Questo Canto di Gustavo Tempesta Petresine,
fa parte di un suo libro di poesie intitolato “Ne cande”[1]
XVIII Canto dell’Altosannio
Passano pochi pullman
in questo spicchio acre
di campagna desolata
arrancano piano, dondolano
scricchiolando la tesatura
delle pulegge rosicchiate.
I vecchi sulla scalinata
si contano le dita
e corrono le fantasie,
vivono piano e ascoltano.
Offrendo il berretto alla mattina
infastidiscono le erbacce col bastone.
La c’era un ponte – dicono –
e i pesci boccheggiavano di bolle
girando attorno all’esca,
mal celata ingannatrice
di una esperta trota.
Troppo sospetta per essere mangiata.
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[1] ‘Ne cande, nasce da un percorso accidentato, da un ritrovare frammenti e “cocci” di un vernacolo non più parlato come in origine, da mettere insieme in un complicato puzzle. I termini sono proposti cercando di rispecchiare la fonetica che fu propria del parlare dei nostri nonni, ascoltati in prima persona e qui proposti. Il “canto lieto”, quello che trattava di feste, amori e piccola ironia dove si contemplava il fluire non privo di stenti, di un vivere paesano, è svanito negli anni.
Editing: Enzo C. Delli Quadri
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