Nonna Raccontami – L’ acqua nella pignatta

Racconto  di Silvio Falato.[1]

Filippo e Concettina erano sposati da molti anni. Avevano tirato su una bella vigna e tutte le mattine si recavano in campagna, sempre assieme. Filippo era di media statura, serio ed equilibrato, ancora un bel- l’uomo. Concettina, più alta e robusta, ritta e severa nel portamento sembrava dominare il marito; ma in realtà i due s’incontravano bene nel carattere. Entrambi infaticabili e parsimoniosi, litigavano di rado, solo per qualche discussione riguardo al comportamento dei figli che, però, si erano sistemati già da tempo e vivevano all’estero.Immagine-2-262x300A Filippo piaceva ragionare con la moglie e anche dopo cena, invece di uscire, preferiva affacciarsi alla piccola finestra che dava sul vicolo, aspettando con pazienza che Concettina sbrigasse le faccende di casa. Insomma il loro matrimonio si poteva dire proprio riuscito.

Purtroppo la serenità degli altri, si sa, dà fastidio a chi non ce l’ha e le male-lingue presero di mira la pace di Concettina e Filippo.

Una frase oggi, una battutina domani… Filippo si era stancato! Disse chiaro e tondo al compare che non gli piaceva il suo comportamento e che bisognava parlare chiaro: «Caro compare, tu mi fai venire il mal di testa; amìce e cumpàre, se pàrla chjàre! (amici e compari, si parla chiaro!) Si può saper che vuoi da me? Dici di continuo di volermi aiutare, che devo capire da solo. Compà… io i chiacchieroni non li ho potuti mai digerire! Chiàcchiere e tabbacchère de legnàme, a re Bànque de Nàpele, ne nze ‘mpègnane! (chiacchiere e tabacchiere di legno, essendo di vile qua- lità, non vengono accettate come pegni dalle banche)».

Il compare Annibale, allora, perdette ogni remora e svuotò il sacco.

«Concettina… Concettina tua… è una janara». E proseguì, sciolto nei particolari: «Ogni martedì e ogni venerdì si unge e con le altre streghe va sotto il Ponte delle Janare…». Filippo lo interruppe con una fragorosa risata.

«Annibale, per caso ti ha dato di volta il cervello? E poi dici che sono le donne a inventare fantasie!». E rideva a crepapelle.

Il compare si alzò di scatto, diede un pugno forte sul tavolo e gridò: «È mèglje a èsse’ curnùte che màle ascutàte! (È meglio essere cornuto che non ascoltato!)».

Filippo mutò atteggiamento e Annibale riprese: «Da un paio di anni sto cercando di aprirti gli occhi; che interesse ne avrei io? La moglie ce l’ho e pure una casetta. Alla taverna lo dicono tutti, e io, caro affezionato compare, mi sono sentito in dovere… ma con te non si può parlare». E, molto offeso, andò via alla svelta.

Filippo rimase frastornato e così per diversi giorni.

«Chi mi ha messo la pulce nell’orecchio, quello me la deve togliere!» si disse risoluto una sera e andò a trovare il compare.

«Parla chiaro chiaro, se no va a finire che diventiamo nemici e potrei non rispondere più delle mie azioni!».

Il compare non aspettava altro e, pur essendo coetaneo di Filippo, prese ad esprimersi con tono di chi ha vissuto di più.

«È facile prevaricare i nostri simili quando sono prostrati dal dolore!». Questa fu anche la riflessione silenziosa e dolorosa di Filippo, mentre era costretto a prestare attenzione. Concettina glielo diceva sempre di non fidarsi del compare, in quanto lo riteneva una persona falsa, non un fedele amico.

«Occhi di cane» era solita soprannominarlo. E alludeva alla capacità che il cane ha di mutare il colore degli occhi al più piccolo movimento della pupilla, fenomeno ben evidente soprattutto di notte.

«Concettina, tua moglie, tutti i martedì e tutti i venerdì si unge con l’olio della pignatta. Vedi dove la tiene nascosta. E vola, sì, vola dalla finestra e corre ad incontrarsi con le altre streghe… insomma fa la janara!».

«Ti sbagli, caro compare, mia moglie ed io ci corichiamo alla stessa ora e sempre assieme ci alziamo la mattina».

