Cap. 40 – I rivali di Roma – Brutolo – Il Sannio conquistato

Storia romanzata [1] di Paride Bonavolta

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Qui, seguiamo i primi anni di vita di Murcus, rifiutato dal padre Brutolo, alla nascita – Brutolo recupera il rapporto con il figlio ancora ragazzo – Deve lasciarlo di nuovo per andare a combattere contro i romani – Brutolo muore in battaglia a Cominium nel 293 a.C. – I romani invadono il Sannio, compiendo razzie, stupri, rapine, ma, soprattutto, seminando morte presso la popolazione civile. Fine della terza guerra sannitica – Il Sannio, non è più terra indipendente ma alleata (conquistata) di Roma

Murcus,  nato nel 300 a. C. da Ania morente e rifiutato dal padre Brutolo andando a ritroso nel tempo nei suoi primi,  anche se confusi ricordi,  aveva sempre avute vicine tre persone che gli avevano dato, ciascuno in modo differente,  e secondo la rispettiva indole e carattere, una diversa forma di amore. Crescendo aveva dato loro un nome ed aveva cominciato a distinguere il  ruolo che ciascuno  aveva nella sua vita,  realizzando che, a differenza di altri bambini,  nel suo mondo non c’erano dei genitori ma, affettuosissimi e con lui disponibili, due zii ed un nonno.  Non c’era stato bisogno di porre al riguardo delle domande perché tutti e tre gli avevano sempre parlato di un padre lontano a combattere una guerra e di una madre morta proprio quando lui era nato. Aveva con facilità compreso cosa fosse una guerra mentre gli era stato più difficile assimilare il concetto di morte che si era poi chiarito solo quando un cucciolo di cane, a lui molto caro, si era addormentato per sempre e, avvolto in un vecchio mantello, era stato seppellito proprio sotto l’albero che aveva prediletto per le sue dormitine . Da quel giorno avendo compreso che non l’avrebbe più visto e non avrebbero più condiviso i loro giochi  aveva realizzato cosa fosse la morte. L’infanzia trascorsa con gli zii ed il nonno era stata sicuramente felice perché quegli zii con i capelli bianchi, così come il nonno Anio,  avevano saputo dargli tutto l’amore del quale poteva sentire il bisogno. Gli avevano raccontate delle bellissime storie e gli avevano insegnate  cose che tutti gli altri bambini non sapevano fare come leggere e scrivere anche se se non era ancora sicuro di farlo al meglio. La sua prediletta, era ovvio, era sempre stata la zia Papia,dolce, affettuosa e sempre disponibile,se ce ne fosse bisogno,  a chiudere uno se non tutti e due gli occhi quando lui faceva qualcosa di sbagliato o di non dovuto. Da lei inoltre dipendeva totalmente per tutte le esigenze materiali e questa riteneva fosse una sua grande fortuna. La zia sapeva capire sempre se e quando aveva bisogno di conforto o certezze e sapeva di poter contare sul suo affetto e sulla sua comprensione quasi fosse una mamma. Lo zio Ovio era più serio,forse perché era una persona molto importante alla quale tutti portavano un gran rispetto,  ed al quale tutti sembravano ricorrere per chiedere consiglio o per invitarlo in posti lontani per partecipare a “importanti riunioni fra grandi”. Ben presto realizzò che nei suoi confronti doveva essersi ritagliato il ruolo,  sicuramente per lui meno entusiasmante, del maestro. Sembrava che lo zio Ovio attribuisse ogni cosa al volere degli dei che sicuramente dovevano avere un gran daffare a seguire tutte le cose di tutti gli uomini anche perché, dal nonno,  sapeva che toccava anche loro pensare agli animali, agli alberi e così via. Si era chiesto inizialmente perché gli zii non avessero figli ed aveva poi trovato logico concludere che non ne avessero perché dovevano occuparsi di lui che aveva un padre in guerra ed una mamma morta. Tutt’altra cosa era il nonno Anio. Non viveva con loro, nella casa degli zii,  ma in campagna e,  se tutti rispettavano lo zio Ovio, sembravano invece amare suo nonno,  che lui,  quando erano insieme,  seguiva come un’ombra perché con lui era possibile imparare tante cose che gli zii sembravano non sapere ma che a lui sembravano importanti. Molto più vecchio degli zii, il suo ruolo,  decisamente più indistinto,  era quello di assecondare tutti i suoi desideri legati alla scoperta del mondo della natura e dei tanti piccoli lavori manuali.  Sembrava che le mani del nonno sapessero fare tutto dallo scolpire in forme piacevoli un informe pezzo di legno, per farne un gioco per lui,  al riparare qualunque cosa si rompesse e a creare per la zia Papia tanti oggetti di casa che suscitavano ogni volta la gioia della zia. Nonnio Anio sapeva poi tutto del lavoro della terra,  dei cavalli,  degli animali in genere ed anche delle piante e dei relativi frutti. Era stato proprio il nonno che gli aveva regalato il cucciolo che poi, com’era successo a sua madre, la figlia del nonno,  era morto. Uscendo in campagna con il nonno sembrava che tutti facessero a gara per salutarlo ed invitarlo nelle loro case per offrirgli un bicchiere di vino mentre a lui offrivano dolci ben diversi da quelli che facevano le zie. I discorsi del nonno e delle persone con le quali si fermava spesso a parlare erano semplici e molto diversi da quelli che ascoltava in casa degli zii. Anche il modo di parlare era diverso e quando aveva usato parole ascoltate durante quei discorsi Ovio l’aveva richiamato ad un parlare corretto.

