di Ada Labanca
Terza Parte – Realtà sociale 1
Le durissime condizioni in cui vivono gli operai e i contadini sono però fonte di preoccupazione per il prefetto, il quale non ritiene che il Molise abbia «la gente più mansueta del mondo ed incapace di erompere, in un caso, in funeste violenze…In circostanze normali ed ordinarie – egli afferma – il senso predominante di queste popolazioni è quello dell’ordine, è quello dell’attaccamento alla tranquillità del suo lavoro, alla soddisfazione dei suoi bisogni, e…non vi è chi si lasci trascinare da teorie eccentriche ed opinioni avventate, e molto meno che aspiri a divenire l’apostolo, e meno ancora il martire. Ma ad un tempo…anche qui, come altrove, si avverte il naturale dissidio tra le diverse condizioni di fortuna, la preponderanza del proprietario e del capitalista e la forzata deferenza del colono e dell’operaio»[1].
Insomma, ricordando la feroce lotta contro i briganti, che aveva insanguinato il Molise nel 1860 e nel 1861, il prefetto è certo che se si verificheranno «convellimenti generali», «disordini dissolventi», caduta della «forza» e del «prestigio» del governo, nessuno potrà fermare la piena insurrezionale dei contadini, nessuno potrà garantire che le masse rimangano «spettatrici tranquille e virtuosamente impassibili» degli eventi[2].
I contadini sono soggetti ad ogni sopruso: «l’ingordigia d’insaziabili padronie e l’usura agraria toglie alle classi rurali ogni mezzo ed ogni via di miglioramento»[3]. Ciò è dovuto anche al fatto che «il capitale attivo de’ [centotré] Monti [frumentari] è ridotto allo stremo…le obbliganze non si assumono legalmente…le restituzioni non si fanno alle volute scadenze…Amministratori negligenti ed inetti o ritardano in modo troppo censurabile il resoconto delle rispettive gestioni o, risultati debitori, non consegnano a’ successori il genere dovuto…In taluni Monti [poi] non esiste il grano, che trovasi da anni, senza nemmeno le debite garanzie, in mano di chi o non appartiene alla classe degli agricoltori poveri, o non è in grado di restituire più il genere. Quasi da per tutto nel magazzino si trova grano di pessima qualità, perché chi anche avesse ricevuto genere buono, lo restituisce cattivo, e quindi il povero coltivatore, che ricorre al Monte, non potendolo usare per la semina, deve venderlo o consumarlo, e comperare a prezzo elevato la quantità che gli abbisogna»[4].
Gli operai non hanno consapevolezza politica; il loro gruppo sociale è composto «da individui isolati, senza scambio di idee, senza raffinatezza di abilità e di gusti, miseri per lo più e deboli…[senza]…alcuna influenza, nessuna coscienza di forza, né altra manifestazione di malumore che un brontolio confuso»[5].
Contadini e lavoratori salariatisono sottoposti alle angherie dei «mezzani proprietari» che, favoriti nella mobilità sociale anche da illeciti economici, assumono, per lo status e il ruolo che adesso rivestono, comportamenti non diversi da quelli delle classi egemoni da cui, negli anni addietro, erano dipesi anche in qualità di braccianti. Infatti i mezzani «non attendono più materialmente al lavoro campestre…non esercitano alcun mestiere manuale – afferma il sottoprefetto di Isernia – ma campando di modiche vendite e di professioni od industrie, vivono nei paesi senza alcuna aspirazione di miglioramento, senza nessuna attenzione ad utili scopi, ma cianciando, popolando le bettole, lacerandosi a vicenda, prendendo d’assedio e d’assalto gli uffici municipali e facendoli servire alla propria utilità o agli sfoghi dei propri capricci»[6].
