Oro rosso – Capitolo 5

Questo è il quinto Capitolo della Novella Oro Rosso di Esther Delli Quadri con la quale l’autrice si prefigge di parlarci, com direbbe Ujemuort’,  di:

Uomini con mani callose e cuori generosi.
Di lavoro duro e sentimenti veri,
di vite aspre di gente schiva,
di parole parca.
Di un tempo passato,
di arti antiche.
Non perché voi  lo rimpiangiate
ma perché  cerchiate in esso,
nel legame con un dialetto,
in un sentimento di appartenenza,
in uno spirito antico,
il filo della continuità
che governa
il vostro progredire.

Per i capitolo 4 – https://altosannioblog.wordpress.com/2019/06/20/oro-rosso-capitolo-4/ 

Campanili di Agnone

Capitolo 5

Un rumore di ruote sui ciottoli del sentiero lo riscosse dal suo dormiveglia. Si alzò e si avvicinò al carretto che intanto si era fermato nello spiazzo. L’uomo che ne discese, masctr’ N’cola, era  piuttosto mingherlino e nervoso. Nel suo viso spiccavano due occhi scuri mobili e vivaci. Era un uomo, come Ue’ducc’ sapeva bene, che tutti rispettavano per la sua rettitudine e perché era un lavoratore indefesso e molto, molto ligio al suo dovere.

I suoi mobilissimi occhi scrutarono Ue’ducc’ al suo avvicinarsi.

Si salutarono, quindi, e masctr N’colà chiese a Ue’ducc’ se avesse recuperato molto rame vecchio nei suoi giri dall’ultima volta che si erano visti.

Ue’ducc,’ andato al suo carro, ne discese con quattro sacchi pieni di oggetti di rame. Li aprì e li mostrò a ru masctr’. Questi li valutò uno alla volta poi propose un prezzo per l’acquisto. Contrattarono un po’ prima di accordarsi e alla fine conclusero, entrambi  soddisfatti dell’affare.

Mentre Ue’ducc’ appoggiava i sacchi dentro uno dei magazzini, ” ru masctr’ ”  gli si avvicinò e gli chiese se avesse in progetto di andare in A. in quei giorni  nel qual caso lo pregava di passare  dalla bottega di famiglia dove uno dei suoi fratelli aveva bisogno di parlargli.

Masctr’ N’colà infatti era dei fratelli quello che si dedicava alla supervisione  della fonderia e alla lavorazione del rame nella bottega di famiglia ma delegava volentieri ai fratelli gli affari economici e finanziari per i quali si sentiva poco portato. Era inoltre un uomo piuttosto parco di parole e la conversazione ebbe presto fine.

Ue’ducc’ si dispose al breve viaggio per A. non senza aver avvertito prima i suoi amici che sarebbe stato di ritorno all’imbrunire e avrebbe pernottato presso di loro.

Poi si diresse sulla  strada principale e mise Bartolomeo al trotto.

Non si vedeva nessuno sulla strada nella luce accecante di quel caldo primo pomeriggio che solo qualche sporadico alito di vento di tanto in tanto rinfrescava.

Ue’ducc’ osservava pigramente il paesaggio intorno da sotto al logoro  cappello di paglia a larghe falde.

Ad un tratto qualcosa al centro della strada  attirò la sua attenzione. In un primo momento pensò che fosse un indumento, poi si accorse che era un cane.

Ero io!

Deviò con uno scatto la traiettoria del carretto che rischiava di passarmi sopra, poi con un “…isccccc!….” arrestò il cavallo e saltò a terra.

Era proprio un cane, constatò, e anche molto malridotto! Chi aveva infierito così su di lui non si era fatto nessuno scrupolo.

Giacevo immobile sotto il sole.

Il mio corpo recava i segni delle percosse che mi erano state inferte. Il mio pelo di un colore indefinibile, con macchie più scure, era a tratti macchiato di sangue rappreso. Una zampa era piegata in modo innaturale, verosimilmente rotta.

