di Marisa Gallo [1]
Qualche giorno fa, è apparso sul blog “Falconesi nel mondo” un Post di AdelaideFrani Larivera, residente in Canada da molti anni, ma nativa di Montefalcone nel Sannio:
“Zi Pepp, lo si teneva in camera da letto dentra la culunnaitt (dentro il comodino) oppure sotto il letto per le emergenze notturne; poi si aspettava il momento giusto (cioè che non passava nessuno) per poterlo vuotare. Questo avveniva quasi sempre di sera tardi.
Za Margsepp puvurell tnoev nu zi pepp tutt arruzzunuit, na soer aspttav c la santa pacinz c tutt l iucatiur arrsciuivn da la ptaech d Nduiatt lu sourd p svietérl , cann i snbratt ca er lu mument iousct grappatt lu zi pepp p fuzze lu cuntniut d bott z spicchett la menech e z sentett nu sciupp (z’affacciatt tutt lu vucenat) zi pepp ave iut a sbatt mbacc a lu miur d fraunt e za Margsepp era armasct c la mench n maen.
Zia Mariagiuseppa poverina aveva il zi pepp tutto arrugginito, una sera aspettava con santa pazienza che tutti i giocatori uscivano dalla bottega di Ndunietta lu sourd per svuotarlo, quando gli sembrò il momento giusto prese zi pepp per buttare il contenuto quando si sentì un colpo (si affacciò tutto il vicinato): s’era spiccicato il manico e zi peppe era andato a sbattere nel muro di fronte e zia Mariagiuseppa era rimasta con il manico in mano.
Anche questo è stato Montefalcone.”
Faccio seguito, a questo simpaticissimo racconto dell’amica AdelaideFrani, con una seconda parte.
Quand’ero ragazzina, intorno agli anni 50….del secolo scorso, ricordo che al mio paese-Montefalcone nel Sannio – vicinissima a casa mia c’era la bottega di uno stagnino, cioè un artigiano, che riparava i più svariati oggetti, di metallo, con delle saldature manuali o semimanuali; poiché non era il tempo di “usa e getta”, ma dell’uso prolungato di qualsiasi cosa: vestiti, scarpe, suppellettile, tutto era costruito per durare a lungo ed essere all’occorrenza riparato, aggiustato!!!
Era molto facile per me vedere il lavoro di zi Achille Ferrara – così si chiamava l’artigiano – in quanto lavorava spessissimo con la porta della bottega semiaperta, per ovvie ragioni : infatti saldando con la fiamma ossidrica aveva bisogno di aria rinnovata, ma spesso anche qualche cliente gli faceva “compagnia”sull’uscio, intrattenendosi a parlare, fumando una sigaretta, per il tempo necessario di esecuzione del lavoro, quando si trattava di cosa di poco conto.
All’inizio forse zi Achille ebbe anche qualche ragazzo “a bottega” che voleva imparare il mestiere, come si usava in quel tempo ,quando il paese era pieno di artigiani e dei loro suoni/ rumori, dei loro canti o talora di imprecazioni…
Forse anche più di uno dei suoi figli maschi, bravi ragazzi, talvolta aiutavano zi Achille… Ne aveva ben 4: baldi e bei ragazzi- oltre a due bambine più piccole di me- e dei quali era a ragione orgoglioso….
L’aiuto gli era necessario ed indispensabile, specie in alcune stagioni, ad esempio verso settembre …quando era il tempo della salsa di pomodoro… Ci si chiederà come e perché questa strana coincidenza di fine estate…
Ebbene eran quelli tempi assai magri, pieni di buona volontà, di ingegnosità e di lavori umili artigianali, ma era anche il tempo in cui – fra tante altre cose necessarie – il vetro scarseggiava…Non certo però la salsa di pomodoro, che allora abbondava ed era genuina come non mai!
