Scritto di Mario Vaccarella

“Mo’ vene Natale nun tengo denare me fumo na pippa e me vaco a cuccà”. Quante volte da bambino ho sentito questa nenia da mio nonno e io puntualmente la ripetevo a cantilena, senza comprenderne il significato. A quei tempi, il fumo della pipa appagava, almeno in parte, la scarsità di denaro rendendo con una dormita più tollerabile e dolce il senso della festa.
Chissà… cosa si fumavano.
Di certo ho un ricordo di mio nonno materno, che fumava la pipa quella in creta, affumicata e annerita; lui aspirava il tabacco da una cannuccia paglierina anch’essa scurita dall’uso, che all’estremità aveva una testuggine mozzata aperta e cava, in cui metteva quando si approvvigionava, il tabacco trinciato,”tabacch trzett”,oppure foglie secche di chissà quali sostanze recuperate nei campi.
Ma lui preferiva il sigaro, quello toscano; glielo portava sua nipote che viveva da un po’ di anni dopo il matrimonio in Maremma Toscana. Lo tagliava trinciandolo a misura della pipa con il suo coltello a “runch” (uncino) che usava come attrezzo multiuso. Adoperava l’indice della mano sinistra non più come arto ma come arnese sempre annerito, cotto e incallito ormai insensibile al fuoco, lo usava per accendere e pressare il tabacco nella pipa, che accendeva con i classici fiammiferi familiari, quelli con la testa rossa di zolfo, li chiamava “appicciariell”.
La sua unica occupazione era “governare” (nutrire e pulire) gli animali. Negli intervalli di tempo, seduto su una vecchia sedia ormai spagliata dall’utilizzo, davanti alla porta del vecchio ricovero delle giovenche, tra l’olezzo dello stallatico e l’ odore del fieno somigliante al mosto d’uva , passava parte delle sue giornate.
E così, con la vista sul grande cortile lui raccontava che in quell’aia, in stagioni diverse, cambiava il suo utilizzo: ci si trebbiava, si essiccavano e areavano frumenti, fave, piselli, ceci e altro ancora che la tenuta produceva. A fine lavori, all’ombra della masseria in quel grande spazio, si faceva festa con parenti e amici, con vicini, che avevano collaborato alla raccolta nei campi e tra sfottò e le risate si ringraziavano i santi in paradiso dei buoni raccolti. A volte si è pianto per raccolti andati male, altre si è banchettato e divertiti per matrimoni, oppure ci si raccoglieva in silenzio per qualche lutto. Su quella vecchia aia è passata la storia, una basola in pietra erosa dal tempo, ancora oggi ha inciso la data della sua messa in opera, ” 1882″ quasi due secoli di calpestio e vita, su quell’arcaico cortile.
Lui fumava e raccontava della sua giovinezza e del suo trascorso, sebbene lo sgradevole odore della pipa mi facesse tossire sin dalle prime boccate, lo ascoltavo. Il fumo saliva e con esso mi lasciavo trasportare come su una nuvola incantata, immaginando il suo fantastico e magico mondo; mentre lui lo aspirava e placidamente lo spingeva fuori, rientrava con la testa dentro quella nuvola di fumo, si annebbiava e ne respirava a sua detta, il suo profumo, che lo distoglieva dalle circostanze, come fosse stato in estasi, inebriato da chissà quali allucinogeni, così riaffiorava il suo passato.
Era un viaggio in un’immaginazione parallela, diversa, con cui lui condividendo mi includeva , ed io con piacere mi lasciavo trascinare e incantare .
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Editing: Enzo C. Delli Quadri