Da questi uomini sono sovente messe in atto due forme di sfruttamento economico sulle fasce più deboli della popolazione: le speculazioni sui passaporti richiesti da chi desidera emigrare e le truffe sulle rendite granarie dei grandi possidenti. Infatti i «mezzani», divenuti amministratori dei fondi, se rubano parte del raccolto del galantuomo da cui dipendono, fanno ricadere la responsabilità del furto sui contadini che appaiono turbolenti specie nei periodi di carestia. «Non c’è dubbio – denuncia poi l’autorità isernina per quanto concerne la questione dei passaporti – che in parecchi comuni…sia stata organizzata la industria dei promotori della emigrazione, i quali fanno lucro per le senserie che ricevono dagli agenti di trasporto, ed altri anche se ne procurano intervenendo in contratti che i poveri emigranti son costretti a fare per provvedersi dei mezzi necessari, siano questi contratti, mutui ipotecari, ovvero vendite di beni. Ciò costituisce la più grave iattura che arrec[a] la emigrazione nel modo come essa si svolge, [specialmente se si pensa che] la classe degli emigranti è necessariamente composta di piccoli proprietari che possono esser preda dell’usura, e vittime delle lucrose speculazioni»[7].È possibile porre un freno a tale perversa situazione? Il sottoprefetto d’Isernia appare scettico, anche perché la vigilanza sui sensali dell’emigrazione è «necessariamente imperfetta», specialmente per una legge poco rigorosa che lascia libertà d’azione ai mediatori: «sia che in essi [mezzani] si voglia colpire la truffa, per via delle sperticate promesse che fanno agli emigranti, poiché difficilmente si ritrovano in questa materia gli elementi specifici di quel reato, sia che si voglia in essi considerare l’esercizio clandestino della qualità di agenti d’emigrazione, imperocché l’art. 64 della legge di P. S., nel modo in cui è concepito dà luogo a contravvenzione, ove si stabilisca un pubblico ufficio di agenzia senza l’assenso della autorità politica, non già quando si operi da mezzano senza pubblicità, e per via di privati maneggi»[8].
L’unica soluzione sarebbe quella di «estendere ad essi [sensali] quelle misure di prevenzione che si adottano contro altre categorie di sospetti»[9].
Quando però le masse protestano, perché manca loro ciò che è necessario per vivere, c’è addirittura chi fa credere, per tornaconto personale, che quelle sommosse siano rivelatrici di tentativi insurrezionali[10].
Ma i contadini sarebbero veramente disposti ad accettare i principi del collettivismo? Per il sottoprefetto d’Isernia le «perniciose dottrine dello Internazionalismo…[non possono]… fare effetto nell’animo di questi abitanti e…[non vi possono]…far breccia perché costoro sono troppo devoti alle loro famiglie e teneri delle loro proprietà…[Inoltre]…le loro aspirazioni sono limitate ai mezzi puramente necessari di sussistenza e…il loro malcontento si attenua tanto, fino a dissiparsi quasi, appena fa ritorno la stagione della raccolta e dei lavori campestri»[11]. L’insoddisfazione popolare, poi, se «non arriva a divenir Verbo, ed a manifestarsi per via di canoni ed enunciazioni di diritto…esiste allo stato di sentimento confuso ed indefinito, e nelle occasioni erompe con violenza»[12].
Il disagio delle masse si nota, secondo l’autorità penetra, quando «i contadini e gli artigiani acquistano, e ad assai caro prezzo, un po’ di sale e son costretti a soddisfare il dazio del macinato sul grano, e ancora di più quello che chiamano insopportabile sul granone che è il cibo di cui nutresi generalmente la povera gente…Né minor dissesto e malumore…[ha prodotto]… nei poveri contadini l’obbligo delle prestazioni in natura per la costruzione delle strade obbligatorie, e se vi si subarcarno dopo tante contraddizioni, ciò fanno, dicono essi, per iscanzare maggiori angherie, ma imprecando, e muovendo sempre altissimi clamori»[13].Nonostante il duro servaggio, in queste realtà territoriali contadini ed artigiani non si uniscono per attivare lotte politiche: «Le classi rurali e quelle degli artigiani e degli industriali – considera ancora il sottoprefetto d’Isernia – non sono amiche dei proprietari e della gente civile, e se i contadini mostransi o per timore o per forza quasi sempre dipendenti e rispettosi, gli artigiani sono invece esigenti e petulanti verso i così detti galantuomini […] Gli artigiani non sono ancora giunti ad esercitare influenza nella classe agricola…[e]…per antipatia, invidia o dispetto, quando il possono, non lasciano di sobillare contro la borghesia»[14].