Essa si faceva più spesso seccare al sole – divenendo concentrato – sparsa sui tavoli, con contimui “rimestamenti ‘nche ‘na cucchiarelle de legne”…
Oh, mi par di vederli, nei meriggi assolati di settembre! E forse non solo io me li ricordo con simpatica empatia, perché da bambini ci piaceva qualche leccatina, essendo “dolcememte salata”, profumata, colorata!…
Molti però, preferivano conservarla in bottiglie, per mancanza di un adeguato “posto al sole” per gran parte della giornata – ed era il caso della mia famiglia- in quanto NOI abitavamo proprio sulla via principale del paese -e già cominciavano a circolare le prime macchine, o c’era il quotidiano passeggio dei giovani del tempo…
Ebbene ricordo che “a gara” si cercava, già nei mesi precedenti, di accaparrarsi qualche bottiglia vuota della birra, dai vari baristi del paese- che le davano, bontà loro, in amicizia o per conoscenza – e sia pure indirettamente o in modo frugale bisognava anche ringraziarli!… Non c ‘era certo la formula “vuoto a perdere” o, come oggi, la rottamazione del vetro o la raccolta differenziata…
Allora, dopo averle riempite di salsa bisognava otturare le bottiglie col tappo, rigorosamente di sughero, fermato con dello spago…
L’operazione facile a dirsi, non lo era in pratica, né era “ben accetta” da tutti perché faticosa e lunga, considerando che si facevano in famiglia ben oltre 200 bottiglie di salsa, come scorta per tutto l’anno …
Il sugo – così si diceva del condimento per la pasta – era quasi consumato quotidianamente, sia pure di semplice pomodoro; la carne più spesso di agnello – o di pollo- era riservata alla domenica o alle feste di precetto, allora!
Ma qualche pezzetto di lardo o ventresca, e gli immancabili odori di aglio o cipolla e di sedano, prezzemolo, peperone, cioè i prodotti genuini di “ casa propria” rendevano merito al sugo, che forse dava dei punti anche al ragù di carne .
Da parte mia con una certa nostalgia ne conservo ancora il ricordo olfattivo…nitido e piacevole….Senza dire che a quei tempi tutto poi era condito dal BUON APPETITO, se non proprio dalla fame, che specie tra noi ragazzzi ci faceva avere le farfalle nello stomaco …quotidianamente. e non invece l’innamoramento !
Ed ecco che ci fu una magnifica invenzione da parte di “zi Achille” Ferrara.. Oggi sarebbe stata degna di un brevetto e di una startup!!!.
Egli che sapeva “maneggiare bene” i suoi attrezzi da lavoro, ebbe la felice intuizione di usare una “striscia” di latta”, che avvolgeva il collo della bottiglia, fermata su misura nel collo stesso, quindi rigorosamante individuale per ciascuna bottiglia!!! Ad essa vi si aggrappava il tappo semi-automatico con una molla che riusciva a chiudere ermeticamente la bottiglia. Chiaramente, poi, tutte le bottiglie, riempite di salsa di pomodoro, venivano bollite in acqua nelle grosse caldaie di rame… a bagnomaria…
Dunque, era proprio nel periodo della salsa che spesso anche qualche figlio aiutava lo stagnaro zi Achille, per cui li si poteva vedere e/o sentir lavorare fino a tarda sera.
Nella famosa lirica di Giacomo Leopardi, “il sabato del villaggio”, si legge:
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s’affretta, e s’adopra
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
Poetica e veritiera osservazione di un fenomeno, comune nei borghi antichi…
Anche la mia matrigna –noi la chiamavamo mammà- poco esperta nel “legare” le bottiglie con lo spago, era ricorsa all’ingegnoso lavoro di zi Achille, dietro il dovuto compenso… Così una volta, verso l’imbrunire, mi mandò a ritirare alcune bottiglie, ed io notai una donna entrata prima di me nella bottega con qualcosa di voluminoso sotto la “mandera”, il grosso grembiule arricciato in vita, che le donne anziane abitualmente portavano tutto il giorno e tutti i giorni…e che serviva loro per costume e multiplo…uso! Zi Achille, che forse aveva visto o sapeva di cosa si trattava, l’accompagnò nel retrobottega.
Ed ecco il momento clou del racconto, per cui mi sono agganciata a quello della mia amica.