C’era poi lo zio Ursidio e la sua famiglia composta di sole donne,  delle femmine con le quali non credeva di aver molto da spartire mentre al contrario zio Ursidio sapeva sempre trovare tempo per lui mentre sua moglie,  l’altra zia,  era da lui apprezzata  solo in virtù degli ottimi dolci che gli preparava. Anche zio Ursidio doveva essere importante ma in modo decisamente diverso dallo zio Ovio perché questo grasso zio era nato per vivere in campagna e da lui tutto si poteva imparare del raccolto, della semina o della vendemmia. Gli aveva anche regalato un piccolo coltello, del quale era molto orgoglioso,  con il quale stava imparando ad innestare le piante oltre ovviamente usarlo di nascosto dello zio per tagliare steli flessibili per farne una frusta o per incidere i suoi bastoni.

Poi era comparso zio Corfinio che, come suo padre,  era in guerra ma che proprio suo padre,  troppo importante ed indaffarato per venire personalmente aveva mandato a lui  per portargli tanti regali ed un grande scudo per quando sarebbe stato grande e soldato come suo padre. Lo zio Corfinio aveva portato agli altri zii solo una lettera e nulla a nonno Anio. Non era stato facile capire lo zio Corfinio,  il solo che in effetti fosse suo zio essendo in effetti tutti gli altri che così definiva  gli zii di suo padre, forse perché era rimasto poco con loro dovendo tornare da suo padre. Ma Murcus era certo che,  se si fosse trattenuto più a lungo,  si sarebbero potuti intendere molto bene perché sembrava che quello zio fosse sempre disponibile ad un gioco od a uno scherzo cose queste che probabilmente mancavano nella loro casa.

Poi c’era stato il ritorno di suo padre dalla guerra e la zia Papia lo aveva spinto ad andargli incontro sussurrandogli in un orecchio.

-Corri da lui è il tuo papà!

E lui obbediente era corso,  sia pur con un certo timore,  incontro a quello sconosciuto dalla scintillante corazza.  L’uomo l’aveva stretto a se poi l’aveva sollevato in alto per poterlo meglio guardare mentre,  con voce commossa,  gli parlava.

-Piccolo Murcus! Piccolo mio come sei cresciuto. Assomigli tutto a tua madre.