Qual è, insomma, il modo di porsi dei proprietari nei confronti dei contadini? Gli agricoltori «generalmente parlando – continua nella sua riflessione l’autorità isernina – non sono ben trattati dai proprietari, e mentre sono quelli che col sudore della propria fronte arricchiscono i proprietari; questi ultimi quando o per iscarso ricolto o per altre sventure sono pregati dai loro agricoltori a soccorrerli nella stagione invernale, o si ricusano, o consentono a seconda dei casi a soccorrerli con usure incredibili, o si allontanano dalla loro abituale residenza per non essere, dicono essi, [an]noiati e disturbati dalle continue insistenze dei coltivatori dei loro campi»[15].
Ma la massa, guidata da capipopolo, esplode. Nel 1875, per esempio, a Morrone del Sannio «una turba di giovani scapestrati», a causa di giochi personalistici che inquinano il potere locale, «con chiassi notturni e con laide canzoni…[turba]…la tranquillità del paese»[16]; il 9 luglio 1876 a Boiano una «nuova tassa focatica…[produce]…malcontento per la ingiusta distribuzione…[fra le]…classi», malcontento che il sindaco, per rancori personali, seda con un arbitrario, illegittimo e collettivo arresto dei dissidenti[17]. Nel 1878, anno in cui una nuova crisi agraria colpisce ovunque le classi sociali più deboli, a Vastogirardi prende corpo una sommossa contadina a causa della quotizzazione di un vasto terreno demaniale. Tale rivolta si placa, però, «al solo apparire di un delegato di P. S. e di un ufficiale dei carabinieri…[Qualcuno pensa addirittura che l’agitazione sia da]…imputarsi alle perniciose teorie del comunismo…[quando, in realtà, dipende]…[d]alla mancanza di custodia…[e]… [d]ai sobillamenti di qualche usurpatore non contadino [ch]e rivestito…di pubblico ufficio… [spaccia]… trattarsi di proprietà [ciò] che non… [è]…di nessuno»[18].
A Jelsi il 23 agosto 1879 si registra un tumulto popolare contro i politici del posto e ciò non solo a causa della «tassa focatica…ma…per la pessima amministrazione di quel Consiglio [comunale]», le cui deliberazioni «si fanno in famiglia»[19].
Situazioni del genere pongono sempre in allerta le autorità governative e militari periferiche, specialmente quando da Roma si invita ogni prefetto a tenere sotto controllo le popolazioni e i territori loro sottoposti, non solo per sorvegliare attentamente l’attività del clero e dei repubblicani[20], ma particolarmente per indagare con la massima solerzia sugli eventuali movimenti dei gruppi eversivi. Infatti il 2 aprile 1879 dal Ministero dell’interno viene inviata, tramite telegramma in codice, una circolare ai prefetti con la quale li si esorta ad organizzare «speciali disposizioni di sorveglianza» e ad informare «per telegrafo di ogni insolito movimento»[21].