E l’altro senza scomporsi: «Sapevo che avresti risposto così. Cerca di farti coraggio, non mi devi interrompere. Stai a sentire. Concettina ogni notte ti mette due dita sullo stomaco, preme con forza e ti stordisce. Così può fare i fatti suoi e tu non ti accorgi di niente! Quando torna, dopo molte ore, fa la stessa cosa: ti preme un’altra volta e scioglie l’incantesimo, mormorando chissacché, cose loro, insomma! Hai capito? Io più chiaro di così non potevo essere. Mi vedi come un tuo nemico? Caro il mio compare, io tengo la coscienza a posto! Anzi, anzi…». E gli corse dietro per le scale, mentre Fi- lippo, amareggiato e infastidito, stava aprendo il portone per andar via «… Ti do un consiglio per rassicurarti che non sto mentendo. Vai da Menica, è vecchia assai, ma si mantiene lucida e conosce tanti segreti, perché teneva una sorella janara che viveva con lei. Quando questa morì, tanti anni fa, le brutte streghe non ebbero più rispetto per la casa della sorella rimasta. Le fecero morire l’unica nipotina di cinque anni. D’allora la sventurata odia le janare e, tutte le volte che può, si vendica e parla. Se ci sai fare, tu insisti, fai il furbo e arriverai alla verità!».

Filippo si sentiva distrutto, ma, invece di prendere la 
via di casa, si diresse verso la montagna a far visita alla
vecchia. Cercò di ricordare se la conoscesse, ma non l’aveva mai vista prima! Era piccola di statura, raggrinzita fino a sembrare uno scheletro. Si muoveva a passetti, col bastone, e parlava con un fil di voce sottile e gracido.

Filippo le mise in mano qualche centesimo e quella, con fare distratto e senza preoccuparsi minimamente di ferirlo, gli confermò il racconto del compare. E anche lei si preoccupò di dargli un suggerimento. Proprio sull’uscio: «Falle la spia, che ci vuole a scoprire la verità!».

Filippo non rispose e l’altra, più ardita: «Leva l’olio che è nella pignatta, la tiene sulla finestra che dà sul giardino. Mettici dentro l’acqua… Che ci vuole a sapere come stanno le cose!». E chiuse la porta.

Filippo aveva avuto sempre fiducia nella moglie e in quel brutto momento soprattutto lo faceva soffrire il pensiero di doverle tendere un inganno; le avrebbe mancato di rispetto. Ma come si può rimanere insensibili alla maldicenze della gente?

Venne il venerdì. Filippo già nei giorni precedenti aveva spiegato alla moglie che quella notte sarebbe rimasto al frantoio, perché il compare Annibale faceva l’olio e gli aveva chiesto un po’ d’aiuto. Erano abituati a scambiarsi questi favori e Concettina acconsentì con naturalezza. A una cert’ora, quando lei si fu coricata, egli finse di uscire. Rimase invece nascosto dietro la porta che dava accesso al piccolo giardino e di lì rientrò in cucina. Con l’aiuto di un mozzicone di candela trovò la pignatta. Buttò l’olio nella terra, sostituendolo con un po’ d’acqua in gran fretta!

Tutto a posto! Si nascose nello stanzino. E se la moglie lo avesse scoperto? Mah! Non gli sarebbe stato difficile inventare una scusa sul momento!

E in piena notte, ecco Concettina! Accese la luce, si denudò, sciolse con calma le due trecce in cui era solita raccogliere i capelli, si cosparse in abbondanza con il contenuto della pignatta e salì sulla finestra: «Sott’acqua e sotto vento, sotto il noce di Benevento!». Una volta, due volte, tre volte! Poi un tonfo e un urlo disperato: «Correte! Correte! È successa una disgrazia a Concettina!».

Filippo agli sbirri disse di non essersi accorto di niente, perché era immerso in un sonno profondo e pure col compare si comportò allo stesso modo e giurò.

All’amico, che sembrava guardarlo un po’ sospettoso, ripeté più di una volta: «È successo venerdì notte, proprio a mezzanotte!».

La moglie era morta, ma Filippo la pianse poco. Di colpo tutto il bene che aveva provato per lei sembrava essersi dissolto, apparteneva a un passato lontano.

Quella morte fu per lui una vera liberazione!
«Come si fa a vivere al fianco di una donna janara?».

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[1] Questo racconto è stato presentato al concorso “Nonna Raccontami” organizzato nel 2012 dalla Rivista La Perla del Molise diretta da Michela Mastrodonato. Il Racconto è riportato nel  n. 29-30-31 – (Sett 2011-Ago 2012) della Rivista stessa ed è stato pubblicato anche sul sito: http://www.associazioneabam.it.

 

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