di Maria Delli Quadri

Ieri sera la temperatura in casa era da termosifone acceso, ma io ho cercato di resistere con qualche plaid e, soprattutto, con lo scaldino elettrico infilato nel letto per trovarlo caldo all’ora della nanna. La mente, questa traditrice, è andata indietro nel tempo, quando andavamo a dormire, noi ragazzi, con i mattoni pieni avvolti in una pezza fetente, dopo averli tenuti a scaldare attorno al fuoco. In casa mia ce n’erano cinque e a volte lo spazio disponibile non bastava.
I benestanti usavano la “bottiglia di rame” e, dulcis in fundo, il “monaco” o “prete” con la coppa di carbonella. A casa mia quest’ultimo arnese toccava, per gerarchia, ai nostri genitori.

Che meraviglia!
I nostri mattoni, poi, erano solo una metà, per cui a scaldarci le estremità (come si dice in lingua forbita) dovevamo fare come col l mantice, un piede su e uno giù, ritmicamente, fino a quando quel poco di calore non si esauriva.
Agnone è il paese del rame e la “bottiglia” era in tutte le case; anche noi l’avevamo ma era una, mentre i piedi da scaldare erano dieci. Non c’era proporzione.
Oggi, col termosifone, stufe ecc…. le case sono calde quasi tutte, dipende solo dal portafogli.
A proposito: vi sembra giusto che le popolazioni di montagna siano penalizzate a pagare quei salassi di bollette del gas che arrivano puntuali come la morte?
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Editing: Enzo C. Delli Quadri
Copyright Altosannio Magazine
Ovviamente non mi sembra giusto. Consumiamo più energia per riscaldarci, rispetto alle località di pianura o di mare, pertanto i costi dell’energia dovrebbero essere rapportati alle quantità utilizzate.
Ne parliamo da anni, io circa da 15, ma non si vede equità. equitalia invece si!!
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eccezionale ricordarsi le usanze antiche andate avanti cosi’.
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Grazie Micco che apprezzi questo nostro lavoro teso a mantenere vivo l’interesse perchè questo nostro territorio, l’Altosannio, non perda definitivamente la propria identità.
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CARA MARIA, sei proprio forte, anzi fortemente, ironicamente e letterariamente BRAVA! Sai strappare un sorriso anche nel ricordare cose, non proprio sguazzanti in brodo di giuggiole, come quelle dei nostri tempi ANTICHI.
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Io solo oggi, 3 dicembre 2016, ho letto il tuo articolo, che cmq è sempre ATTUALE.
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Il rito del fuoco nello “scaldaletto” è ancora una necessità per “sopravvivere”, quando nei paesi di montagna si vive in case riscaldate solo dal camino e da qualche stufa e la notte spesso si va, in temperature dell’aria, vocino o sotto lo “zero termico”!
Bisogna però utilizzare tutti quegli accorgimenti “antichi” affinché le braci non producano più l’ossido di carbonio, causa di molte morti nei tempi passati, dovute alla non completa combustione, alla non completa trasformazione della legna o del carbone “spento” di legna “in carbone vivo”, senza più tracce di fumo o di “fiammelle” che denotano la loro non completa “trasformazione”!
Per evitare l’eventuale ripresentarsi di fiamme nei bracieri, i carboni accesi, rosso vivo, venivano ricoperti da uno strato di cenere che, permettendo una lentissima “traspirazione, favoriva anche la lenta e completa trasformazione, di tutto il fuoco, in cenere.
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Ciao,
leggo solo ora, 10 dicembre 2021, il tuo simpaticissimo scritto: tutto vero quel che descrivi…proprio così! Che ricordi! Io ora vivo in Liguria ma sono nata e ho vissuto sino a 20 anni in Piemonte…e in inverno le notti erano fatte di puro gelo! Verso i miei 16 anni, la vecchia casa venne ristrutturata e le stanze ebbero i caloriferi, ma ricordo bene il ‘prete” con la pignatta di terracotta piena di brace (e le lenzuola che ogni tanto si sbruciacchiavano!), la bottiglia di metallo per l ‘acqua calda (ne avevamo una e una rimase sempre!) e il mattone (che secondo mia nonna
era un mattone particolare, perché diceva che non tutti i mattoni erano adatti a fare da ‘scaldino”).
Noi eravamo in 6 e le stanze da scaldare erano 3. Mi madre, dai primi di novembre a fine marzo, passava la serata a far girare il ‘prete’ per casa, che veniva messo prima nel lettone in cui dormivamo io e mia sorella (e poi ci dava anche la bottiglia), poi in quello dei miei nonni (che poi prendevano anche il mattone) e infine in quello dei miei genitori (che dormivano con i calzini di lana, perché per loro non rimanevano più né mattone e né bottiglia!).
Cose passate…i nostri ragazzi oggi non possono di certo comprendere del tutto nonostante i nostri racconti.
Che dolci quei ricordi! 🙂
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