Tale circolare, in realtà, sembra completare quella del 5 marzo. In quest’ultima il ministro dell’Interno – dopo aver considerato come nell’anno precedente «le statistiche dei reati» abbiano segnato «un aumento in tutte le categorie, specialmente nei crimini di omicidio e di grassazione…preparati da ignoti autori, che rimangono tali per sempre»[22]e come tale situazione «provo[chi] e giustifi[chi] le apprensioni dell’opinione pubblica», anche perché molti «malvagi» restano impuniti – invita le autorità periferiche ad aumentare la sorveglianza sui territori posti sotto la loro direzione[23]. Anzi il ministro sollecita i prefetti non solo ad applicare «rigorosamente le leggi», ma ad imprimere «un efficace e risoluto impulso all’azione dei funzionari e degli agenti di pubblica sicurezza in guisa che codesta loro azione si manifesti e si affermi costantemente sia nella prevenzione che nella repressione dei reati»[24]. I rappresentanti periferici del governo, inoltre, devono esigere «dai funzionari e dagli agenti…il massimo impegno e la massima attività», dispiegare «avvedutezza e costanza nelle pratiche investigative» e applicare «con energia» quanto impongono le norme sulla pubblica sicurezza[25].
Ma il malessere sociale e il disagio esistenziale dei gruppi marginali della popolazione possono divampare implacabilmente e perciò richiamare l’attenzione dei carabinieri e della polizia i cui uomini intervengono, grazie pure alle sollecitazioni dei sindaci, dei sottoprefetti e dei prefetti , per riportare l’ordine, anche con l’uso della forza, nei luoghi dove esplodono i tumulti.
Le rivolte popolari appaiono più imponenti quando i poveri agricoltori sono spinti ad agire contro le amministrazioni locali oppure contro i ricchi signori del posto, dalla categoria sociale intermedia tra i grandi proprietari e i contadini. Ad essa appartengono sia gli amministratori dei grandi latifondisti, sia i «massari», «l’aristocrazia della classe dei contadini»[26], dal cui seno nascono i nuovi professionisti e i nuovi impiegati[27].
Questo ceto medio tende ad esprimersi nella politica locale ed aspira a conseguire ricchezze e potere con tutti i mezzi a sua disposizione, comprese l’usura granaria e la pratica del- l’«argentario», cioè l’attività di colui che ha in mano il commercio del denaro. «[I medi proprietari]…– afferma Presutti – piuttosto che cercare di elevarsi nel seno della propria classe…cercano di cambiare classe sociale…Con sacrifici inauditi…mandano i figli a studiare…[e]…quando…il laureato entra in una amministrazione dello Stato, egli non ha più la possibilità di essere una forza per il piccolo gruppo locale di popolazione…È di costoro la caccia al piccolo impiego presso l’amministrazione comunale…di costoro spesso la caccia agli uffici elettorali, per i vantaggi indiretti, che possono procurare»[28].
I nuovi arricchiti sono per lo più degli usurai e «il saggio dell’interesse – continua Presutti – è…elevatissimo. L’interesse normale sulle anticipazioni ai coloni è del quarto del tomolo…non già ad anno, ma qualunque sia il tempo per cui l’anticipazione è fatta…Per la semina…dura da otto a dieci mesi, per la raccolta…la mora non supera mai più di due mesi…Buona parte delle nuove fortune si formano con il commercio del denaro. Sono gli argentarii quali più facilmente si arricchiscono…[ed entrano]…nella classe dei galantuomini. Però, arricchendo, l’argentarionon resta più tale. Fatalmente diventa proprietario di fondi rustici…Quando [il suo debitore]…si trova ridotto a tale punto che deve necessariamente liquidare, l’argentario…è costretto a diventare proprietario: nelle aste mancano gli oblatori e l’argentario, se non vuole restare perdente, deve rendersi esso aggiudicatario […] Il figlio dell’argentario[poi] non è anch’esso argentario, ma è diventato un medio proprietario di fondi rustici…appartiene alla classe dei galantuomini non a quella dei massai…[Egli è convinto che]…bisogna non tanto avere effettivamente, quanto mostrare al pubblico il tenore di vita, proprio della classe dei galantuomini»[29].
Questi miseri uomini, espressione dei piccoli poteri locali, nei momenti di maggiore tensione sociale, appoggiano i contadini nelle loro rivendicazioni contro l’amministrazione comunale, se ci sono altre imposte da pagare, oppure contro i grandi latifondisti, se il raccolto è stato pessimo. Terminati i tumulti per l’intervento dei militari, essi denunciano alle autorità i contadini, che sono così accusati di essere o dei comuni delinquenti o persino componenti di presunte bande anarchiche pronte alla rivoluzione[30].
