
Questo è quanto il Prof. Francesco Paolo Tanzj, docente di Storia e Filosofia, ha scritto, con l’aiuto dei ragazzi delle classi IV B e V B, nell’anno scolastico 2014/15. È l’ introduzione al libro La Storia che ci unisce pubblicato nel 2015 dal Liceo Scientifico “Giovanni Paolo I” di Agnone. I giovani vengono invitati a costruire insieme un futuro migliore, lasciando responsabilmente dietro di noi ogni anacronistico e distruttivo campanilismo! Scritto nel 2015, resta ancora attuale presso molte realtà del territorio dell’Altosannio.
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“Qualche anno fa fui trasferito in una ridente cittadina altomolisana. Da buon vecchio insegnante di storia e geografia dalla cattedra vacante quale ero considerato, misi silenziosamente piede nella scuola elementare di Capracotta, questo il nome della ‘cittadina’.
Il primo giorno di scuola, dopo le convenevoli conoscenze con i colleghi, mi mandarono in quinta. Varcato l’ingresso, cercai subito di catturare l’attenzione dei bambini, ma essi sembravano presi da una delicata discussione con la maestra di italiano. Mi misi così in ascolto, più incuriosito che piccato.
«Ma, maestra, noi non andiamo molto d’accordo con i bambini di Agnone, sono piuttosto antipatici con noi».
«Ma noi riserviamo loro lo stesso trattamento, Nicola, è questo il problema», rispose la maestra.
«Io non ci sono mai andata e neanche mi interessa farlo. Si tenessero pure le campane e ci lasciassero in pace».
«Invece, secondo me, dovremmo superare questa sorta di pregiudizio l’uno verso l’altro paese. I tempi che furono sono andati ormai, che senso ha farsi la guerra?» disse una ragazzina che aveva preso più a cuore la questione.
«Io non ne so nulla. Perché sono tempi andati? Che cosa è successo in passato?» Intanto si avvicinava anche chi, inizialmente, si era tenuto in disparte.
«I Capracottesi hanno vissuto grandi disagi durante la seconda guerra mondiale, ragazzi, e alcuni dicono che gli Agnonesi, all’epoca un po’ più agiati di noi, non li avevano accolto proprio a braccia aperte. I problemi erano quelli che erano, la guerra ha rappresentato difficoltà per tutti. Era una situazione precaria anche per Agnone, pur non essendo stata bombardata. Ecco perché continuare sulla strada del conflitto non ha più senso oggi», riprese la maestra.
«Si, ma noi cosa ci possiamo fare se ci guardano con sospetto?»
«È un’impressione, Sara, dovuta al pregiudizio che ruota attorno a questa storia… Oh, – disse, girandosi verso di me – ma il nuovo insegnante è già arrivato e non me ne sono nemmeno accorta! Buongiorno, venga, venga, stavo giusto per andare via. Ragazzi, riprenderemo il discorso, ma riflettete su quello che ci siamo detti»
Risposi cordialmente al saluto, la ringraziai e mi rivolsi ai miei nuovi alunni: «Buongiorno, ragazzi. Passeremo alcuni giorni insieme, durante i quali cercherò di seminare un po’ di storia nelle vostre testoline. Ma prima ditemi una cosa: cos’è Agnone e dove si trova?»
«È un paese a una ventina di chilometri da qui. Non ci andate, per amor di Dio, c’è solo del marcio!», mi disse il più coraggioso del gruppetto.
«A parte che è proprio brutto e triste, dicono che la gente cammini avanti e indietro per il corso principale senza fare nient’altro!»
«Addirittura?», riposi divertito.
«Si, nulla a che vedere con le nostro bellissimo paese! E poi quando arrivano gli ‘stranieri’ li guardano come se fossero alieni».
«Ma ha del fantascientifico allora questo paesello?»
Non capirono la battuta. Eppure questa storiella iniziava ad incuriosirmi.
