Oro rosso – Capitolo 16

Questo è il sedicesimo Capitolo della Novella Oro Rosso di Esther Delli Quadri con la quale l’autrice si prefigge di parlarci, com direbbe Ujemuort’,  di:

Uomini con mani callose e cuori generosi.
Di lavoro duro e sentimenti veri,
di vite aspre di gente schiva,
di parole parca.
Di un tempo passato,
di arti antiche.
Non perché voi  lo rimpiangiate
ma perché  cerchiate in esso,
nel legame con un dialetto,
in un sentimento di appartenenza,
in uno spirito antico,
il filo della continuità
che governa
il vostro progredire.

Qui Ue’ducce’ Si porta verso la costa molisana; controlla il magazzino del rame, individua il ladro

Per il Capitolo 15 – https://altosannioblog.wordpress.com/2019/07/13/oro-rosso-capitolo-15/ 

Oro rosso – Capitolo 16

Il mare luccicava sotto il cielo turchino.

Ce lo trovammo di fronte all’improvviso, sbucando da una curva, dietro una collina.

L’ animo del mio padrone, sempre gioioso, sembrò colmarsi di nuova felicità!

Era quello un paesaggio che lui amava molto, non meno delle montagne da cui proveniva.

L’aria calda, odorosa di salsedine ci arrivava a zaffate man mano che ci avvicinavamo.

Ue’ducce’ ricordò quando per la prima volta lo aveva visto, anni prima. Ricordò la forte impressione che quella gran massa di acqua aveva prodotto in lui.

Aveva lasciato il carro sul ciglio della strada e a piedi nudi si era avvicinato a quella distesa blu, per lui sconosciuta.

Aveva sentito il suo respiro, udito la sua voce.

E ne era rimasto ammaliato.

Piano aveva lasciato che le sue onde leggere, in quel tardo pomeriggio estivo, lambissero i suoi piedi e si era sentito sciogliere, come un pezzo di ghiaccio accarezzato da acqua tiepida.

A oriente il cielo si scolorava mentre l’acqua  avvampava degli ultimi bagliori del sole che all’orizzonte, dietro le colline, rendevano l’aria del color dell’arancio.

Lentamente si era liberato dei suoi vestiti ed era avanzato fino ad  immergersi nel morbido, fluttuante azzurro. Si era lasciato dapprima accarezzare piano, sorpreso da tanta delicatezza al contatto col suo corpo. Poi si era immerso ed era stato come smarrirsi in un sogno.

Quel giorno aveva sentito volare i suoi propri sogni sulle ali dei gabbiani che in alto sfrecciavano nel cielo!

Era stato amore a prima vista.

Un amore che non lo aveva più abbandonato, facendolo tornare spesso, richiamandolo a sé, come fa un’amante intrigante e  appassionata.

Sorrise al ricordo.

Si, amava i monti!…. E amava il mare!… E …si,  allo stesso modo, amava le dolci colline e le vallate e le pianure…..amava tutto quello che di questo mondo non aveva ancora visto e forse non avrebbe visto mai, si disse sorridendo tra sé!

Mise al trotto Bartolomeo e giunto in prossimità della spiaggia lasciò il carro si tolse i vestiti e dopo avermi gridato di seguirlo, corse a tuffarsi.

Io lo seguii correndo sulle mie tre zampe ; la quarta era ancora troppo dolorante perché mi azzardarsi a usarla.

Ma ad un certo punto mi fermai: non avevo mai visto niente di simile!

Vidi il mio padrone nuotare verso il largo e poi tornare indietro. Lo sentii gridare al cielo e alla spiaggia deserta la sua felicità.

Poi, vedendomi lì fermo, venne da me.

Mi ritrassi, temendo la sua successiva mossa.

Ed infatti mi agguantò, mi portò con sé nell’acqua e mi lasciò cadere in essa.

…….Salata!……. Era salata!

Nuotai velocemente verso la riva inseguito dai suoi richiami!

Restò a lungo in acqua.

Poi tornò a riva  e si sdraiò sulla sabbia dorata.

Una quiete assoluta lo invase.

Immaginò Ernestina in riva al mare, la sua sorpresa, le sue risate.

Ad occhi chiusi lo sentii dirmi:

” … Scin , Ujemuort,…..  c’ l’ema purtà ch’ella citra ecch’ abball’ ….. Chisà ch’ r’sat’ s’ faciarrà !!!! …..” [1] [1] si, , Ujemuort, dobbiamo portare Esterina qui… chissà quante risate si farà

Tacque.

Il pensiero di Ernestina lo aveva avvolto di sé e si era fuso con la gioia che gli dava il mare generando un attimo di intensa, perfetta, completa felicità!

