L’Alveare

Grazie a Ada Labanca, possiamo oggi rileggere uno scritto che ci riempie di orgoglio; ma anche di nostalgia.

Scrisse Eugenio Maria Cirese nel libro “Gente buona”, sussidiario per le scuole elementari pubblicato nel 1925: 

«Agnone è uno dei centri più importanti della nostra provincia; è stata ed è madre d’ingegni eletti e ha dato in ogni tempo eroi e martiri alla causa della indipendenza italiana. La bella cittadina va ricordata specialmente per le sue antiche industrie del bronzo, del rame, del ferro e dell’oro. 

Ad Agnone si fondono campane, si fabbricano utensili e attrezzi di rame e di ferro, si fanno monili d’oro molto apprezzati. Rimasta quasi staccata dai maggiori centri della provincia, perché lontana dalla ferrovia, ha visto intristire le cento botteghe, illanguidire il suo commercio; ma, per la volontà e la tenacia dei suoi figli, Agnone ha oggi la sua ferrovia, e vedrà presto le sue industrie tornare all’antico splendore.

Ascoltate … [questo bel racconto dal titolo] … L’ALVEARE. 

Nei brevi giorni dei nostri lunghi inverni, nelle molte ore rubate alle lunghe notti, l’alveare era affaccendato. Il lieto rumore dell’opra si levava da tutte le sue case, si spandeva per tutte le sue vie. Era il rumore vario di una vita varia, era la musica di una vita viva e rigogliosa. E tra i vari strumenti di questa musica feconda campeggiava, sonoro e primeggiante, il martello glorioso del ramaio. Ai primi giorni della stagione novella, le nostre gloriose vie mulattiere si animavano … il tintinnio dei muli, carichi dei frutti dell’opra invernale, spandevasi, perdevasi per tutte le direzioni verso le terre vicine e lontane. 

Era l’alveare che sciamava, era l’ape agnonese che portava i frutti del suo miele a tutte le fiere, a tutti i mercati della conquistata regione. E la regione conquistata aspettava desiosa le api provvide: e per la sua ampia distesa, tutte le sue chiese risuonavano degli inni al Signore, sposati agli accordi di organiagnonesi; e i suoi campanili spandevano all’ aria le voci delle chiese al suono di campane agnonesi e sul petto e sulle chiome delle sue spose e delle sue fanciulle fiammeggiava l’oro agnonese, e nell’ intimità della cucina e del focolare dalle pareti occhieggiavano, spesso oggetti di arte vera, i ramai agnonesi; e nelle campagne lampeggiavano al sole gli aratri agnonesi, le vanghe agnonesi, le zappeagnonesi. E tutto parlava di te, tutto era pieno di te, mia umile patria» (pp. 90-1).

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