Questo è il secondo Capitolo della Novella Oro Rosso di Esther Delli Quadri con la quale l’autrice si prefigge di parlarci, com direbbe Ujemuort’, di:
Uomini con mani callose e cuori generosi.
Di lavoro duro e sentimenti veri,
di vite aspre di gente schiva,
di parole parca.
Di un tempo passato,
di arti antiche.
Non perché voi lo rimpiangiate
ma perché cerchiate in esso,
nel legame con un dialetto,
in un sentimento di appartenenza,
in uno spirito antico,
il filo della continuità
che governa
il vostro progredire.
Qui Ue’ducc’ incontra i “maglient“, lavoratori del rame alle prese con la prima fase di lavorazione del rame.
Per il Capitolo 1, vedere https://altosannioblog.wordpress.com/2019/06/15/oro-rosso-capitolo-1/
Capitolo 2
Il rumore dei magli si fece sempre più vicino.
Il carro raggiunse un largo spiazzo dove si ergeva un grande fabbricato.
La fonderia era infatti costituita da più caseggiati che sorgevano a valle rispetto al paese, lungo il fiume.
Il primo aveva a pian terreno delle ampie cucine e dei magazzini. Collegato con una scala esterna in pietra c’era il piano superiore, circondato da una balconata con una ringhiera , dove si trovavano le camere da letto, enormi stanze con vari letti per ospitare le famiglie dei proprietari nella stagione estiva mentre, sul retro, si trovavano una cucina per i “ maglient ” , gli operai che lavoravano alla “ramera”, ed un paio di stanze da letto per loro.
Ue’ducc’ tirò le briglie e Bartolomeo si fermò.
Chiamò ad alta voce ma non ricevette nessuna risposta. Legò allora il cavallo e proseguì a piedi.
Superò un secondo fabbricato più piccolo del primo.
Poco dopo trovò l’ampio spazio su cui sorgeva la fucina vera e propria.
L’acqua del fiume in quel punto ad opera di ingegnosi lavori era stata deviata e raccolta in un grande bacino, detto maretto, sbarrato da una chiusa. Quando la chiusa veniva aperta il potente getto d’acqua andava a far girare una grande ruota di legno posta all’esterno della fonderia che serviva ad azionare i “magli”, enormi martelli anch’essi di legno.
All’interno il rumore dei magli che battevano era assordante e l’aria incandescente e piena di fuliggine a causa del calore emanato dalla “forgia”, che doveva rimanere sempre accesa, dove il rame veniva fuso ad altissima temperatura. Il pavimento in terra battuta veniva bagnato di frequente per attutire i colpi dei magli. Una lunga fila di finestre in alto permetteva la fuoriuscita della polvere dovuta alla combustione.
Nella calura si intravedevano le figure dei lavoranti che si aggiravano intorno alla forgia intenti a versare le colate di rame in rogiuoli di diverse misure; altri invece si aggiravano intorno ai magli facendo ruotare il metallo da forgiare sotto i pesanti martelli, aiutandosi in ciò con delle lunghe pinze, in modo che il maglio battesse uniformemente.
Il tradizionale prodotto del maglio era anche il manufatto di cui la famiglia proprietaria della fonderia riforniva i ramai che lavoravano nelle botteghe dei paesi o anche nelle proprie abitazioni. Aveva una forma concava, e si presentava con le superfici lisce; dalla sua elaborazione derivavano paioli, orci, vasi, conche.
I prodotti che uscivano dalla fonderia sarebbero poi stati trasportati in paese, alle botteghe, dove, lavorati dai ramai, avrebbero preso la forma definitiva ed infine sarebbero stati decorati, se richiesto.
I ” maglient“, per effetto della intensa luce esterna, videro una sagoma scura profilarsi sulla porta di accesso alla fucina e solo dopo riuscirono a distinguere la persona di Ue’ducc.
Uno di essi che stava raccogliendo con la pala carbonella dal mucchio che si trovava in un angolo si avvicinò al nuovo venuto e insieme si allontanarono dalla porta di ingresso, dall’aria incandescente e dal rumore assordante che erano all’interno.
Come gli altri ” maglient ” Emidio, questo il suo nome, portava una vecchia maglia di lana di pecora tutta buchi; sopra i pantaloni indossava delle ” strangue’nera ” di cuoio per proteggere le gambe e un grembiule anch’esso di cuoio. Sugli occhi e parte del viso aveva delle protezioni pure di cuoio. Era completamente coperto di fuliggine e il sudore che copioso gli colava dal viso rosso e accaldato lasciava scorrendo dei profondi solchi nella fuliggine che lo ricopriva. Si tolse dalle orecchie due pezzi di cera che servivano ad attutire il rumore infernale dell’interno e con un sorriso salutò Ue’ducc’.
Ue’ducc’, Emidio e gli altri “maglient” si conoscevano bene.
Più di una volta egli si era fermato a mangiare con loro intrattenendosi a parlare del più e del meno. Un paio di volte era anche successo che lo avessero ospitato per la notte a causa del tempo inclemente. Erano gente semplice, di cuore, grandi lavoratori e Ue’ducc’ era a suo agio con loro.
Emidio, conoscendo il motivo della sua venuta, lo informò che nessuno dei ” mesctr ” era ancora arrivato. Sicuramente più tardi qualcuno sarebbe venuto, disse, perciò lo invitò ad aspettare e a restare con loro che avrebbero fatto a breve una pausa per mangiare ” nu mucc’chill‘ “.
Egli accettò.
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Copyright: Altosannio Magazine
Editing: Enzo C. Delli Quadri
Le foto sono state tratte dal sito https://www.tanucci.it/it/la-storia.html