Le Mulattiere dell’Anima Capitolo 2

Novella di Esther Delli Quadri

“È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi […] 
ma lagrime ancora e tripudi suoi”
(Giovanni Pascoli: Pensieri e discorsi, Bologna, 1907)

A nonno Giovanni

Erano arrivati. Qualche bambino era già lì. 

Ci si alza presto in campagna, soprattutto d’estate, pensò Giovanni. Anche i bambini.

Non avrebbe cominciato, però, fino a che non fossero arrivati  tutti.

Parcheggiò la bicicletta appoggiandola al muro. Poi trasse dalla sua borsa di lavoro una grande chiave e con quella aprì la sgangherata porta della “scuola”.

I bambini fuori giocavano a rincorrersi. Dalla finestra vide  suo figlio unirsi ai loro giochi.

Dapprima guardingo, per vedere se lui lo stava osservando, quindi più sicuro di sé. 

Suo figlio!

Non avrebbe saputo spiegare quella sensazione di disagio che suo figlio gli aveva causato all’inizio, appena tornato.

Lui, un maestro, che con i bambini aveva sempre avuto a che fare e con buoni risultati, per giunta, di fronte a suo figlio si era sentito di non avere le parole giuste.

Aveva quasi avuto paura ad inserirsi nello stretto legame che sembrava unire il bambino  alla madre. Sua moglie era una persona solare e così lui si era sentito quasi in dovere di tenersi un po’ in disparte, di lasciarle il  posto accanto al bambino perché il loro rapporto era basato sulla “levità”.

Lui, invece, sentiva di non essere lieve. Gli era difficile esserlo. Non lo era, in fondo, mai stato per formazione, prima familiare poi scolastica.  E, dopo il suo ritorno, per qualcosa che forse era ancora più profondo, più complicato da esprimere. 

Sua moglie lo aveva notato. 

Aveva notato il suo ritrarsi, quasi per inadeguatezza di fronte al bambino. E aveva cercato di avvicinarli il più possibile. 

Ti ha aspettato tanto” gli aveva detto. “ A volte voleva mettere da parte qualcosa per te, un pezzetto di formaggio, un uovo quando riuscivamo ad averlo, e facevo fatica a spiegargli che non poteva, che quel cibo si sarebbe rovinato perché non sapevamo quando saresti tornato” continuava.

Gli era sembrato di avere dentro di sé un nodo, un groppo che non riusciva a sciogliersi.

Gli occhi di Tonino che qualche volta aveva sorpreso su di sé, lo avevano fatto  sentire in colpa. 

 Le  parole di sua moglie ” ti ha aspettato tanto…..”  erano riecheggiate di tanto in tanto  confusamente nella sua testa.

Ma chi  aveva spettato suo figlio? si era chiesto in quei primi mesi.  Un uomo malinconico, tormentato, inquieto come lui era adesso? era lui che aveva aspettato?

O forse aveva aspettato un padre che potesse ridere con lui, che potesse raccontare di sé?

Forse se lo era immaginato diverso e si era ritrovato di fronte lui!

Forse era rimasto deluso!

Anche questo aveva fatto la guerra! Aveva creato un solco tra loro, forse aveva posto le basi per un’incomunicabilità futura!

Anche questo fanno le guerre!

Sarebbero mai riusciti loro due a comunicare in modo spontaneo? Sarebbe mai riuscito lui, Giovanni, a parlargli della guerra che la guerra aveva fatto scoppiare dentro di lui? E suo figlio avrebbe mai potuto comprendere  cosa si agitava nel profondo dell’animo di suo padre? Questi  interrogativi  lo avevano turbato.

A lui, seppure  lo volesse intensamente, era rimasto difficile avvicinarsi al bambino, se non  per qualche insegnamento su quello che sta bene fare o non fare, per qualche rimprovero.

Aveva avuto paura di suo figlio. Paura di fargli del male, adesso lo capiva.

Non sei il suo maestro” gli aveva fatto notare dolcemente sua moglie ” sei suo padre. Lui da te si aspetta soprattutto calore, qualcosa che colmi il vuoto causato dalla tua mancanza”.

Ma a lui era riuscito difficile sprigionare calore. E si era tenuto a distanza nel timore che  suo figlio al contatto con lui, con  la morsa di freddo nella quale era stretto il suo cuore rattrappito e stanco, si sentisse gelare dentro anche lui. Aveva avuto paura di uccidere con quel contatto  ogni germoglio della sua giovane vita!

Sua moglie, lui lo sapeva,  aveva notato il cambiamento generale che era avvenuto in lui. La sua tendenza ad essere ancora più serio di quanto per sua natura fosse,  si era accentuata. Nei primi mesi del suo ritorno aveva  preferito   star solo, quasi che la sua mente avesse bisogno di concentrarsi su qualcosa di irrisolto che aveva dentro di sé, qualcosa che se non fosse riuscito a risolvere non gli avrebbe consentito di andare avanti, aveva pensato. Dopo invece aveva avuto paura di stare da solo, paura dei suoi pensieri…..

Lei aveva attribuito quel cambiamento alla guerra, alle sofferenze nel campo di prigionia. Aveva pensato che avesse bisogno di tempo per dimenticare e per questo non gli aveva posto domande. Mai gli aveva chiesto il perché  dei suoi sonni agitati, dei suoi incubi, dei suoi improvvisi risvegli. E lui le era stato  grato per questo.

Non aveva parlato con lei. Non aveva parlato con nessuno.