Date, lotte, popoli preistorici, miti e leggende furono apprezzati con entusiasmo dalla scolaresca durante tutto l’anno, ma ciò che non riuscii ad estirpare dalle loro menti genuine fu quella strana convinzione di essere continuamente minacciati da una popolazione limitrofa che, a dispetto degli eventi passati, si era modernizzata. Ovviamente, le loro idee erano alquanto infondate e montate a dovere.
Tutto ciò era desolante. Continuare a farsi guerra senza alcun motivo, distruggendo quelli che dovrebbero essere i valori più belli di un popolo. Una parte di mondo incontaminata, bella come l’Alto Molise, non poteva continuare a far da sfondo a inutili pregiudizi. Aveva bisogno di vedere uniti tutti i suo abitanti.
Trovai in seguito la soluzione: comprai questo libro e feci loro leggere l’indice analitico che poneva l’accento su ogni possibile causa che aveva portato a questo paradossale scontro sociologico”.
Attraverso il racconto del vecchio maestro che, pur essendo frutto della fantasia, riesce a delineare una reale parte di mondo incontaminata come quella dell’Alto Molise che continua a far da sfondo a pregiudizi ancestrali, noi alunni di entrambi i paesi abbiamo voluto farci carico di questo messaggio solidale che viene percepito fortemente nel nostro ambiente scolastico. Vorremo dunque a tutti riuscire a trasmettere che valori come il consapevole rifiuto dei pregiudizi e della paura del diverso dovrebbero essere impartiti da qualunque istituzione, ed è per questo che siamo profondamente grati al nostro docente di storia per averci concesso sin dall’inizio la possibilità di confrontarci su questioni a noi così vicine, eppure così trascurate. Il progetto di scrivere dei “particolarismi” agnonesi e capracottesi nasce proprio dall’esigenza di sensibilizzare ogni lettore in direzione della riflessione sul proprio senso di appartenenza e di cittadinanza attiva, che mai ci dovrebbe portare a percepire come ‘straniero’ un residente di un paese vicino a cui non si appartiene ma che è parte integrante di un unico territorio comune.
L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme. Non è il conforto di un normale voler bene. L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L’Alto Molise si sta pian piano desertificando: non è ora di finirla con queste stupide divisioni campanilistiche?!
Qualche anno fa, alcuni alunni del nostro stesso liceo, provenienti da diversi paesi dell’area, pubblicarono un illuminante libretto intitolato “Dall’Europa all’Alto Molise-Vastese”, di cui vogliamo qui riportare le riflessioni iniziali intitolate provocatoriamente “Questo non è un paese per giovani”:
“Potrebbe essere il titolo di un nuovo film dei fratelli Cohen, ambientato però questa volta – anziché nella spietata America dei killer – nel ventre molle d’un tèpido ‘paese dell’Italia meridionale’, come scriveva William A. Douglass. E della sua patologica malattia: l’emigrazione, che ha spopolato un territorio un tempo ricco di attività, di tradizioni e di cultura.
Un’area che ha visto più che dimezzarsi inesorabilmente la sua popolazione, perdendo progressivamente ogni speranza di sviluppo e inducendo sempre più le giovani generazioni a cercare altrove le opportunità di una propria affermazione nel lavoro e nella società, fino a diventare nient’altro che “un paese per vecchi”.
Una serie di scelte scellerate – per parlare solo degli ultimi 50 anni – che, attraverso il clientelismo e l’assistenzialismo prima, e una progressiva, scientifica emarginazione territoriale poi, sono riuscite a distruggere ogni residuo di spirito imprenditoriale e propositivo, un tempo vanto e linfa vitale dei nostri paesi…
E i giovani, dunque, in cosa dovrebbero credere, in chi riporre le proprie aspettative, da quale parte prendere l’esempio per avere fiducia in sé stessi e progettare il proprio futuro, se intorno a loro lo sfacelo economico-demografico e un atteggiamento sempre più diffuso di accettazione passiva della realtà hanno ormai preso piede in tutti i settori della società?