Quando si decise a lasciare la spiaggia lo fece controvoglia.

Riprendemmo il cammino e ci apprestammo ad entrare a T.

La strada si faceva in salita man mano che ci avvicinavamo.

Non era che un piccolo borgo marinaro con minuscole casette di pescatori e donne sull’uscio che cucivano reti e incrociavano giunchi.

Dall’alto, sulla spiaggia dominata dalla torreggiante rupe col castello, si vedevano vecchi pescatori  che aggiustavano le loro barche, o sistemavano reti.

Un gruppo di ragazze festose con larghi canestri sotto le braccia ci passò accanto. Salutarono Il mio padrone con allegria augurandogli ” buona venuta!”.

Terminata la ripida salita raggiungemmo il borgo vero e proprio che si estendeva  intorno al castello sulla rupe e di lì a poco fummo al magazzino della famiglia di ramai.

Ue’ducc aveva appena infilato la grossa chiave nella toppa che una anziana donna gli si avvicinò e, dopo averlo salutato, gli disse che in parecchi lo avevano cercato per lasciargli rame vecchio.

Era la moglie di un pescatore di sua conoscenza che, per sollecitudine si  prendeva l’incarico di informare gli interessati su quando ripassare per trovare “il ramaio”, essendone stata messa al corrente da lui stesso.

Era una fortuna conoscere delle persone così  sollecite. Ringraziò e dopo pochi convenevoli entrammo nel magazzino.

Una morbida luce entrava ancora da un ampio finestrone in alto.

Il magazzino consisteva di due stanze, tutte e due con accesso dalla strada. La prima nella quale eravamo entrati era il magazzino vero e proprio.

Mucchi di rame lavorato giacevano sul pavimento e in un angolo si vedevano alcuni attrezzi tipici dei ramai. L’odore era quello caratteristico delle loro botteghe.

Il mio padrone scese un paio di gradini mentre io lo seguivo annusando intorno  e ci trovammo in un’altra grande stanza anch’essa illuminata da un finestrone in alto e anche quella con una grande porta di legno a tre ante, sprangata, che dava sulla strada.

C’erano lì alcuni utensili utili alla vita domestica, un tavolo due sedie e in un angolo una rudimentale  branda con sopra un pagliericcio di scarfogli.

Al centro della stanza era una grande botola chiusa da un portellone di legno.

Ue’ducc seguito da me che continuavo ad annusare quel luogo per me nuovo, si diresse proprio lì. Raccolse da terra qualcosa che si rivelò un lume ad olio e accesolo aprì il portellone.

Un antro buio fu ai nostri piedi. L’aria che ne veniva fuori era pregna di umidità frammista ad odori alimentari e non.

Il mio padrone cominciò a scendere la ripida scaletta a pioli  illuminando, così facendo, una parte di quella che doveva essere una cantina.

Dopo poco risalì con in mano un paio di trappole con dei topi ed uscì fuori per disfarsene.

Quindi ridiscese con un vaso di terracotta nel quale aveva sistemato la vescica di salsiccia premurandosi di chiudere l’imbocco con un coperchio pressato da una pesante pietra.

Continuò a sistemare alcune provviste alimentari che aveva sul carro poiché la temperatura esterna, essendo molto diversa da quella in montagna, gli faceva temere che i cibi si deteriorassero. Andavano in ogni caso consumati al più presto!

Quando ebbe finito, lo seguii alla fonte dove si diresse con una capace “tina” e la riempì di acqua.

Poi nel magazzino si lavò e si cambiò la camiciola sporca di polvere e sudore.

L’avrebbe lavata l’indomani, si disse.

Quindi uscimmo nuovamente e dopo aver svuotato il carro, ci dirigemmo da un maniscalco non lontano.

Lì Ue’ducc’ disponeva di un posto per il suo cavallo nella stalla che il maniscalco gli concedeva in cambio di un po’ di denaro e dietro, nel cortile della bottega dell’artigiano, posteggiò il carro.

Dopo aver scambiato qualche chiacchiera con Salvatore, il maniscalco, tornammo al magazzino.

Il mio padrone si  preparò una veloce cena fredda a base di formaggio, pane, frutta e, dopo avermi dato da mangiare, andò a controllare il rame.

Fece un controllo approfondito.

…….No, non mancava niente. Non c’erano stati altri furti……..

Questo, però, non significava che in futuro non avrebbero potuto essercene di nuovo, si disse.

Approfittò dell’ora di luce che gli restava e si avviò alla spiaggia dove sapeva di trovare N’tonio, il marito della donna che lo aveva informato delle persone che lo avevano cercato.

