storia” e quella di “romanzare la storia” per renderla più avvincente se vissuta da personaggi con la stessa interagenti. Scelse la seconda, anche perché, di storicamente definito, nonostante l’opera del canadese E.T. Salmon professore emerito alla Mc. Master University in Canada e di altri studiosi, c’è poco e quel poco rifà alla storia scritta dai romani, cioè dai vincitori. Cosicché, i Sanniti, dai loro scritti, non hanno ottenuto quella visibilità e giustizia che forse avrebbero meritato.

Attraverso la vita di 7 personaggi immaginari (Papio, Tauro, Mamerco, Brutolo, Murcus, Gavio, Herio), la storia dei Sanniti di Paride Bonavolta si dipana dal 354 a.C.(data del primo trattato dei sanniti con Roma) al 70 d.C. (morte dell’ultimo dei sette personaggi, quasi 20 anni dopo la Guerra Sociale). Ma, attraverso i ricordi del primo personaggio, Tauro, la storia riprende anche avvenimenti iniziati nel 440 a.C.

I sette personaggi della stessa famiglia, nell’arco di questo periodo, vivranno gli avvenimenti storici che contrapposero romani e sanniti nel contesto più generale degli avvenimenti della penisola italica interagendo quindi con personaggi famosi quali il re epirota Alessandro il Molosso, Pirro, Annibale ed infine Spartaco.

 

 

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