Canto di Gustavo Tempesta Petresine [1] tratto da “Ne cande”[2]
VI Canto di Altosannio
Mia giovinetta ninfa dei “valloni.”
Acqua mia chiara, specula d’amore.
Pende dal labbro tuo il bacio rosso.
Io lo conservo fino alla tua sera
e lo assaporo in un limio di fronde.
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[1] Gustavo Tempesta Petresine, Nativo di Pescopennataro, si definisce “ignorante congenito, allievo di Socrate e Paperino”. Ama la prosa e la poesia, cui dedica molto del suo tempo, con risultati eccezionali, considerati gli apprezzamenti e i premi che consegue continuamente. Il suo libro di poesie più bello e completo si chiama “‘Ne cande,”
[2] ‘Ne cande, nasce da un percorso accidentato, da un ritrovare frammenti e “cocci” di un vernacolo non più parlato come in origine, da mettere insieme in un complicato puzzle. I termini sono proposti cercando di rispecchiare la fonetica che fu propria del parlare dei nostri nonni, ascoltati in prima persona e qui proposti. Il “canto lieto”, quello che trattava di feste, amori e piccola ironia dove si contemplava il fluire non privo di stenti, di un vivere paesano, è svanito negli anni.
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Editing: Enzo C. Delli Quadri [divider]