Questa era stata la sua famiglia fino al giorno che suo padre era tornato a casa. Una famiglia che gli sembrava ruotare intorno a lui e che faceva di tutto per compiacerlo e per insegnargli,  ognuno a suo modo,  quanto riteneva giusto che lui imparasse. Ora fra le braccia di quel padre sconosciuto si chiedeva come sarebbe cambiata la sua vita. Sapeva che suo padre si aspettava che lui gli desse tutto il suo affetto ma si sentiva insicuro,  non conoscendolo,  di poterlo fare. Prima che tornasse aveva mentalmente cercato di immaginarlo guardando lo zio Ursidio ma l’uomo che ora vedeva non aveva nulla dello zio. Eppure se ne era sentito subito attratto perché in pratica tutti gliene avevano sempre parlato  così che ora vedendolo  non lo sentiva un estraneo. Del resto nulla della sua famiglia gli era estraneo perché, nonostante la giovanissima età, aveva  assimilato tutto quello che al riguardo gli era stato raccontato. Sapeva di portare il nome del più giovane dei fratelli di suo nonno che tutti descrivevano come un ragazzo allegro ed estroverso ma che era morto in guerra giovanissimo, così come era morto in occasione di una guerra anche il nonno Mamerco. Per questo soffriva pensando al padre lontano a combattere temendo che un giorno qualcuno gli avrebbe potuto annunciare che anche suo padre non sarebbe tornato e lui non lo avrebbe mai potuto conoscere come invece desiderava. Se non fosse stato per quello che nei suoi ricordi era il capostipite della sua famiglia, lo studioso Papio Pentro,  sembrava che gli uomini della sua famiglia fossero predestinati a morire in guerra. Ma per fortuna c’era anche lo zio Ursidio che probabilmente non avrebbe corso quel rischio.

Lo zio Ovio nei suoi “discorsi di famiglia” abbastanza apertamente cercava di indirizzare la sua mente verso quella che era stata la vita del bisnonno Papio per farne un uomo di cultura e di scienza. Lo zio Ursidio l’avrebbe invece voluto indirizzare all’amore della vita de campi, mentre il nonno Anio sognava per lui che da grande si tenesse lontano dalla guerra per occuparsi “degli affari di famiglia”. L’unico che,  pur non conoscendolo,  aveva intuito il suo futuro ideale era stato il padre lontano che gli aveva inviato uno scudo per quando,  da grande, sarebbe stato un soldato. Perché in cuor suo,  tacendolo a tutti per non deludere le rispettive aspirazioni che ciascuno sembrava nutrire per il suo avvenire,  Murcus aveva sempre saputo che sarebbe stato un soldato per pareggiare il conto con chi aveva ucciso tanti dei suoi parenti.

Pochi giorni dopo il suo rientro a casa soffrì quando suo padre gli tolse lo scudo con il grande gufo ma comprese che questo non era per distoglierlo dal suo sogno segreto ma per rispetto a quella che sarebbe dovuta essere una sua libera scelta. Da quel giorno cominciò a pensare quale emblema avrebbe scelto, quando fosse arrivato il momento,  per il suo scudo   decidendo che sarebbe stata una querciacome quella sotto la quale riposavano i suoi nonni. Quella quercia avrebbe ad un tempo significato il suo legame alla terra sannita,  la sua antica famiglia e la continuità della stessa. Ma se tutti avevano avuto un simbolo sul loro scudo, il toro di Tauro, il serpente di Mamerco ed il toro avvinto da un serpente come suo padre il suo sarebbe stato il primo scudo che si sarebbe richiamato alle sue radici ed alla sua terra.

Il fatto di poter comunicare al padre di aver deciso il simbolo che sarebbe stato apposto sul suo scudo fu il modo per fargli intendere che lui la sua decisione circa l’avvenire la vedeva ben chiara di fronte a se. Come si era aspettato questa scelta non era stata contrastata ma non gli sembrò neanche che venisse accolta con gioia e motivò il fatto che suo padre dopo tante guerre ne sentisse momentaneamente il peso. Da che era ritornato suo padre, trascorreva con lui tutto il suo tempo e notò che tutti coloro che fino al suo ritorno avevano formata la sua famiglia ora sembravano volersi tirare indietro,  non certo perché erano cambiati i loro personali rapporti,  ma perché trovavano giusto che tra padre e figlio si creasse e stabilisse un rapporto. E di questo ne fu loro grato perché più passavano insieme il tempo più il loro legame si consolidava con evidente piacere di entrambi.

Quello fu un inverno felice anche perché la quotidianità delle sue giornate mutò radicalmente. Il padre lo portava con se sul cavallo sia che andasse a caccia sia che galoppasse cercando di sfuggire da un mondo non proprio a lui familiare. Spesso cucinavano e  trascorrevano la notte nella vecchia capanna in riva al lago e quelli per lui erano i momenti più belli per il cameratismo che lo univa al padre. Quando la primavera fu alle porte ed il padre gli annunciò la sua prossima partenza pianse sconvolto.