Ciò avviene a Castelpagano, nella notte fra il 23 e il 24 agosto del 1879[31]. Il fatto è denunziato subito alle autorità competenti e c’è chi, ricordando le vicende della banda del Matese, sostiene che questa azione sia stata pensata ed organizzata dagli anarchici. Tale diceria – giunta alle orecchie dei carabinieri, filtrata da costoro al prefetto e da questi al ministro dell’Interno – crea il finimondo: le autorità locali, accusate di inadempienza e di superficialità, sono o sospese dal loro incarico o trasferite; da Roma, infine, vengono impartiti ordini severissimi affinché si attivi la caccia agli anarchici e tutta la zona sia sorvegliata e presidiata[32].
In verità il 29 agosto dalla capitale è inoltrata ai prefetti del Regno la ministeriale n. 5589 dove si sostiene che «da fonte autorevole» è stata annunciata, per la fine del mese di settembre, « una seria agitazione in Sicilia, nelle Romagne e nel Napoletano» ad opera di Malon, Costa e Pistolesi. Per questo motivo il ministro dell’Interno impone ai prefetti «di verificare quanto possa essere di vero in tale notizia» e di provvedere «contemporaneamente alla più accurata sorveglianza per prevenire qualsiasi turbamento dell’ordine pubblico»[33].
Il prefetto della Provincia di Campobasso, con nota del 12 settembre 1879, assicura al ministro che nel Molise non è mai stata «istituita, né si tenta di istituire…alcuna associazione di internazionalisti»[34], sebbene al Ministero risulti che a Campobasso abbia soggiornato per qualche tempo il socialista De Bello di Reggio Calabria, vicino alle posizioni del giornale «La Plebe»[35].
Intanto nel Larinese affiorano gli echi della questione balcanica. Nel Basso Molise, infatti, alcuni «villici» cercano, ma invano, di arruolarsi per recarsi nella «Bosnia onde accrescere le fila degli insorti…L’occupazione della Bosnia e della Erzegovina verificata dall’Austria – afferma poi il sottoprefetto di Larino – seminando la rovina e la desolazione, [ha] reca[to] vivissima impressione in questi abitanti [del Molise], che non sa[nno] giustificare condotta sì barbara verso i paesi i quali, ai loro occhi, non…[sono]…colpevoli che di un grande patriottismo e di non piegare il capo alla straniera dominazione»[36].
Ma la piena libertà democratica è veramente auspicabile? Il funzionario frentano è, nel merito, del tutto scettico, anzi per lui persino le teorie di Cairoli, se sono «ottime al mantenimento della libertà», non sembrano adeguate «alla educazione del nostro popolo il quale, cresciuto sotto governi assoluti, da quelli [ha] appres[o] a rispettare le leggi solo pel timore di un castigo, che guasto da una stampa tristissima, non sa parlare che di diritti, punto riconoscendo i propri doveri; che, in una parola, ritenendo essere vera libertà la più turpe licenza, abbisogna ancora di freno»[37].
A Larino, però, sei operai semianalfabeti esaltano Passanante[38]e a Guglionesi non mancano presenze «repubblicane» che, tuttavia, fanno sentire la loro voce con scaramucce di poco conto[39]. Una situazione quasi identica si registra ad Isernia, dove un non identificato gruppo fa circolare manifesti inneggianti a Giovanni Bovio[40]che nel 1877 a Napoli è stato fautore «di un’alleanza tra radicalrepubblicani e socialisti…[atta]…a fornire un punto medio di riferimento…fra le correnti meridionali del federalismo, del socialismo e dell’unitarismo patriottico»[41]. Bovio è il giornalista che sulla «Voce pubblica» ha con sé Merlino e che spera «di stabilire un’egemonia radicalrepubblicana sulle…propagini dell’anarchismo meridionale»[42]; è l’acclamato e massonico intellettuale partenopeo che dal 1864 ha un «conto aperto»[43]con la Santa Sede, sia perché il suo Verbo Novello gli ha procurato «una speciale scomunica e l’interdetto da Roma», sia perché ha definito il clero «l’ ordine più pericoloso e più ostinato contro la libertà»[44].