Aveva  lasciato che lei credesse che tutto il suo malessere fosse solo colpa della guerra. Sarebbe stato troppo complicato spiegarle cose, che lui stesso a volte stentava a vedere chiaramente.

E in fondo sapeva che non ce n’era bisogno. Poteva contare sul suo amore, sulla sua comprensione, sul suo appoggio incondizionato da sempre!

Ma il bambino! 

Aveva capito che il suo modo di essere lo stava allontanando da lui, ogni giorno un po’. E, pur non  volendo che ciò succedesse, non sapeva come evitarlo, non riusciva a vincere il timore che avvicinandoglisi gli avrebbe fatto del male, il timore di essere non solo inutile per lui, ma persino nocivo.

Era un bambino vivace, allegro, Tonino, ma lui sentiva che era anche attento, sensibile a quanto avveniva intorno a lui. Forse in quegli anni solo con la mamma  aveva percepito, più di quanto ci si aspetterebbe da un bambino, il clima di preoccupazione causato da anni di difficoltà economiche, di incertezza del futuro, del suo ritorno, e questo  lo aveva reso più consapevole.

 L’idea di portarlo a scuola con sé, come suggerito da sua moglie, aveva entusiasmato Tonino ed ancor più entusiasta era diventato dopo le prime lezioni tanto che era stato difficile tenerlo a casa durante le giornate invernali particolarmente inclementi per condurlo con sé in bicicletta.

Aveva poi conosciuto Onofrio, un bambino di poco più grande di lui che abitava in una masseria non lontana dalla “scuola” ed erano diventati talmente inseparabili e uniti  che bisognava controllarli a vista. Era di qualche giorno prima  la storia delle ciliegie.

Durante l’intervallo, che di solito i bambini facevano intorno alle 11.00 con la consegna di rimanere nei paraggi, Onofrio e Tonino erano spariti. Li avevano cercati ovunque lui, i bambini e i contadini dei dintorni allertati, questi ultimi,  dal movimento intorno alla scuola. La preoccupazione in lui era aumentata col passare del tempo poiché per circa un’ora dei due bambini non si era saputo niente. L’idea di bombe inesplose nei dintorni in cui i due avrebbero potuto incappare lo aveva sopraffatto.  I contadini, che li avevano aiutati nelle ricerche,  erano rimasti tranquilli, invece. Loro erano abituati a ché i loro figli, fin da piccoli si allontanassero, e lo avevano rassicurato sul fatto che lì vicino bombe inesplose non ce n’erano.

Dopo un’ora buona di ricerche li avevano trovati  in un campo sotto un albero  di ciliegie. Seduti all’ombra con le mani e la bocca sporche del succo dei rossi frutti si sfidavano a chi ne mangiava di più soprattutto per vincere la gara nella costruzione della “montagna di noccioli”.

Ne era seguita una bella ramanzina sul significato del furto, sul non rispetto delle regole scolastiche e l’inevitabile punizione: in ginocchio in un angolino fino al termine delle lezioni.

Gli occhi di Onofrio si erano riempiti  di pianto dopo aver saputo che sarebbero stati puniti, ma suo figlio, Tonino, lo aveva guardato sorpreso, sbigottito, come a dire ” Ma come tu, mio padre, mi fai questo! “.

Ma non era stato averli dovuti punire che gli era dispiaciuto di più!

Era stato aver sentito qualche bonario commento dei compagni, ma malevolo per i due malfattori, qualche innocente risatina o canzonatura indirizzata ai due, che gli era dispiaciuto . 

In quel momento, dopo averli dovuti punire, era stato felice che l’anno scolastico stesse per finire ed era stato felice che nel successivo anno Tonino sarebbe stato iscritto alla prima elementare della scuola in paese. 

Temeva che per suo figlio vederlo in ambito lavorativo, dove il suo atteggiamento era per forza di cose improntato alla severità, avrebbe significato  una amplificazione della tendenza a percepirlo prima di tutto come il maestro, l’educatore. 

Ma soprattutto, adesso, temeva  che andasse perduto quel tenue  filo  che cominciava ad  unirli. Era nato  tra loro in quei mesi  un rapporto  che si era andato sviluppando lentamente e faticosamente, pensò, e il cui inizio  lui faceva risalire a quel pomeriggio che lui e suo figlio avevano trascorso insieme, da soli a “scuola” per il sopraggiungere di una tempesta di neve; a quella notte, a quella terribile notte di bufera che avevano trascorso ospiti nella masseria di Onofrio e che per lui aveva rappresentato lo schiudersi di uno spiraglio di luce nel buio.

Tutto per lui era successo quella notte, una notte di qualche giorno prima di Natale, la notte alla masseria, pensò mentre cominciava a disporre libri e matite sul tavolo traballante che serviva da cattedra.

Tutto, ricordò,  era incominciato con quelle parole: ” ……ognun’ tè la ‘uerra saja e chiss'( i bambini) t’narrien’ la ‘uerra léuor’.…..Ognun’ nasc’ ch’ na sctella e c’ha da scummett’r fin’ all’uld’m’……. n’n’é colpa vosctra s’et arm’niùt”……” 

Continua ……...

Copyright: Altosannio Magazine
EditingEnzo C. Delli Quadri

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Un pensiero riguardo “Le Mulattiere dell’Anima Capitolo 2

  1. LA GUERRA CREA”SOLCHI” PROFONDI TRA LE PERSONE… -quando ed è allora veramente drammatico- non porta via per sempre i genitori ai figli! La precisa descrizione di questo rapporto di sentimenti un po’ sofferto…mi tiene sospesa nella lettura! BRAVA ESTHER …

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