-Non devi piangere Murcus. Lo sai che sono un soldato e la primavera per noi è il segno che la guerra sta per riprendere. Abbiamo avuto un lungo periodo insieme e la tua compagnia è stata bellissima per me. Ora quando sarò lontano avrò sempre qualcosa di te nel  cuore e negli occhi.
-Ma tornerai presto?
-Lo spero ma purtroppo non posso prometterlo. Noi soldati eseguiamo degli ordini che spesso non ci permettono di fare credibili programmi o promesse.
-Promettimi di non tornare ferito allora.
-Spero proprio di poterlo fare. Ma. . . ma se mi dovesse succedere qualcosa di brutto promettimi di comportarti da quel bravo ometto che sei. Promettimi di obbedire agli zii ed al nonno Ovio perché anche loro, come me,  ti vogliono bene.
-Ma con te è diverso!
-Lo spero bene! Ma tu prometti!
-Prometto.
-Dai anche ascolto allo zio Corfinio perché è un uomo pratico e sa tante cose e tante ne ha viste.

Lo zio Corfinio, il grande amico di suo padre e fratello di sua madre,  era stato anche lui la grande scoperta di quell’inverno e per lui aveva rappresentata un’altra sfaccettatura del mondo così differenziato della sua famiglia. Sapeva di lui che pur essendo un soldato come suo padre più che combattere in guerra aveva prevalentemente assolti compiti di organizzazione e pianificazione e questo doveva essere stato un lavoro importante vista la stima che,  al di là dell’amicizia,  suo padre nutriva per lui.

Quando suo padre fu partito  riprese a frequentare il suo grande amico Herio, il nipote dello zio Ursidio,  che negli ultimi tempi aveva trascurato per dedicarsi a suo padre. Ora avrebbe avuto tante cose da raccontare all’amico! Se Murcus eccelleva nel leggere e scrivere Herio brillava fra tutti i compagni per la forza fisica e per una sviluppata abilità manuale ed il loro perfetto rapporto,  al di là di ogni legame di parentela,  aveva solide basi  senza che uno di loro cercasse in alcun modo di prevalere sull’altro. Con il padre lontano, e con notizie di scontri in atto con i romani,  Murcus ed Herio tormentavano tutti per sapere quanto stesse succedendo là dove si combatteva. Ma tutti sembravano avari di notizie quasi da far sospettare che volessero nascondere qualcosa. Quando una sera sulla soglia di casa trovò ad attenderlo, inconsuetamente, lo zio Ovio con un viso serio e tirato comprese subito che qualcosa di grave dovesse essere successo e pensò subito a suo padre.

Murcus– esordì lo zio-Si sono combattute due grandi battaglie a Cominium e ad Aquilonia. Devo comunicarti una brutta notizia.
Mio padre? E’ morto?
-Sì Murcus. Sono morti a migliaia,  tutti da eroi come avevano giurato di fare.
-Lo sentivo! Lo sentivo! Ho sempre temuto questa notizia ma speravo che non sarebbe mai arrivata! Non temere zio Ovio saprò reagire al dolore perché così avrebbe voluto mio padre. Ma i romani sono riusciti a passare?
-Purtroppo sì! Stanno muovendo all’interno del nostro paese. Sepinum è caduta. Aufidena e Aesernia conquistate. Non abbiamo più difesa ed i pochi che ancora non vogliono gettare le armi e rassegnarsi stanno ripiegando sulle nostre montagne. Solo l’inclemenza del tempo e la neve, ormai,  ci dividono dai nostri nemici. Del resto sembrano paghi delle razzie che possono compiere indisturbati nelle nostre valli e la debole resistenza che Gavio Ponzio sta cercando di organizzare sembra lasciarli indifferenti anche se,  per farne oggetto del loro trionfo,  stanno cercando di braccarlo.
-Allora zio Ovio,  il Sannio è perduto?
-Credo proprio di sì!
-Allora è stato tutto inutile? Perché è morto mio padre e tanti con lui?
-Per il nostro popolo ma soprattutto per il nostro onore. Nessuno potrà mai affermare che il Sannio si è piegato a Roma. Il Sannio ha dato tutti i suoi uomini migliori e tutto se stesso per difendere i propri principi, la sua libertà, la sua terra, ed il suo popolo. Anche se vinti nessuno mai potrà toglierci l’orgoglio che può considerarsi un insostituibile patrimonio. Non dovrebbe essere il momento più adatto per pensare a questioni di onore ed orgoglio ma queste sono le cose per le quali tuo padre e tanti di noi hanno sacrificato la vita.  Cerca di trovare nelle mie parole,  se può esserti utile,  una ragione per quanto è successo!