Sembra quasi che in tutti questi anni sia stato volutamente perseguito un disegno nascosto, teso a privare le zone montane interne – sia del basso Abruzzo che dell’Alto Molise – di ogni necessaria infrastruttura (strade, trasporti, uffici, imprese, ospedale, etc…) a vantaggio delle aree centrali delle rispettive provincie, che probabilmente da sole non sarebbero mai riuscite a decollare e che infatti oggi sono destinate anch’esse a scomparire sotto la mannaia – anch’essa colpevolmente ritardataria – delle recenti manovre finanziarie per ridurre il debito pubblico nazionale. Sembra che nel frattempo nessuno – nella generale apatia della classe dirigente locale, per lo più occupata in modo autoreferenziale a gestire il proprio tran tran quotidiano – si sia accorto di cosa stava succedendo, di quante e quali occasioni di sviluppo si stavano perdendo, di quali preoccupanti segnali di decadenza bisognava tener conto, di quanto fosse invece necessario studiare e mettere in atto nuove strategie per la rinascita.
… Tant’è che l’unica cosa che avrebbero dovuto fare, e cioè la lotta ai campanilismi e la formazione di una cittadinanza condivisa, non è stata mai posta in essere, così come non si è portata avanti una politica turistica comune, né tantomeno energetica o scolastica, occupazionale o dei trasporti.
Le uniche iniziative di rilievo sono state spesso frutto dell’impegno disinteressato delle tante associazioni locali, che peraltro non sono state mai aiutate a realizzare come si sarebbe dovuto i loro progetti lungimiranti. Ma, si sa, la forza della mediocrità sta nel non permettere che qualcun altro faccia ciò che chi dovrebbe non sa – o non vuole – fare!
E tutto questo da cinquant’anni, fino ad accorgersi adesso che tutto è perduto! L’ospedale, l’università, il turismo di qualità, l’artigianato artistico, l’agricoltura doc e i suoi derivati, e quant’altro la professionalità e l’abnegazione dell’antico spirito imprenditoriale delle nostre genti avrebbe potuto ottenere, sono ormai – o stanno per esserlo – un semplice ricordo. Nonostante l’ormai raro e donchisciottesco impegno di pochi, le residue speranze di una rinascita sono ormai ridotte al lumicino, se non del tutto fallite.
Ecco perché oggi assistiamo a un proliferare di iniziative spontanee e forse utopistiche, ma che almeno denotano una gran voglia di lavorare per credere ancora nel domani, anche perché – come qualcuno ebbe a dire tempo fa, per rispondere alla solite critiche disfattiste – in ogni caso e comunque ‘Le cose VANNO FATTE! Se non altro per poter guardare in faccia i nostri figli’.
Ma l’atmosfera da queste parti non è certo delle più incoraggianti e prevale ovunque lo sconforto e la rassegnazione. Insomma, in barba alle leggi sulla montagna e alle mille promesse dei tanti pinocchi di turno, siamo tutti figli di nessuno!
Ma non lamentiamoci troppo! Avremo almeno la certezza di vedere comunque qualche faccia nuova aggirarsi per le strade deserte dei nostri paesi: le buone badanti che tristemente ci faranno compagnia mentre aspettiamo che qualche figlio – da Roma, Bologna o New York – si ricordi di noi e venga un giorno a trovarci almeno per un po’.
Ecco perché ‘questo non è un paese per giovani’.
A meno che i giovani non si decidano a trasformarlo una volta per tutte”.
Sant’Agostino ci insegna che il mondo è un libro e chi non legge ne conoscerà solamente una piccolissima parte, e allora, se attraverso la lettura di questo nostro modesto lavoro saremo riusciti a scollarvi di dosso i tanti futili pregiudizi, ci potremo dunque definire soddisfatti dei nostri sforzi.
La cultura è potere e conoscere la storia del nostro territorio è un dovere morale, ed è per questo che abbiamo stilato un indice che pone l’accento su ogni possibile causa che ha portato al suddetto “scontro sociologico” tra Agnone e Capracotta al fine di lanciare un messaggio di pace e di unità.
Perché siamo noi giovani a pretenderlo, per avere almeno una speranza di costruire INSIEME un futuro migliore, lasciando responsabilmente dietro di noi ogni anacronistico e distruttivo campanilismo!
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Editing: Enzo C. Delli Quadri