Quando l’indomani andai a riprendere il resto delle bottiglie “infascettate” da zi Achille, ho visto uscire lui, e dietro a lui, la stessa donna anziana dal retrobottega, sempre con qualcosa di voluminoso e sempre nascosto sotto il grembiule… Sembrava incinta…
Non capii lì per li’ cosa celasse, che però aveva destato la mia curiosa attenzione! Doveva essere cosa interessante o segreta; aveva già pagato la manodopera e con l’aria di complicita’ salutò e andò via, col suo tesoro stretto con le due mani. La donna, una persona caratteristica del paese, non ERA del mio rione..
Per la verità, zi Achille, uomo arguto e dallo spirito vivace, dopo che la donna andò via, disse fra sé e sé, con tono bonario e paterno, ma anche un po’ seccato…: – Ma vide che me tocca a ffa’! arestagnè cirte cause de la gente …e de sbetuine! ma come je ze po’ dice de nau, se chelle cristeiaine, nen ze le po’ arcattà nuve, lu zi peppe ?! < Ma guarda cosa mi tocca fare! riparare anche certe cose della gente! e di fretta! ma come poter dire di no a quella povera donna, che non si può permettere di comprare un nuovo “zi peppe?!!!>
Aveva, per caso, dovuto lavorare fino a tarda sera per lei? La cosa mi sembrò solo una battuta, finì con un sorriso e non ci ho pensato più….
Ma l’arcano finalmente è stato svelato, dopo oltre mezzo secolo, sorvolando l’Oceano, dal Canada: conservato nella buona memoria della mia amica Adelaide Frani Larivera, che ci ha dilettato e fatto partecipi del suo simpatico ricordo fanciullesco!
Anche questo è stato Montefalcone!
Nota: Io non so per quale fortuita coincidenza tra i miei “reperti antichi” conservo proprio una di quelle bottiglie, essendo arrivata sana e salva, dopo ben 4 traslochi… di casa, trovando posto nell’attuale cantina, fra tante altre inutili cianfrusaglie. Ma a questo punto devo dire che la terrò da conto, visto che, come me, ha superato i 70 anni, ma particolamente perché entrambe diventiamo sempre più rugginose, delicate e fragili, di vetro!
[1] Marisa Gallo, molisana di Montefalcone nel Sannio, insegnante, amante e cultrice della Poesia, più per hobby che per professione, impegnata a restare al passo dei tempi, ma con animo caldo, non sclerotizzato dai media aggressivi.
Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine
Brava Marisa, bravissima.
Un caro abbraccio e….grazie!
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Antico, brioso e VERO racconto; così diverse le condizioni igieniche allora….ma fortunatamente non ci fu l’aggressione del covid 19 e delle necessarie e indispensabili accortezze oggi richieste dalla pandemia!
Senza considerare che oggi non si trovano ARTIGIANI O BOTTEGHE aperte, per l’obbligatorio lockdown di quasi tutta l’ITALIA E NON SOLO!!!!!
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Fantastico racconto ! Mi piace. Ricordo tutto, escluso qualche particolare, ricordo il “mastro” E ricordo il dolore a volte alle mani per legare con lo spago i tappi delle bottiglie. Ero bravo e alcuni parenti a Celenza chiedevano la mia collaborazione. Bello rivivere certi passaggi di costume e capacità di adattamento ai tempi. Complimenti, Marisa.
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Ricordo bene quell’artigiano che vedevo intento al lavoro quando passavo davanti alla sua bottega, non certo la simpatica scenetta da commedia teatrale. Quanto a fermare o “sigillare” il tappo di sughero nella bottiglia con lo spago ero un “mastro”; una volta scoperto mi chiamavano in tanti e, non usando i guanti, quanto dolore alle mani! Il racconto, molto bello, che desta tanta curiosità e ricordi, anche con la scenetta raccontata da Adelaide, oltre a richiamare alla memoria costumi e comportamenti di quei tempi, fa riflettere sulla capacità dell’uomo di adattarsi ed evolversi. Brava, Marisa, grazie; risollevi lo spirito e di questi tempi non è poco.
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