Pillola di folklore 14 – Quaranta di Agnone e Cinquecento di Capracotta

di Domenico Di Nucci
tratta da “Agnone, il paese dov’era sempre mezzogiorno”[1]

Tavola apparecchiata per quaranta e cinquecento

Belli o brutti, sfiziosi o irripetibili, insignificanti o balordi, ancora oggi i soprannomi sono il mezzo più sicuro per identificare una persona.

L’origine dei soprannomi coincide forse con l’inizio della vita in comune; essi hanno accompagnato l’uomo da sempre. Basta dare una superficiale occhiata ad un testo di letteratura latina ed ecco che nel 300 A.C. incontriamo Appio Claudio Cieco (poverino oltre che zoppo era anche cieco!); Livio Salinatore nello stesso periodo faceva più o meno coppia con Ottavio Lampadione;il crudele console Publio Claudio fu detto Pulcro (il bello) anche se zoppo, Quinto Fabio Pittore lasciò il pennello e combatté contro i Galli, mentre Lucio Cinico Alimento aveva nel suo nome tutto un programma psicologico e culinario.

Sicuramente Marco Porcio Catone detto anche Il Censore doveva aver avuto in famiglia qualcuno collegato ai maiali; Lentulo Lupo (che strano un lupo alquanto lento!) ha ancora tanti discendenti, mentre Licinio Calvo forse già usava una parrucca.

E cosa dire del famosissimo Marco Tullio Cicerone (grosso cece), di Caio Sallustio Crispo (riccioluto), di Asinio Pollione e di Messala Corvino?

Nel 43 A.C. nacque a Sulmona il grande Publio Ovidio Nasone (grande anche nel naso!) ; un salto fino al 65 d.C. e ci si imbatte in Anneo Cornuto; Caio Svetonio Tranquillo nel 100 d.C., Quinto Settimio Florente Tertulliano nel 195 d.C. e Claudio Cluadiano (zoppo degli zoppi!) chiudono la breve rassegna storica.

Ma fu intorno al secolo IX che la scomparsa del sistema onomastico classico rese importantissimo il soprannome, essendo indispensabile aggiungerlo al solo nome di battesimo per identificare una persona.

I soprannomi di allora divennero i cognomi che portiamo oggi, estesi come furono alla famiglia e ai discendenti.

Scorrendo l’elenco telefonico di Agnone possiamo farci un’idea di quei soprannomi.

I Bartolomeo, D’Ottavio, Di Lazzaro, Di Pietro, Di Mario, D’Ascenzo, Antonelli, Orlando, Paolantonio ecc…sono semplicemente riferiti al nome di qualche antenato; i Bagnoli, Cremonese, Nizzardo, Della Valle, ecc…sono collegati al luogo di provenienza; i Patriarca, Labbate, Iacapraro, Labanca, ecc… danno un chiaro indizio del mestiere o della professione di qualche antenato; i Bianchini, Brunetti, Del Basso, Delli Quadri, Longo, Marcovecchio, Mastronardi, Mastrostefano, Amicone, Amicarelli, ecc…si commentano da soli.

Mentre  quei  soprannomi vecchi  di mille anni e più fanno bella mostra, registrati come sono all’anagrafe, tanti altri durano per poche generazioni; spuntano come funghi, vivono una vita intensa e poi scompaiono. Ogni volta che un soprannome cade in oblio, una fetta di cultura, di storia, di tradizioni inevitabilmente svanisce nel nulla.

Quale migliore occasione per chiudere il discorso sui soprannomi con un aneddoto che vede coinvolti due soprannomi ed un oste poco previdente?

Orbene tanti anni fa, quando il commercio ambulante si muoveva a dorso di mulo e le trattorie erano spesso poste nei punti strategici dei tratturi o delle mulattiere, un oste fu avvisato che nel tardo pomeriggio si sarebbero fermati a pranzare da lui, di ritorno da un fiera che si era tenuta in un paese lì vicino, quaranta di Agnone e cinquecento di Capracotta.

L’oste allertò tutti i familiari, mise man forte a tutte le provviste, macellò alcune pecore e sudò letteralmente sette camicie per preparare la cena a 540 persone.

Sul fare della sera, arrivarono all’osteria due forestieri ed a mala pena l’oste consentì loro di sedersi ad un tavolo appartato per cenare, euforico ed in attesa com’era di veder comparire quella moltitudine di gente che aspettava.

I due, mangiando mangiando, accortisi di tanta agitazione, chiesero all’oste chi mai dovesse arrivare e saputo che dovevano giungere quaranta di Agnone e cinquecento di Capracotta per poco non morirono per le risate, essendo uno dei due Quaranta, di cognome, di Agnone e l’altro Cinquecento, di soprannome, in quel di Capracotta!

L’aneddoto non ci riferisce come la prese il povero oste, ma certamente da quel giorno maledì tutti i soprannomi ogni volta che qualcuno alludeva, anche larvatamente, al famoso pranzo dei 540.


[1]  In questo libro,Domenico, nativo di Capracotta, abbandona la nostalgia per i posti a lui familiari e si immerge nel territorio scelto da suo padre detto Carmǝnuccǝ ru salaruólǝ, (usava dire: La tua patria, è il posto dove stai bene. E scelse di vivere in Agnone). Tesse, così, un arazzo intrecciato dai variopinti fili della storia, del folclore, dell’aneddotica e dei ricordi che vengono esposti intre sezioni:  Pillole di Storia, che o vanno a colmare lacune e omissioni dei testi finora pubblicati o sono degli inediti, convinto di dare così un apporto costruttivo al grande mosaico che è la storia di Agnone; Pillole di Folclorecon l’evidenziazione di usi e costumi persi nel tempo, come le “cacciòttǝ” di frutta, il fuoco di San Michele, La scuracchjéata, la frasca, la candóina, la passatella, e altri; Personaggi, tratteggiati con perizia, maestria e malinconia perché conosciuti da vicino oppure attraverso i loro racconti. Le foto provengono dal suo archivio e da archivi privati; le parole o le frasi contenute tra due parentesi sono sue note. Cliccando su questo link potrete accedere alla Prefazione e all’Introduzione del libro http://www.altosannio.it/agnone-il-paese-dovera-sempre-mezzogiorno-prefazione-e-introduzione/.Chi fosse interessato al libro può scrivere a dinucci.domenico@gmail.com.

 

EditingEnzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine 

 

 

 

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