Percorremmo il sentiero che dall’alta rupe correva fino alla spiaggia.

La sera era leggera e uno spicchio di luna faceva capolino appena velato.

Il mare  increspato da qualche alito di vento era di un azzurro cupo, ondulato.

Terminato il sentiero affondammo nella sabbia che da dorata e calda andava facendosi via via livida e fredda.

Ue’ducc’ scambiò saluti con molti pescatori intenti al loro lavoro.

Poi si diresse verso uno di essi che se ne stava più discosto dagli altri.

‘Ntonio  era seduto intento a riparare reti.

Era un uomo magrolino, il cui viso scavato aveva il colore del cuoio.

La piega serrata della sua bocca si apriva di rado ad un sorriso, ma sorrise salutando Ue’ducc.

Quel giovane solare e schietto gli piaceva. Apprezzava quelle qualità e sorrideva benevolo  tra sé per il suo modo di vivere.

Il mio padrone  gli sedette accanto.

Parlarono della pesca, del tempo.

‘Ntonio si informò dei viaggi e dell’attività di Ueducc. Poi lo ragguagliò su quello che aveva osservato durante il periodo della sua assenza. D’accordo con lui infatti si era assunto il compito di controllare i movimenti di gente non del posto intorno alla “p’teca”. [2] [2] Negozio

Aveva visto, raccontò, in un paio di occasioni, un uomo piuttosto giovane, con capelli chiari aggirarsi nei dintorni. Alla terza volta si era avvicinato facendo finta di chiedere qualcosa e aveva notato una cicatrice sulla sua mano sinistra e l’occhio destro strabico.

N’tonio, che abitava accanto alla p’teca,  poche sere dopo quell’incontro, udendo dei rumori provenire da fuori, cautamente era uscito ed aveva intravisto al chiarore della luna lo stesso uomo  armeggiare intorno alla serratura della p’teca. Allora si era allontanato di poco e poi aveva iniziato a fare rumore parlando ad alta voce come se si stessero avvicinando più persone.

A quei rumori l’uomo si era dileguato.

L’anziano pescatore era certo che fosse lui il ladro di rame.

Ueducc’ gli raccontò, a sua volta, quello che aveva saputo in giro per i paesi in cui usava fermarsi per le fiere  a proposito del probabile ladro, della coincidenza della cicatrice sulla mano sinistra e dell’occhio destro strabico, della sua sensazione in alcuni momenti di essere osservato, pedinato.

Tutti e due conclusero che si trattava della stessa persona, certamente il responsabile dei furti di rame.

Fu allora che ‘Ntonio gli raccomandò di fare molta attenzione.

L’aspetto di quell’uomo era quello di un malfattore, un delinquente. Se Ue’ducc lo aveva visto in faccia e se aveva la sensazione di essere pedinato quasi certamente quell’uomo era consapevole  di essere stato individuato.

Prove però non ce n’erano. Altro quindi non si poteva fare se non aspettare e cercare di prenderlo con le mani nel sacco.

Su questo punto furono tutti e due d’accordo.

Tacquero poi sedendo uno accanto all’altro, ‘N’tonio intento al suo lavoro, Ue’ducc con lo sguardo perso sulla distesa di acqua così tranquilla e immobile in quella serata dolce e calda.

Lui sapeva però quanta forza, quanta capacità distruttiva, quanto dolore quell’elemento poteva scatenare.

Tornò con la mente a quando, in uno dei suoi soggiorni a T. si era trovato per la prima volta nel bel mezzo di una tromba d’aria, incapace di muoversi e di respirare, sbalzato di qua e di la da un vento potente, mentre schizzi di acqua  lo investivano scagliati in aria da altissime onde che sembrava volessero sommergere case e uomini. Ricordò il terribile rombo nelle sue orecchie e la sua bocca impastata dalla sabbia trasportata dal vento.

Aveva allora provato le stesse sensazioni e paure di quando si era trovato in montagna sorpreso da una bufera di neve.

La natura, qualsiasi fosse la sua sembianza, ricordava sempre all’uomo  il suo dominio, si disse mentre il suo sguardo sfiorava le acque placide davanti a lui.

segue ….su … https://altosannioblog.wordpress.com/2019/07/17/oro-rosso-capitolo-17/ 


Copyright: Altosannio Magazine
Editing: Enzo C. Delli Quadri 

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Un pensiero riguardo “Oro rosso – Capitolo 16

  1. Continua con fascino questa serie amorosa di racconti bellissimi con la tensione di un giallo perché non sai quando finisce e come finisce. Complimenti alla scrittrice Esther Delli Quadri.

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