Tuttavia nel circondario d’Isernia il proletariato urbano e di campagna, pur versando «in condizioni economiche abbastanza critiche», per le quali è palpabile un forte malcontento, non attiva alcuna protesta: « Difficilmente, anche pe’ tristi ricordi della reazione del 1860 – sottolinea il sottoprefetto d’Isernia – [il popolo] si farebbe trascinare ex abrupto in una insurrezione per distruggere l’attuale ordine di cose, sia pure dietro la lusinga di conseguire il…benessere materiale»[45].
Insomma, negli anni Settanta ed Ottanta del XIX secolo, il quadro sociale ed economico del Sannio, area geografica di «antica omogeneità»[46]culturale, non è diverso da quello tratteggiato, all’ epoca dell’impresa garibaldina, da Alberto Mario, ai cui occhi i contadini sanniti, i cafoni, sembrano dei veri e propri «straccioni, con sandali di pelle di capra, con feltro a tronco di cono […] chioma crespa e voluminosa, fronte bassa e larga, naso schiacciato e narici turgide, zigomi espressi, mento ampio e labbra senza curve»[47]. E come un tempo – continua Mario – «si raccoglievano i Sanniti con religioso tremore, nel silenzio, nell’oscurità, fra i gemiti delle vittime umane al piede degli altari scellerati…[e]…promettevano sommissione e obbedienza assoluta ai principi sacerdoti…[così]…obbediscono adesso a una simile autorità»[48], ciò avviene non solo nel 1876, in occasione dei pellegrinaggi organizzati per il giubileo[49], ma anche quando, per esempio, si fa credere alla gente semplice che tutte le sofferenze da cui è afflitta dipendono da un agire non pienamente conforme ai dettami evangelici[50].
Segue……
[estratto daL. PARENTE(a cura di), Movimenti sociali e lotte politiche nell’Italia liberale, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 195 ss]
35AS CB, relazione sullo «spirito pubblico», citata.
[2]Ibidem.Sulla repressione del 1860 e del 1861 v., p. e.,A. Carano, Brigantaggio postu-nitario, in «Almanacco del Molise», Campobasso 1973, pp. 253 – 274; A. Ruggieri, Cafoni e galantuomini nel Molise fra brigantaggio e questione meridionale, Bologna 1984.
[3]AS CB, «Relazione sullo spirito pubblico e sulle condizioni del circondario», cit., c. 3r; anche in G. Zarrilli , Il Molise, cit., pp. 148 – 150.
[4]F. Contin di castel seprio, Relazione, cit., p. LXVII.
[5]AS CB, «Relazione sullo spirito pubblico e sulle condizioni del circondario», cit., c. 3v.
[6]Ivi, cc. 3v – 4r.
[7]Ivi, cc. 5v – 6r. Nel 1874 il sindaco di Pietrabbondante, paese dell’Isernino, pretende «la somma di lire una per ogni cittadino “che emigra per l’America al momento di firmargli i documenti”» (Cfr., AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 26, fasc., 688, in A. Di Iorio, Pietrabbondante. Frammenti di storia, Roma 1997, p. 73).
[8]AS CB, «Isernia 6 luglio 1877. Relazione…», cit., c. 6v.
[9]Ibidem.
[10]T. Finizia, In difesa di Angelo, Errico e Giuseppe Fiore imputati di saccheggio, Napoli 1880, in Biblioteca Provinciale “P. Albino” di Campobasso, fondo Allegazioni forensi, Finizia, vol. II.
[11]AS CB, «Spirito pubblico». Isernia 1 luglio 1878, Prefettura Gabinetto I, b. 46, fasc. 1221, cc. 3r – 3v.