Ue’ducc’ si chinò su di me.

” ……T’en accunciat’ p’ l’ fesct’, ru fra ….” mormorò passandomi una mano sul dorso.

Socchiusi gli occhi, i miei scurissimi occhi, e quando la sua  mano mi toccò la zampa che giaceva innaturalmente, provai un intenso dolore.

Il mio sguardo  si spostò in lontananza.

Ue’ducc’ ristette un attimo indeciso.

Forse appartenevo a qualcuno. Forse ero scappato ed incappato in una brutta avventura. Forse il mio padrone mi avrebbe cercato……

Mi sollevò allora delicatamente e mi spostò sul ciglio della strada, all’ombra. Poi prese dal suo carro la borraccia, bagnò un vecchio straccio e me lo  avvicinò al muso.

Ma io restai immobile.

Tornò al carro e riprese il cammino. Certamente era il cane di qualche contadino dei dintorni. Forse era scappato ed aveva avuto la malasorte di trovare un essere umano più bestia di lui, pensò.

La strada proseguiva a tratti fiancheggiata da alberi e da un fitto sottobosco, a tratti da prati. Il terreno in leggera salita aumentava in pendenza man mano che ci si avvicinava ad A.

Finalmente si intravide il paese.

Disteso sulla sua altura che si ergeva in un’ampia valle circondata da montagne, faceva pensare ad una bella donna che svegliandosi dal suo sonno leggero stiracchiava le sue membra intorpidite. Il paese infatti si estendeva da un capo sull’altura che dava sulla valle sottostante, mentre dall’altro andava via via ricongiungendosi  con l’alta collina alle sue spalle.

Chiamarlo “paese ” era riduttivo.

Ue’ducc’ sapeva dai racconti di suo padre, che in A. si era recato spesso per lavoro, e da quelli di sua madre che dalle campagne circostanti di A. proveniva, che si trattava di una cittadina molto florida, certamente il centro più grande e importante della zona.

La sua ricchezza era data soprattutto dal fiorire di attività artigianali legate al rame, al bronzo. Oltre a numerose  botteghe di ramai c’erano orafi, sellai, ciabattini, fabbri, maniscalchi, ricamatrici, tessitrici e attività legate alla produzione di confetti e conservazione dei prodotti della terra e dell’allevamento dal momento che il suo agro era molto esteso.

Lui vi si recava volentieri affascinato da quel pulsare di vita, dato dal fatto che i suoi laboriosi abitanti erano sempre impegnati in attività e commerci.

Questo faceva si che lì si trovassero delle  case molto belle, appartenenti alle  classi agiate di artigiani e commercianti, fino alle ricche case dei notabili del posto, per lo più ubicate verso la zona più alta.

Già nell’infanzia i racconti  di suo padre, che aveva descritto A. come un  paese dai mille suoni,  avevano suscitato la sua curiosità.

Quando per la prima volta  vi si era recato, in un luminoso mattino estivo di parecchi anni prima in compagnia di suo padre,  quello che infatti lo aveva più colpito erano stati i rintocchi di campane che stavano suonando al loro arrivo e che insieme al movimento delle persone e all’incessante martellare dei ramai nelle botteghe e nelle case  componevano  un’atmosfera gioiosa.

In quel caldo pomeriggio estivo, però, il paese sembrava come addormentato. Si sarebbe svegliato per annunciare i primi vespri della sera.

Ue’ducc’ imboccò la via che conduceva alla porta di San Nicola, dove era la  bottega di masctr N’colà e dei suoi fratelli.

Lasciò il suo carro nell’ampio spazio antistante ed entrò nella bottega  a piano del terreno, aperta sulla strada.


segue su   https://altosannioblog.wordpress.com/2019/06/25/oro-rosso-capitolo-6/ 


Copyright: Altosannio Magazine
Editing: Enzo C. Delli Quadri 

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