Si vedeva chiaramente che il discorso doveva costargli  molto perché lo stesso Ovio intimamente piangeva per il cognato,  per i tanti giovani morti e soprattutto per il suo paese ormai in balia di uno spietato nemico. Ma Murcus seppe frenare il suo dolore,  anche se questo gli costava  fatica, e,  con voce pacata,  invitare lo zio a pensare agli altri visto che in quel giorno tutto il Sannio piangeva e tremava per il suo futuro.

L’inverno tenne i romani lontani dalle montagne coperte di neve ma con il primo disgelo giunse la notizia che anche Gavio Pontio era stato catturato per essere portato in catene a Roma come prova vivente della vittoria sul Sannio. Dopo essere stato esibito sicuramente si sarebbe proceduto a decapitarlo. Non migliori erano le notizie che giungevano da ogni parte del paese. Non si parlava che di massacri di cittadini indifesi, di ruberie, di stupri e di violenze, il più delle volte inutili,  compiute da quello che ormai non sembrava più essere un esercito di Roma ma un insieme di bande di razziatori. Gli Irpini piegati non meno sanguinosamente delle altre tribù avevano visto Venusia, la più estrema delle sue città al confine dell’Apulia, svuotata della sua popolazione per diventare colonia romana.  I Caudini avevano pagato un alto tributo, come del resto i Caraceni,  e del vecchio Sannio restava parzialmente inviolata solo una parte,  la più inaccessibile, della Pentria. Ma con la caduta di Cominium  ultimo baluardo della resistenza dei pentri era chiaro che anche la Pentria era destinata a pagare il suo tributo. E questo immancabilmente avvenne nella primavera del 291 quando le truppe romane arrivarono in vicinanza del villaggio di Murcus. Quel giorno sarebbe stato, per Murcus,  un altro dei ricordi indelebili. Avrebbe ricordato come lo zio Ursidio, in virtù della posizione sociale e di un lontano passato che lo aveva visto impugnare le armi, aveva assunto il comando di un’improvvisata vereia alla quale l’assemblea cittadina aveva conferito il compito di resistere ad oltranza pur  sapendo l’inutilità di quel gesto. Gli uomini,  pochi,  preferivano, infatti,  morire combattendo piuttosto che essere presi come schiavi o essere passati per le armi o peggio ancora assistere allo scempio delle loro donne e dei loro beni. Quel giorno Ursidio,  assolutamente fuori posto nei panni di “comandante”,  mosse con molta dignità verso un  impari nemico alla testa di una truppa raccogliticcia che nulla avrebbe potuto certo fare se non morire con orgoglio. Ai suoi ordini vecchi veterani, moltissimi dei quali mutilati,  soldati appena rientrati dai vari fronti di guerra ed ancora con evidenti ferite e soprattutto ragazzi in età tale che mai si sarebbe supposto che potessero essere impiegati in guerra. La raccogliticcia truppa di Ursidio aveva presa posizione in quello che sembrava essere il punto più favorevole per opporre resistenza al nemico ed aveva atteso tra grandi massi che potevano costituire un embrione di sistema difensivo-protettivo.  Dall’alto del villaggio si aveva una completa panoramica del luogo dello scontro e si poté quindi assistere,  costernati,  alla scena dei romani che spazzavano via,  senza fatica,  quell’embrione di difensori per proseguire poi,  indisturbati,  senza lasciare un solo uomo in vita.

Murcus ed Herio,  con lo sguardo velato di lacrime per l’ira e l’impotenza,  assistettero insieme alle donne ed ai bambini a quell’inutile scempio. Tutti piangevano tra quei caduti un parente, un amico,  una persona cara e piangendo  pensavano alla sorte che da lì a poco sarebbe loro toccata. Ovio, venuto al villaggio a portare la notizia della morte di Brutolo e non più ripartito,  vestiti i suoi più importanti paramenti offriva sacrifici agli dei per invocarne la  clemenza su quanti ancora erano nel villaggio. Nel silenzio attonito si udì improvvisamente alta la voce di Murcus.