[12]Ivi, cc. 2r – 2v.
[13]Ivi, cc. 3v – 4r.
[14]Ivi, cc. 2v – 3r.
[15]Ibidem.
[16]AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 45, fasc. 1209.
[17]Ivi , fasc. 1189.
[18]Relazione del sottoprefetto d’Isernia al prefetto della Provincia di Campobasso, primo semestre del 1878, in G. Zarrilli, Il Molise, cit., p. 151.
[19]AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 45, fasc. 1204.
[20]AS CB, Prefettura gabinetto I, b. 47, fasc. 1229.
[21]«Prefetti Regno urgente. N°1408. 747 962 827 422 763 369 625 983 771 267 256 350 286 774 763 148 546 453 758 755 763 745 286 1457 753 602 751 261 763 106 266 732 828 1328 262 614 ed in special. Dell’ 184 205 773 614 266 1004 366 460 608 572 721 279 602 752 256 1342 565 507 727. Morana», ovvero « Si hanno indi – zi di qual – che ferm – ento nel partito av – anza – to Di – a spe – cia – li disposizioni di sorvegli – anza ed inform – i per telegrafo di ogni in – sol – it – o mo – vi – mento ed in specil. dell’ att – eg – gia – mento e via – g – gi dei capi princip – al – i del partito me – des – im – o», in AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 47, fasc. 1229 (La trascrizione è stata fatta, probabilmente, dal destinatario ed è apposta sul testo in codice. Non c’è corrispondenza fra gruppi sillabici e numeri).
[22]AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 47, fasc. 1229.
[23]Ibidem.
[24]Ibidem.
[25]Ibidem.
[26]E. Presutti, Fra il Trigno e il Fortore. Inchiesta sulle condizioni economiche delle popolazioni del Circondario di Larino, Napoli 1907, p. 67.
[27] Ivi, pp. 64 – 65.
[28]Ibidem.
[29]Ivi, pp. 52 – 55.
[30]T. Finizia,In difesa, cit., pp. 4 – 5.
[31]Ibidem.Anche Castelpagano è, come San Lupo, un ex paese del Molise; esso è assorbito dalla Campania con la nascita della Provincia di Benevento ( Cfr., p. e., G. Masciotta,Il Molise dalle origini, I,cit., p. 175).
[32]T. Finizia, In difesa, cit., pp. 3 – 6.
[33]AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 47, fasc. 1229
[34]Ibidem.
[35]AS CB, «Internazionale. Prof. A. De Bello». Roma, 13 settembre 1979, Prefettura Gabinetto I, b. 47, fasc. 1229.
[36]AS CB, Prefettura Gabinetto I, b.46, fasc. 1221.
[37]Ibidem.
[38]AS CB, corrispondenza tra il prefetto della Provincia di Napoli e il prefetto della Provincia di Campobasso. Napoli, 3 marzo 1879; Campobasso, 14 marzo 1879, Prefettura Gabinetto I, b. 47, fasc. 1229.
[39]Ibidem.
[40]AS CB, nota del sottoprefetto d’Isernia al prefetto della Provincia di Campobasso. Isernia, 11 maggio 1878, Prefettura Gabinetto I, b. 47, fasc. 1232.
[41]A. Capone , Destra e Sinistra da Cavour a Crispi, cit. , pp. 355 – 356.
[42]Ibidem.
[43]A. M. Mola,Storia della massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano 1992, 209
[44]Ibidem.
[45]AS CB, nota del sottoprefetto di Isernia…, citato.
[46]E. Petrocelli, Il divenire del paesaggio molisano, Firenze 1984, p. 30.
[47]A. Mario, La camicia rossa, con prefazione di C. Cimegotto, Milano 19252, pp. 165, 167.
[48]Ivi, p. 167.
[49] AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 46, fasc. 1221.
[50]V., p. e., L. Picardi, Cattolici e fascismo nel Molise (1922-1943), Roma 1995, p. 148.