-Possano gli dei darmi la forza di far piangere a Roma le stesse nostre lacrime!

Allontanatosi con Herio dal triste spettacolo i due giovani strinsero con gli dei un solenne giuramento di vendetta.

Ben presto le truppe romane, avendo risalito il crinale che portava al villaggio, entrarono nell’abitato.  Ovio mosse loro incontro supplicando di risparmiare donne e bambini unici esseri viventi del villaggio ma la spada di un centurione lo trafisse prima ancora di aver potuto completare le sue richieste. Un urlo di dolore si levò dalle donne e Papia ne uscì,  come una belva,   slanciandosi sull’uomo che aveva ucciso il marito. Un colpo in pieno petto la fece crollare morta sul suo corpo. Quel colpo sembrò essere per i soldati romani il segnale di rompere le righe e di cercare una preda fra le donne mentre il legato che li guidava scendeva da cavallo intenzionato a disinteressarsi di quanto sarebbe successo.

Herio scappiamo-urlò Murcus piangendo e tirando via l’amico-Se un giorno vogliamo vendicare i nostri morti oggi dobbiamo salvare la vita!

E i due ragazzi corsero come forsennati verso il lago dove trovarono rifugio. Le truppe romane, dopo un paio di giorni, durante i quali i ragazzi non si mossero dal loro nascondiglio,  e dove nessuno li cercò,  lasciarono il villaggio paghe di quel poco che erano riuscite a razziare e delle donne che si erano prese. Herio poté così cercare la madre,  le zie ed i suoi numerosi fratelli e cugini ma,  per quanto numerosa fosse stata la famiglia di Ursidio,  nessuno era più in vitaDue giorni dopo, non desiderando rientrare nel martoriato villaggio dove nessuno più li avrebbe attesi, furono svegliati da rumori che tradivano l’avvicinarsi furtivo di una persona. Raccolti i bastoni che costituivano la loro unica arma piombarono addosso all’intruso che non oppose alcuna resistenza.

-Nonno Anio!Sei salvo nonno!
-Che gli dei siano ringraziati Murcus,  sei salvo!Ti ho cercato per giorni fra i corpi dei morti ed alla fine ho sperato che fossi scappato qui con il tuo amico visto che anche lui era introvabile.

Stringendo, fra le lacrime,  i ragazzi al petto il vecchio Anio continuava a ripetere come una cantilena la stessa frase.

-Ti sono rimasto solo io piccolo Murcus. Avrei mancato al giuramento fatto a tuo padre quando è partito se ti fosse successo qualcosa.

 

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Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine 


[1] (Nota di Enzo C. Delli Quadri) Quando molti anni orsono, Paride Bonavolta, mise mano a questo lavoro fu a lungo combattuto tra l’idea di “scrivere di storia” e quella di “romanzare la storia” per renderla più avvincente se vissuta da personaggi con la stessa interagenti. Scelse la seconda, anche perché, di storicamente definito, nonostante l’opera del canadese E.T. Salmon professore emerito alla Mc. Master University in Canada e di altri studiosi, c’è poco e quel poco rifà alla storia scritta dai romani, cioè dai vincitori. Cosicché, i Sanniti, dai loro scritti, non hanno ottenuto quella visibilità e giustizia che forse avrebbero meritato.

Attraverso la vita di 7 personaggi immaginari (Papio, Tauro, Mamerco, Brutolo, Murcus, Gavio, Herio), la storia dei Sanniti di Paride Bonavolta si dipana dal 354 a.C.(data del primo trattato dei sanniti con Roma)al 70 d.C. (morte dell’ultimo dei sette personaggi, quasi 20 anni dopo la Guerra Sociale). Ma, attraverso i ricordi del primo personaggio, Tauro, la storia riprende anche avvenimenti iniziati nel 440 a.C.

I sette personaggidella stessa famiglia, nell’arco di questo periodo, vivranno gli avvenimenti storici che contrapposero romani e sanniti nel contesto più generale degli avvenimenti della penisola italica interagendo quindi con personaggi famosiquali il re epirota Alessandro il Molosso, Pirro, Annibale ed infine Spartaco.

 

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